Le Vene di Donato Lella

Una lunga chiacchierata con Donato Lella, classe 1965, atleta, falesista, tracciatore internazionale ed allenatore. Da oltre 30 anni un punto di riferimento importante per l'arrampicata sportiva italiana. Di Andrea Tosi.
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Donato Lella, classe 1965, atleta, falesista, tracciatore internazionale ed allenatore
Andrea Tosi

Vene come pipeline che riportano il sangue al cuore. Un sangue esausto che attende di essere rigenerato e rilanciato. Le vene di Donato Lella sono oversize, dilatate ed espulse in superficie da muscoli lavorati con il cesello del tempo. Le vene di Donato sono le rughe: il peso dell’età della sua passione.

Atleta: una vena; laurea in scienze motorie: altra vena; tracciatore internazionale: altra vena ancora; è allenatore, chiodatore…  insomma, Donato è la somma delle sue vene che si riuniscono nel cuore dopo le tante diramazioni in cui si è tradotta la sua unica passione per l’arrampicata.

Un credo, quello per l’arrampicata, che è il pulsare di Donato, una vertigine che ancora lo muove in questo lavoro di Sisifo che richiede forza, e tanta, per continuare a guardare in faccia una realtà in continua evoluzione, una realtà che continuamente riporta in basso il masso che si era spinto a fatica fino alla vetta.

Ho imparato il suo nome nei poster appesi all’interno dei negozi. Una foto, pantaloni corti, Pian Schiavaneis… forse un 8a a vista, forse anni ’90. L’ho visto live, in azione, come atleta nelle competizioni e me lo sono ritrovato "contro" come istruttore a un corso FASI per tracciatori.

Mi chiese, quando si accorse che miravo a quello che allora era il titolo di tracciatore di primo livello: "te la sentiresti di prenderti la responsabilità della buona riuscita di una tappa di Coppa Italia". Ecco, con una frase, le mie esagerate ambizioni inchiodate alla dura realtà. Non avevo il grado adeguato nemmeno delle mie aspettative e accettai mio malgrado di vedere un desiderio cadere a terra.

Donato è così: diretto, efficace, come quando mi prese da parte e osservando una via che non avevo tracciato – ero tirocinante in una Coppa Italia Lead a Verona di undici anni fa – mi disse: "la vedi quella presa? Domani la cambiamo, la mettiamo più piccola". Vedendo il mio stupore – non avevo avvitato neanche un appoggio su quel tiro – aggiunse: "così lo sappiamo in due!".
(nel video potete trovare il Donato_pensiero (anno 2001) in merito alle competizioni dopo il minuto: 01:10)


Capii tempo dopo il senso di quell’insegnamento che ancora oggi tengo caro. Capita di tutto nella vita e ne è passato del tempo da allora. Fatto è che oggi Donato Lella collabora e scala con WildClimb.

Proprio in questi tempi, ironia della sorte, una sua creatura è finita alle Olimpiadi. Il percorso "Speed" è opera di Donato che, ricevuto l’incarico nel 2005, propose questo itinerario per rappresentare la sua idea di ritmo, velocità e universalità. Percorso che a dispetto dell’errore di montaggio in cui lo si vide esordire, rimane il metro di misura dei velocisti verticali. In questo periodo "olimpico", forse stanco di questi tempi tronfi di retorica, colgo l’occasione per chiamarlo. Ho il desiderio di parole schiette, parole che riescano a delineare una traiettoria nella situazione attuale.

Ciao Donato, se ti dico: "ne usciremo migliori" … tu cosa mi dici?
Ti dico che ho ricevuto lo sfratto dalla palestra… ti lascio immaginare. Non me lo aspettavo, visto anche come mi sono sempre comportato nei confronti del locatore. Per questo sono molto dubbioso. Teoricamente, sono situazioni, queste, in cui si fanno i conti con sé stessi, quando qualcosa ti ferma nelle tue attività c’è il tempo per farsi le domande che spesso evitiamo. Quindi, sulla carta sì, ne usciremo migliori, perché tutto insegna, ma dal punto di vista pratico devo dire che no, non mi sembra che questa situazione abbia creato dei miglioramenti. Dal punto di vista umano… si doveva fare gruppo… e invece c’è stato un isolamento da parte di tutti, non so se per paura, per egoismo, non lo so… Tante cose… questo è lo specchio della realtà: lo sfratto, il lavoro, anche la federazione… Quindi, per essere educati, parlerei di amaro in bocca.

