Omar Oprandi e Peter Moser: condividere con passione la montagna

Quanto è complesso trasmettere davvero la montagna e i suoi valori, per le guide alpine di oggi? Intervista alle guide alpine trentine Omar Oprandi e Peter Moser durante il Trento Film Festival 2023. Di Monica Malfatti.
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Peter Moser & Omar Oprandi al Trento Film Festival
Alessio Biagini

Guardandoli da lontano, Peter Moser e Omar Oprandi hanno una cosa che li accomuna e che salta subito all'occhio: la chioma selvaggia. "Ogni riccio un capriccio" verrebbe da dire, anche se l'unico vezzo di queste due guide alpine trentine sembra essere in realtà un amore totalizzante per la montagna e per la trasmissione di quei valori universali che ne caratterizzano la frequentazione.

Valori comunicati non soltanto tramite la loro professione ma anche, di recente, mediante i due film che li vedono protagonisti, presentati entrambi al 71. Trento Film Festival. E se Peter (in Pionieri) usa il lodevole escamotage di un concatenamento in velocità sulle Pale di San Martino per comunicare la straordinarietà di visione che spinse i primi conquistatori di quelle vette ad aprirne le vie normali, Omar (con Ripartire da zero) trae dal recupero lampo di un'operazione all'anca la motivazione necessaria per mantenere la parola data: "avevo promesso ad un cliente che saremo saliti sul Monte Bianco con gli sci d'alpinismo entro la fine della stagione" spiega infatti.

È il 14 marzo 2022 quando Omar deve subire il secondo intervento di protesi all'anca, dopo quello alla gamba destra nel 2019. A meno di due mesi dall'operazione, sarà – come promesso – in vetta al Bianco insieme a due dei suoi affezionati clienti, non prima però di averne raggiunto le pendici partendo da casa (Drena, in Trentino), armato soltanto di gambe e bicicletta. Uno stile alla Heini Holzer, lo spazzacamino di Merano, che negli anni Sessanta inforcava i pedali nel dopolavoro per raggiungere le sue amate montagne e firmarne i ripidi versanti.

Holzer, di fatto, fu precursore dello sci ripido. Esattamente come lo furono, ma stavolta dell'arrampicata in Dolomiti, Michele Bettega, Bortolo Zagonel e Beatrice Thomasson, protagonisti insieme a Peter Moser di Pionieri: seguendone di fatto le orme, il 10 agosto 2021, Peter concatena da solo e in un solo giorno Cimon della Pala, Pala di San Martino, Cima Canali, Sass Maor, Sass d'Ortiga e Piz de Sagron.

"Il concatenamento era solamente una scusa per elaborare un discorso molto più profondo" dichiara. Le vie scelte da Peter sono infatti tutte vie normali, di primo accesso alle cime: itinerari ricchi di storia e d'incanto, ma spesso dimenticati.

"La montagna, nella seconda metà dell'Ottocento, non era altro che un terreno inesplorato. – racconta Peter – Una sorta di Marte moderno, i cui nativi erano le guide: dei marziani, dunque, in grado di aprire le porte di questo mondo magico agli aristocratici inglesi che desideravano scoprirlo. La nostra professione di guide alpine affonda le proprie radici su di loro e sulle loro storiche ascese. Personalmente, sono molto orgoglioso di questo, perché mi ritengo anch'io, come lo erano loro, un contadino-alpinista: lavoro nei campi, nei boschi e faccio anche la guida".

"Poter fare questo mestiere è un privilegio – conferma Omar – perché abbiamo la possibilità non soltanto di accompagnare, ma anche di trasmettere conoscenza. È in questo modo che il legame con il cliente si trasforma con il tempo in una vera amicizia, forgiata nel fare fatica insieme, nell'apprendimento della tecnica e nella conoscenza della storia".

I clienti che Omar accompagna sul Monte Bianco in Ripartire da zero sono infatti legati a lui da un rapporto molto più profondo di quanto si possa immaginare senza aver prima visto il film. Uno di loro, pur di non far "perdere" ad Omar l'obiettivo, era disposto anche a rinunciarvi, per paura di essergli d'intralcio – cosa che poi non successe. "Anche nel coltivare questo genere di amicizie profondissime è sempre il cliente a fare la differenza. – precisa Omar – È il suo approccio curioso che può cambiare le cose". Un approccio curioso che sembra per certi versi cozzare contro la cultura della performance, oggi sempre più imperante.

"Viviamo in un'era – continua Omar – dove tutto dev'essere sempre portato all'estremo. Peter è andato controcorrente, scegliendo le vie normali. Sono vie non estreme, ma importanti per la loro storia e perché rappresentano la bellezza di quelle cime, nel loro complesso. E anche a me, alcune volte, piace andare a ripetere una via senza nemmeno guardare la relazione, ma leggendo soltanto l'anno in cui è stata aperta. 1870, 1930, 1960: sembrano date non eccessivamente lontane fra loro, ma nella storia dell'alpinismo si tratta di epoche diversissime". Epoche che, da guide alpine, Peter e Omar sono chiamati a raccontare, esplorare e far conoscere.

"Ora si accede alla professione dopo dei corsi molto selettivi e complessi: non siamo più i valligiani di una volta. – spiega Peter – Anche la clientela non è più quella di un tempo. O meglio, c'è una parte di essa che è ancora simile ai pionieri, intenzionata cioè a salire in montagna cercando l'avventura, ma esiste anche chi predilige lo svago, la parte più goliardica dell'alpinismo. Da guida, penso però che sia limitante pensare solo al divertimento, trasformando la montagna in una sorta di luna park e sacrificando le sue radici sull'altare della performance sportiva".

"Per quanto mi riguarda – concorda Omar – mi dispiace molto come certe linee di salita stiano finendo nel dimenticatoio, vuoi perché non ci sono gli spit, vuoi perché non ci sono le soste, vuoi perché su quelle vie spesso c'è solo un chiodo". Salite allora derubricate, troppo spesso, come "facili" o inattuali.

"Cosa che di fatto non sono. – puntualizza Peter – All'epoca si aprivano itinerari in modo molto labirintico: salire in questa maniera 500 metri di parete e poi ridiscenderne altri 500, ancora di terzo o quarto grado ma magari su rocce anche un po' marce, non è così facile nemmeno oggi".

"Peter ha giustamente parlato di labirinti: tante volte devi essere molto più istintivo su questo tipo di vie piuttosto che su una linea moderna. – conferma Omar – Si tratta di itinerari che salivano una parete intera "cercando il facile nel difficile", come diceva Bruno Detassis. E sempre per Detassis la via più bella di una vetta era la sua normale: la linea della scoperta e dell'ignoto. Oggi purtroppo tante di queste vengono invece percorse semplicemente come vie di rientro".

Così come tante imprese vengono portate avanti con l'idea di stabilire dei record: non è il caso di questi due film e delle rispettive avventure, animate entrambe da un qualcosa di molto personale, che si discosta da qualsiasi dinamica di primato e che cerca invece il valore intrinseco di una realizzazione e della sua condivisione.

"In ospedale, dopo l'intervento, – conclude Omar – ero in stanza con un signore di 81 anni il cui obiettivo era quello di poter tornare quanto prima nel suo amato orto a seminare. Il traguardo che mi sono posto io aveva un valore praticamente identico. Per chi ama la montagna, bazzicarne gli spazi è come andare nel proprio orto. E per noi guide seminare bene significa anche condividere con passione i motivi che ci spingono a frequentarla".

di Monica Malfatti

Info www.trentofestival.it




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