Marco Bussu e le origini del boulder in Sardegna

Intervista a Marco Bussu alla ricerca delle origini del bouldering in Sardegna. Di Maurizio Oviglia
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San Teodoro, primi anni duemila. Marco è stato scopritore anche di quest'area, oggi chiusa dal proprietario dei terreni
archivio Marco Bussu

Circa 15 anni fa in Sardegna un ragazzino magro, quasi scheletrico, tanto da meritarsi il soprannome di "no weight", cominciava a far parlare di sé. Con un messaggio mi aveva comunicato la salita del suo primo 8a nelle falesie di Domusnovas e come tutti i ragazzi della new climbing generation portava con sé tutta la carica e l’entusiasmo tipica di chi è forte e sa di esserlo, spazzando via tutto il resto come un tornado. Così in quel messaggio ci potevo leggere un "ehi, attenzione vecchio zio, fatti da parte perché sto arrivando io!" ma nello stesso tempo, oggi lo posso dire perché non succede più, provavo piacere che quel ragazzino mi avesse messo a parte delle sue realizzazioni e del suo entusiasmo. La generazione di Marco era quella della resina, quella che si era fatta nelle cantine, sul travo e sul pannello microscopico montato con tanto amore con i pezzi acquistati al bricoman. Da lì a poco Marco, forte di incredibili, almeno si mormorava, allenamenti casalinghi, sarebbe diventato il più forte boulderista e falesista sardo. Ma Marco era anche un visionario, uno che la difficoltà ce l’aveva nel sangue. Per cui, detto in breve, vedeva appigli dove noi dicevamo semplicemente "in scalabile". Saliti i primi 8a, chiodò alcune linee brevi ed esplosive a Domusnovas che ancora oggi sono dei riferimenti, vie che hanno dato da filo da torcere persino a gente come Bernardino Lagni e Adam Ondra, tanto per fare due nomi dei pochi che son riusciti a ripeterle. Ma si diceva del boulder: in quegli anni eravamo veramente quattro gatti a far boulder in Sardegna. Giorgio Soddu di Orani aveva conosciuto Roberto "Hassan" Fioravanti e si era lasciato coinvolgere in questo nuovo gioco. Alla fine degli anni novanta mostrò a me e Simone Sarti alcuni passaggi fatti sui massi di Torre delle Stelle. Avevo cominciato col boulder in Val di Susa, negli anni ottanta, ma la passione per i sassi mi aveva abbandonato appena ero giunto in Sardegna. Nonostante ciò avevo già salito qualche passaggio sull’isola ma non avevo iniziato alcuna esplorazione in questo senso. Giorgio ed Hassan convinsero me e Simone a cominciare ad esplorare nuove aree nel sud, ed a noi si aggiunse il lombardo Davide Grassi, perito alcuni anni fa sul Mont Maudit, con cui diventammo grandi amici. Non avevamo alcun riferimento, eravamo soli e lontano da tutto, non sapevamo neanche lontanamente come gradare un boulder. Per capire meglio, quando tornavo a Torino provavo i passaggi di Marzio Nardi in Val di Susa e con Davide andammo a Cresciano. Dal canto suo Giorgio diede vita ad una piccola comunità di boulderisti nel nuorese a cui spesso si aggiunse Mauro Calibani e Marco rimase a Oristano, con un piede in Sardegna ed uno fuori. L’amicizia con Cristian Core fu per lui fondamentale e, forte di queste esperienze, non ci mise molto a raggiungere i vertici della disciplina, ripetendo per primo tra i sardi i difficili passaggi di Calibani e Core sul granito dell’isola. Ma il merito di Marco andò ben oltre il grado… Instancabile esploratore di nuove aree, atleta ma nello stesso tempo romantico nell’animo, riuscì a portare sull’isola alcune leggende viventi dell’arrampicata mondiale, come Jerry Moffatt, Ben Moon e Fred Nicole in un’epoca in cui sembrava che l’unico posto che valesse la pena visitare in Italia fosse la Meschia di Calibani. In breve diventò un riferimento (irraggiungibile) qua in Sardegna. Per questo il suo abbandono improvviso dell’arrampicata (e scomparsa totale dalle scene) sembrò a tutti inspiegabile. Da qualche tempo i suoi video fatti in quegli anni (anche in questo fu pioniere) sono rimbalzati sui social network e qualcuno, che lo ha visto all’opera su nuovi passaggi, ha cominciato a scrivere come si usa adesso (fa figo) "Marco Bussu is back!". In quasi 15 anni di assenza le cose son però cambiate, così non mi sono lasciato sfuggire l’occasione di fare il punto del boulder in Sardegna con lui. Quando si sta un po’ al di fuori si è nella condizione di vedere le cose con obiettività e distacco, senza il rischio di essere troppo coinvolti e provinciali. Oggi Marco non è più un ragazzino, ma un uomo maturo, conscio di aver messo un piccolo tassello nel grande puzzle della storia isolana e nazionale. Nelle sue (belle) e misurate parole non c’è più quella travolgente carica agonistica dei bei tempi, ma ci puoi ancora leggere l’entusiasmo e la voglia di fare che è poi il motore che muove le cose e do l’ispirazione ai giovani.