e… immagino non sia "l’amaro della birra". Vien da pensare che questo distanziamento sociale sia stata la premessa – involontaria, certamente – per creare un distanziamento affettivo? Dove ognuno ha pensato solo ai fatti suoi…
Sì! Assolutamente, penso assolutamente questo. E non lo dico io, anche da un punto di vista prettamente economico la forbice si è allargata in modo abissale. Determinati colossi hanno fatto più strada, mentre le piccole attività, come quella del gestire un muro di arrampicata… se non sono andate lentamente in rovina, poco ci manca. Senza invadere campi che non ci competono, restando in campo sportivo/federale, non mi aspettavo un aiuto diretto dalla federazione sulle associazioni, non sono un visionario, so benissimo quali sono le situazioni delle federazioni piccole (come la FASI), ma, nella fattispecie, come singolo, come tecnico della federazione mi sono sentito abbandonato, scartato. Alludo alla mia figura di tracciatore. Se già un pochino prima della pandemia, la nuova federazione non mi ha più chiamato a tracciare nulla, a qualsiasi livello, dai raduni in su: sono stato escluso da tutto. Questo chiaramente, oltre la situazione pandemica, mi ha lasciato molto amareggiato. Prima di questo periodo, quando ho potuto, ho sempre cercato di distribuire questi lavori, sono sempre stato molto aperto ai nuovi tracciatori giovani e non mi aspettavo un comportamento del genere. Poteva essere una briciola che non avrebbe potuto sopperire a tutto il resto, però, sia dal punto di vista della gratificazione – il sentire che tutto quanto è stato dato negli anni è ancora oggi accolto bene – ma anche in senso pratico, un minimo di entrate dal punto di vista economico, visto che il tracciatore ancora riceve rimborsi… ecco, sì, da questo punto di vista non posso certo dire grazie alla federazione. Con grande dispiacere devo dire che non c’è meritocrazia e le nuove tracciature hanno preso una piega molto legata alle amicizie. Le gare sono appannaggio di alcuni gruppi molto chiusi, molto vicini ai consiglieri federali. Quando ero a capo dei tracciatori in Italia (con Leonardo Di Marino), abbiamo cercato di far tracciare un po’ tutti, ma in questi due anni la questione ha preso un altro peso… Sono stati anni dove ho dato tutto me stesso e il riconoscimento è stato inesistente. Per quanto riguarda l’attività della mia associazione non mi aspettavo nulla, ogni ASD ha un suo risvolto commerciale e in questo ambito non mi aspettavo nulla. Ho ricevuto qualche ristoro e sono in attesa dei ristori del 2021, ma su quello vien facile criticare, sono dinamiche a noi sconosciute ed è un attimo finire in luoghi comuni che hanno sinceramente nauseato.

Riassumendo brutalmente: il Rocodromo di Pinerolo non esiste più?

Siamo in tribunale… nonostante gli anni precedenti caratterizzati da pagamenti sempre puntuali, se non in anticipo sempre di due mensilità… sono rimasto fregato visto che avevo già pagato i primi due mesi di lockdown.

Beh, sembrano situazioni speculari, come se non esistesse mai alcuna inerzia, anni condotti in un "certo modo" non contano nulla, sia nei confronti della Fasi che del locatore…

In realtà ci sono altri esempi a me vicini di locatori che sono andati incontro a questi nuovi problemi sospendendo o alleggerendo gli affitti. Il mio locatore sente poco da questo orecchio o forse non ha proprio l’idea di cosa voglia dire sopravvivere. Dopo due riunioni ha dato tutto in mano agli avvocati… che fanno il loro lavoro.

