Roberto Mazzilis: l'arrampicata, l'alpinismo, Arrampicarnia e i 150 anni della Cjanevate

Intervista a Roberto Mazzilis per parlare del suo modo di vivere l'arrampicata e l'alpinismo ma anche di Arrampicarnia (13-15 luglio 2018) e del 150° anniversario della Prima salita della Creta della Cjanevate
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Roberto Mazzilis sulla parete sud del Secondo Campanile delle Genziane, Alpi Carniche
archivio Roberto Mazzilis

È stato tra i protagonisti della prima edizione di Arrampicarnia e le sue salite sulla Creta delle Chianevate hanno permesso al mondo di scoprirne la bellezza della roccia, ma il suo nome è strettamente legato a tutte le Orientali, le montagne di casa. Roberto Mazzilis, grande arrampicatore carnico di Caneva di Tolmezzo, ha all'attivo un migliaio di scalate, circa cinquecento nuove vie aperte e un centinaio di solitarie. Siccome il padre giocava bene a pallone, da ragazzino aveva iniziato a militare in una squadra di calcio, ma lo aveva fatto “solo per compiacere papà”. Regole, confronto, allenamento imposto, per il carattere “anarchico” di Roberto il calcio non faceva proprio. Appena provata l'arrampicata seguendo le orme dello zio materno, invece, si è subito sentito nella sua dimensione. Un amore a prima vista, vien facile da dire, come 'a vista' è sempre stato il suo approccio preferito alle nuove linee sulla roccia che lo aspettavano per essere liberate.

150 anni dalla prima ascensione della Creta delle Chianevate da parte di Paul Grohmann. Un massiccio per molti anni trascurato dagli scalatori per la roccia friabile, dove però, a un certo punto, hai aperto la “Cjargnei über alles” sul pilastro della Plote, un IX grado a vista. Cosa rappresenta per te questa montagna?
Direi che la Cjanevate è una montagna simbolica per l'arrampicata friulana. La parete di confine che si vede dalla pianura e dalla costa triestina, una cresta che a sud digrada con dei pilastroni. Era considerata marcia, pericolosa, invece è la roccia migliore di tutta la Carnia e anche oltre. Credo che quanti l'hanno bollata negativamente abbiano cercato i canali, dove ad occhio ci sono le vie più percorribili e dove trovi roccia friabile. Io invece sono andato in parete e lì la roccia è bellissima e ci sono vie stupende. Per fortuna ho voluto metterci le mani. Come quando scali una via difficile che presenta delle incognite, tipo una barriera di tetti. Devi arrivare là per trovare il passaggio risolutore, quando sei nei tetti ecco che vedi una cengetta o una fessura che ti porta fuori. Quando abbiamo iniziato ad esplorare la Cjanevate abbiamo capito che si prestava naturalmente a un'evoluzione dell'arrampicata con un innalzamento dei gradi. Anche per questo la definisco simbolica.

I gradi. Tu ne hai conquistati di importanti, quanto hanno contato e contano nella tua attività?
Relativamente. Negli anni Ottanta ero attirato dal grado, sai l'arrampicata sportiva era una novità. Mi ero anche costruito artigianalmente una trave per allenarmi e migliorare. Molti 7c li facevo a vista, specie sugli strapiombi, i gradi superiori andavano lavorati. Tendenzialmente o mi riusciva una via sportiva in due, tre tentativi, o non mi interessava. L'allenamento metodico toglie la spontaneità che per me è sempre stata fondamentale. Ad ogni modo se vuoi fare un grado alto vai in falesia, non bisogna scimmiottare l'arrampicata sportiva in montagna. La montagna è armonia, dei movimenti e con l'ambiente.

Un approccio classico ed etico all'alpinismo...
Ritengo che chi frequenta la montagna e arrampica non debba modificare l'ambiente, così come lo trova lo deve lasciare, sfruttando ciò che gli dà la natura. Le protezioni non devono stravolgere né la roccia né l'avventura che vivi in quel momento. Pensa ai chiodi di una volta, a com'erano forgiati, si integravano perfettamente con l'ambiente. La roccia è di tutti, bisogna avere cura di ciò che la natura ci ha regalato e tutto ciò che l'uomo inserisce nelle pareti in qualche modo le altera.