Ciao Marco, circa una decina di anni fa eri il più forte boulderista (e falesista) sardo, avendo raggiunto l'8a boulder in un'epoca in cui non erano proprio tanti ad averlo nelle dita. Poi sei improvvisamente quanto misteriosamente sparito... che cosa è successo?

Ho iniziato ad arrampicare nel 1990 e per circa 15 anni non ho mai smesso nemmeno per brevi periodi, arrampicavo tutti i giorni. Per me questo sport era linfa vitale, una ragione di vita, quasi un’ossessione, e inevitabilmente mi sono trovato a pagarne il prezzo con tanti sacrifici e rinunce pur di rincorrere i miei sogni. Contemporaneamente avevo alcune passioni che soffocavo per dare spazio all’arrampicata e all’improvviso nonostante attraversassi un periodo di gran forma, ho avuto una sensazione di rifiuto totale nei confronti di questo sport. Non mi divertiva più, avevo bisogno di una pausa. Credo che nella vita le scelte non debbano andare avanti per inerzia, ma per volontà. In quel momento avevo il desiderio di dedicarmi ad altro, e così ho iniziato a dare spazio alla mia grande passione per la moto da enduro. Mi sono dedicato ai viaggi in Africa, ad attraversare il deserto del Sahara con la moto, in piena autonomia e spesso senza mezzi di assistenza a seguito, con lo stesso spirito con il quale si affronta una arrampicata in solitaria, e a fare le gare di moto-rally cercando di inseguire il sogno della Dakar. Mi sono anche dedicato alla barca a vela. La montagna, il mare e il deserto sono le forze della natura più estreme, opposte tra loro. Il denominatore comune è lo spirito che metto nell’affrontarle, le emozioni che provo nel vedere il contrasto dei colori, dei paesaggi e la sconfinatezza dei luoghi. Quindi mi sono ritrovato a vivere in un ambiente diverso con lo stesso spirito che mettevo nell’arrampicata. Ecco, è successo tutto questo. In realtà però non ho mai smesso di scalare completamente, ogni tanto andavo a fare blocchi o a cercare e pulire nuovi blocchi. Per me arrampicare significava farlo tutti i giorni con una maniacale dedizione. Quando mi son trovato a scalare una sola volta alla settimana, senza più seguire particolari allenamenti, alla domanda: scali ancora? Mi veniva da rispondere: Ho smesso! Ho sempre pensato che un giorno avrei ripreso con maggiore frequenza e con l’entusiasmo di una volta e infatti cosi è stato. Circa due anni fa durante una telefonata con un caro amico, Christian (Core), gli dissi che mi era ritornata la voglia di allenarmi, era tornato il desiderio che sentivo tanti anni fa di rimettermi in forma e divertirmi sui blocchi. Lui mi disse: "ero sicuro che avresti ripreso, l’arrampicata ce l’hai nel sangue".

Cosa ci puoi raccontare dei boulder di quegli anni nella tua isola? Avevi visitato anche altri luoghi per avere un paragone o vivere delle esperienze?
Vivere e scalare i boulder di quegli anni in Sardegna, era come vivere l’arrampicata in modo pionieristico ai tempi di Edlinger, non si conoscevano ancora i confini e i limiti, in tutti i sensi, era tutto da scoprire insomma.  Prima di immergermi in questa disciplina, avevo iniziato a leggere e a vedere le fotografie sulle riviste. Parlavano di una specialità che definivano "branca dell’arrampicata". Non conoscevo ancora nessuno che praticasse blocchi in Sardegna ma in qualche modo volevo iniziare. Un giorno con Filippo Canu, il mio compagno di cordata e amico da sempre ordinammo una nuova videocassetta, "The real thing" di Ben Moon e Jerry Moffat e credo che tutto sia partito da li… Alla fine degli anni ’90 in Sardegna, i boulderisti si contavano esagerando, sulle dita di una mano e lo sporco lavoro di pulizia dei blocchi stava appena iniziando. Avevo visitato solo la vicina Corsica in quegli anni, quindi non avevo ancora paragoni, mi si stava aprendo un nuovo mondo.

E’ vero, eravamo in pochissimi a fare boulder in Sardegna, ci sentivamo quasi e dei pionieri! Ma ricordo che nessuno voleva venire da noi a far sassi. Addirittura Jerome Meyer, l'allora campione del mondo aveva scritto su Grimper che la Sardegna del boulder era un grande bluff. Unico posto che gli era piaciuto: Capo Testa. Tu che ne pensi, cercando di essere il più obiettivo possibile?
Che dire… a proposito di campioni del mondo, quando in quegli anni facevo le gare di Coppa del Mondo, nei momenti di isolamento, cercavo sempre di convincere tanti top climber a venire in Sardegna. Ne parlai con Pedro Pons, con Timmy Fairfield, con Christian Core, con Daniel Dulac e altri. Cercavo di promuovere la mia isola. Raccontavo in tutte le salse che il potenziale c’era, che si stavano aprendo degli orizzonti nuovi e c’era bisogno di qualcuno con più esperienza che valutasse il nostro lavoro. Io vedevo, e immaginavo un futuro. Oggi quel futuro è la realtà per la quale, i più forti sassisti del mondo arrivano in Sardegna. La risposta a Jerome la potremmo dare adesso. Se ci avesse creduto anche lui, probabilmente la storia del boulder in Sardegna sarebbe iniziata col suo nome.

Come vedi l'evoluzione di questa disciplina, se c'è stata, in questi ultimi 10 anni?
C’è stata una grande evoluzione nell’isola, non paragonabile però al resto della penisola, dove oggi molti arrampicatori nascono direttamente sassisti senza passare per la falesia. Tendenzialmente in Sardegna prevale l’arrampicata con la corda e come alternativa si pratica il boulder. Negli ultimi anni soprattutto, alcuni si sono dedicati quasi ed esclusivamente al boulder grazie anche all’avvento delle sale d’arrampicata, ormai diverse nell’isola e grazie anche al circuito regionale di boulder. Uno stimolo non indifferente per tutti, che iniziò tantissimi anni fa per iniziativa mia e di altri amici.

Che la Sardegna abbia molto potenziale sotto il profilo boulder è scontato. Ma secondo te la qualità dei nostri sassi è davvero all'altezza dei santuari europei?
I santuari europei, hanno una storia dietro che "ancora" noi non possiamo vantare. Non credo dipenda solo dalla qualità della roccia. Ad ogni modo la nostra roccia penso sia di buona qualità e all’altezza degli spot più famosi in Europa e sarei presuntuoso se fossi io a dirlo. Quando portai Fred Nicole ad Orotelli, mi disse che era uno spot perfetto! Quanto a roccia perfetta, una recente scoperta è Monte Arci. Ci permette di scalare su una roccia atipica. Il basalto. Quasi una rarità nell’isola, visto che nelle aree più vaste prevale il granito.