E la sicurezza?
La sicurezza che io cerco mi arriva dalla preparazione fisica e mentale. Mi alleno in palestra (falesia, ndr) per arrampicare in montagna, dove non ci si si può permettere di sbagliare. Davanti a un passaggio difficile so di essermi allenato per quello. Bisogna essere consapevoli di ciò che il proprio fisico riesce a fare; quando si prende una tacca piccola si deve sapere per quanto tempo si tiene la presa, altrimenti è uno sprezzo alla vita.

Nel tuo curriculum ci sono tante solitarie e tante vie aperte.
L'arrampicata in solitaria dà sensazioni uniche. La concentrazione è massima, sei sempre in azione e sei libero, in ogni decisione e in ogni movimento. Ovviamente resto al di sotto del mio limite; se non lo facessi, come dicevo, sarebbe un azzardo. Una via nuova ti permette di conoscere ogni piega della roccia, di andare dove vanno solo aquile e corvi, dove nessuno è mai stato. Il mio sogno è trovare una parete arrampicabile che mi consenta di 'camminare' sulla roccia. Aprire una via è cercare il facile nel difficile, non viceversa, fare il passaggio più naturale senza forzature. Un gesto andato a vuoto, spostare la mano in cerca di un altro appiglio, per me è già fastidioso. Quando riesci a trovare dalla base alla cima tutti gli appigli che servono per andar su sembra che la natura li abbia sistemati proprio perché tu possa scalare. E torniamo a prima. Sui monti non ha senso cercare il grado dove non serve, come non ha senso andar su con il trapano. Ci sono rimaste poche nuove vie e dovrebbero essere aperte seguendo un'etica di mantenimento dell'integrità della montagna.

Sei un purista.
In questo senso sì. E mi piace la coerenza. In oltre quarant’anni di alpinismo ho cercato di essere coerente con il mio pensiero. Se ho iniziato in un modo credo sia giusto continuare così per me stesso e per chi mi conosce.

Fedele a te stesso come apritore e, mi pare, anche più in generale, con un rapporto mai ossessivo con l'alpinismo.
Ho sempre voluto che la montagna non diventasse troppo invadente e che restasse una passione, meravigliosa. Rispetto chi fa scelte diverse, ma per me era giusto inserirla in un contesto di vita normale fatta anche di lavoro, di famiglia e amici, di altro.

Tra qualche giorno si festeggeranno il 150° della prima alla Cjanevate e una ripartenza di Arrampicarnia. Che ricordo hai della mitica Arrampicarnia degli anni Ottanta?
Conservo un ricordo stupendo. Una cosa innovativa, uno dei primi raduni di arrampicata sportiva vissuto come una festa, molto ben organizzato. C'erano i migliori climber del nord Italia. Un bel ritrovarsi e confrontarsi. Sai, tutti si faceva finta di niente e la gara ufficiale non c'era, ma nessuno voleva far brutta figura. Siamo andati su Svaghi di Kalì... è andata benissimo. E poi è stata l'occasione per far conoscere al mondo dell'arrampicata la Carnia con le sue pareti e vedere che tutti le apprezzavano. D'altronde non ci sono tante falesie così belle in giro.

Quest'anno sarai al campo base di Passo di Monte Croce Carnico...
Sì, con Attilio e Reinhard (De Rovere e Ranner, ndr) parleremo dell'arrampicata in Cjanevate. In parete stavolta toccherà a mio figlio Fabio e a Vera, la sua compagna (Gussetti, ndr).

So che sono due giovani che promettono, forti e con prestazioni in crescita.
Non sta a me... Fabio si è guadagnato da poco il suo primo 8b+ e pure Vera è fresca di un 8b... diciamo che la tradizione di famiglia è in buone mani!

Intervista di Giuliana Tonut

Roberto Mazzilis sarà al “campo base” di Passo di Monte Croce Carnico insieme a Reinhard Ranner e Attilio De Rovere sabato 14 luglio, alle ore 20, nell'incontro dedicato ai protagonisti di oggi dell’arrampicata in Cjanevate.

Programma completo su www.arrampicarnia.it




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