Il boulder come attività individuale o il boulder dei meeting e dei raduni. Quale è il tuo universo?
Il mio universo, è quello spirito che contraddistingue questo fantastico approccio che si ha con i sassi, a prescindere. Per cui sono sia per il boulder dei meeting che per l’attività individuale. Il boulder dei meeting perché mi piace conoscere nuove persone che condividono la stessa passione, mi piace confrontarmi e imparare dagli altri. E questa è una forma per arricchirsi di esperienze altrui. Il boulder individuale quando hai bisogno di una certa concentrazione, quando vuoi goderti quel momento in silenzio o quando senti che è arrivato il giorno giusto per salire il tuo blocco, e quindi hai bisogno solo della tua grande concentrazione e della fiducia del tuo paratore.

Recentemente anch'io, dopo 10 anni di più o meno intensa attività nel campo esplorativo del boulder, mi sono un po' allontanato. Per contro posso vedere la situazione in maniera forse più obiettiva. Mi sembra insomma che sull'isola vi siano diversi gruppi attivi ma un po' isolati tra di loro. Secondo te è normale, oppure spereresti in un ambiente differente?
A mio avviso non è normale, c’è un po’ questa tendenza, nel bene e nel male, dovuta anche alla posizione geografica. Alcuni si isolano, forse gelosi delle proprie zone di arrampicata, altri meno. Se anche io riesco a vedere questa situazione in maniera obiettiva è perché non ho mai fatto parte di nessun gruppo. Nella mia zona eravamo e siamo in pochi a scalare sui sassi, e definirci un gruppo mi sembra un po’ esagerato!

Quale è oggi, secondo te, la migliore zona per il boulder in Sardegna? E quali sono i tuoi attuali "giardini"?
Mi è difficile dirti quale sia la migliore. Ci sono tanti fattori di una zona che considero per definirla migliore di un’altra. Per me è importante anche l’ambiente circostante, non basta che ci sia un blocco difficile, una bella linea o una roccia particolare. Quel che voglio dire è che non andrei mai a fare boulder in una vecchia cava abbandonata o di fianco a un palo dell’alta tensione. Mi piace l’idea di camminare per qualche minuto prima di raggiungere un blocco, mi piace pensare di inoltrarmi nel bosco, mi piace pensare di essere lontano da tutto in quel momento, mi piace sentirmi privilegiato. Ma se proprio ti devo rispondere, il centro della Sardegna racchiude un po’ tutto questo. Come attuali "giardini" in questo momento posso considerare Monte Arci e Cornus.  Il primo, uno spot con roccia basaltica a pochi chilometri da Oristano, si sviluppa sulla cima del Monte a 800 mt., in un bosco bellissimo. Ultimamente sta subendo un vero restyling. L’area nel versante est, era stata scoperta e pulita da me e da Filippo (Canu) una decina di anni fa. Oggi alcuni ragazzi volenterosi stanno levando la polvere dagli appigli e scoprendo anche nuovi passaggi. Mentre l’area di "Sa Trebina" sul versante ovest è una scoperta relativamente recente, dove anche li ho pulito e liberato i passaggi più difficili. Cornus invece è un piccolo settore che ha contribuito per la maggiore a far nascere una piccola generazione di nuovi boulderisti. Un’area sita nelle vicinanze dal paese di Santa Caterina di Pittinuri, nella provincia di Oristano, che presenta un’arrampicata per niente banale. Ai visitatori consiglio di non sottovalutare nemmeno i passaggi più facili. Cornus con il suo stile di arrampicata, non regala niente a nessuno ed è una piccola realtà alla quale si può far fede per quel che riguarda la gradazione dei passaggi.

Ogni boulderista sardo sa che fare boulder qui significa esplorare, spazzolare, pulire dai rovi etc ... cioè non solo scalare ma lavorare molto (e spesso da soli) per poterlo fare. Una cosa forse molto diversa dai raduni, dove trovi tutto pronto, pulito e gradato... Secondo te c'è ancora un futuro per questa visione un po' romantica di questa disciplina o è destinata a scomparire?
Ho iniziato al fare boulder quando scalare un sasso implicava la pulizia del sasso stesso, perché quasi sempre mi trovavo a salire quel passaggio prima di altri. Per cui era una visione normale in quegli anni, era il prezzo da pagare, una fatica messa in conto. Ma il bello del gioco era anche questo, per me la soddisfazione era doppia. Sempre. Molte volte passavo tutte le ore della giornata a spazzolare gli appigli e a pulire i blocchi dal muschio, mettendo in ordine anche le pietre che c’erano sotto i passaggi. Spesso era necessario creare delle basi d’atterraggio perfettamente in piano. Non credo sia un lavoro da tutti, oggi ancora meno. Il boulderista degli ultimi anni, più che un esploratore è un atleta che arriva davanti al blocco, dopo tante ore di allenamento ed è pronto a macinare le prese! In Sardegna lo spirito dell’esplorazione non si è perso e spero non sia destinato a scomparire. Oggi c’è ancora qualcuno che si da fare con tanta fatica per pulire nuovi blocchi. A me capitava di partire per diversi giorni con la tenda e il sacco a pelo. Mi accampavo sotto qualche blocco, spesso in zone inesplorate e iniziavo a pulire sassi dalla mattina alla sera. Forse è come dici tu, avevo una visione un po’ romantica di questa disciplina. Da poco è rimbalzata la notizia su tutti i social network di un grande evento che ha radunato i più forti boulderisti di tutto il mondo alla scoperta dei boulder inesplorati sul granito del nord Sardegna. Un’iniziativa a mio avviso fantastica, positiva, che rende visibile in tutto il mondo quanto la Sardegna possa offrire per arrampicare sui sassi. Ma in realtà, molti non sanno che il primo vero scouting sul granito della Gallura risale a circa quindici anni fa. Quando anche in quella occasione, io ero partito con la tenda, il sacco a pelo e le spazzole d’acciaio. In dieci giorni tirai fuori qualcosa come 60/70 passaggi divisi in settori diversi. Nacque l’area boulder di Santa Teresa di Gallura, di Aggius e del Monte Pulchiana.

Ultima domanda, la più spinosa: boulder e condivisione. Come me, sei sempre stato incline a divulgare quello che facevi. Ricordo ancora le mappe che mi mandavi, anche di settori che magari altri non gradivano fossero divulgati. E poi i video, le fotografie... i fuoriclasse che sei riuscito a portare qui da noi. Insomma penso che ti piaccia condividere quello che fai, giusto? Cosa ne pensi invece di chi all'opposto desidera riservare le proprie scoperte solo ai pochi amici intimi?
Prima ho parlato di spirito di gruppo e questo è legato allo spirito di condivisione. Credo che sia una cosa dovuta al mio carattere, alla mia educazione. Non c’è una regola dell’arrampicata che ti dica cosa fare, non è legato all’etica, non risulta scritto sulla carta dei valori del buon boulderista. Io sono una persona socievole, curiosa, aperta a tutto. Io voglio confrontarmi, voglio imparare dagli altri e condividere significa tutto questo. Ogni volta che pulivo un sasso non vedevo l’ora che qualcuno andasse a ripeterlo, avevo bisogno di un feedback. Ho sempre divulgato tutto anche con quel pizzico di orgoglio che contraddistingue noi sardi. Non trovo costruttivo l’atteggiamento di chi mantiene segrete le zone o chi si esprime dicendo "i miei blocchi", "il mio settore", "i miei passaggi" come fossero proprietà privata, o come se ti intimassero "l’alt" alla scalata. Grazie al mio spirito di condivisione, sono riuscito a coinvolgere climber di livello mondiale. Persone che hanno significativamente contribuito allo sviluppo dei settori e innalzato il livello di difficoltà, lasciando uno stimolo concreto in eredità a noi sardi. In quegli anni, la mia casa era un porto di mare, un via vai di climber di ogni nazionalità. Mi vennero a trovare anche tutti i più forti boulderisti del mondo. Scalavo con Christian Core, il quale diede un contributo fondamentale in quegli anni, aiutandomi a pulire tantissimi blocchi anche di alta difficoltà, con Fred Nicole, con Roberto Hassan Fioravanti, Riccardo Scarian e il guru Marzio Nardi. Con loro ho stretto una preziosa amicizia che è rimasta nel tempo. Mi vennero a trovare anche le leggende viventi dell’arrampicata. Ben Moon, Jerry Moffatt e tanti altri..

Marco Bussu: Utopia 7c+ (Orani) , Il figlio di bakunin 7b (Sarule), Torre delle stelle 7a (Torre delle stelle), Keke Monza ? (Sarule)




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