Provando a voltare pagina, anche al mio dispiacere, ti chiedo: la roccia ti ha salvato? È stata di aiuto?
Sì, ho riscoperto la roccia, nel senso del piacere di chiodare, di scovare nuovi siti. Mi ha permesso di trovare un’alternativa. Non certo da un punto di vista lavorativo ma come motivazione, come resistenza alla situazione. Ho riscoperto il piacere di trovare nuove pareti, nuovi itinerari… con un dispendio di forze ed energie che non ricordavo più… ma gratificante dal punto di vista personale. L’altra faccia della medaglia è la scoperta che l’usufruitore della roccia è decisamente cambiato. La maggior parte pensa che attrezzare fuori corrisponda ormai all’attrezzare in palestra. Tutto sembra dovuto e si ricevono quasi più critiche che altro. Anche a fronte di un lavoro fatto tutto a proprie spese. Mi ha stupito molto perché, da quando ho iniziato ad arrampicare ho sempre cercato di contribuire, ringraziando se conoscevo il chiodatore o prendendo le guide (anche di posti in cui ho solo sognato di scalare). Chiodare non è una cosa casuale. Da questo punto di vista sì, sono rimasto stupito dalla "povertà di spirito" che pervade chi partecipa a questa corsa al "grado dei poveri" …  non si rendono conto che sono abbagliati e che determinati gradi di alto livello sono altri… non capiscono. Io li chiamo così: i gradi dei poveri. E intendo gli 8a, gli 8b, a volte inventati, ma comunque comunicati sui vari siti… I migliori poi, sono quelli che scrivono il tiro su qualche sito web ma lo collocano nel "secret spot".

Questo fa decisamente a cazzotti con la tua idea di attività agonistica e il tuo impegno verso le competizioni, sempre teso come sei a mettere in campo un metro di misura oggettivo in grado di soddisfare in modo corretto la sete di agonismo che pervade anche il nostro sport.
Ma si, è questo proliferare di vetrine dove ti puoi glorificare senza nessun tipo di controllo, se non quello dei tuoi amici che, se non sono come te, sono peggio di te, un fiorire di luoghi dove scimmiottare i vari big ma a sette, otto gradi di distanza… siti dove puoi comunque apparire. E non si può tornare indietro… perché l’unico modo per farlo è quello di mettersi un numero sulla schiena ma non si riuscirà mai a trovare nemmeno il modo per creare un circuito amatoriale. Proprio questi “scalatori”, sarebbero gli ultimi a partecipare a una competizione, farebbero di tutto per evitare un confronto corretto, fosse anche la gara del quartiere. Se ne vedrebbero delle belle… gente che sui siti abita le parti alte della classifica si vedrebbero sverniciati dall’amico che non esiste perché non pubblica o pubblica dieci gradi di meno. È sempre la solita storia ed è il bello e il brutto dell’arrampicata su roccia nei confronti dell’arrampicata sportiva "su resina". Io la trovo una cosa bellissima… insomma… mi fa ridere, ma dall’altro punto di vista, è un cane che si morde la coda, perché avremo sempre questo fascino che, da una parte, per lo meno, una volta se facevi una qualche realizzazione, prima di parlarne ci pensavi due volte, poi la citavi ma dovevi avere qualche testimone di un certo perso o altro. Adesso ti rendi conto che chiunque si svegli la mattina, alla sera può scrivere qualsiasi cosa, non soltanto sull’arrampicata… basta vedere cosa è successo con i Måneskin all’Eurovision song festival e la proposta di squalifica… Questo è; io sento questo in palestra e sorrido. È pazzesco, e cosa puoi fare. Non puoi fare nulla se non nella tua piccola cerchia di amici o, se sei un insegnante, un istruttore, cercare di dare determinati valori che comunque saranno schiacciati dalla potenza del web. Puoi raccontare tutto quello che vuoi, tanto il web appiattisce tutto. Tutto qui. L’esplosione di questi siti, dove io rido mentre penso che ci sia gente che non è ancora arrivata a terra dalla catena che ha già il telefono in mano… e poi commentano pure! Gente che probabilmente non ha mai tolto un granello di polvere da una via e che comunque ha giudizi su tutto, a partire dal grado fino alla pulizia del tiro… magari scalano da un anno e hanno visto due posti in tutto il mondo, oltre alla loro palestra, beninteso! Mentre i video? Beh, quelli li hanno visti tutti eh… e diventano credibili perché tutti gli amici li confortano. Sanno tutti i movimenti dei 9c e sono gli idoli del loro gruppo. Restando in lockdown si è accentuata questa situazione. Io ho due nipoti grandi che non scalano e nel periodo di questa pandemia hanno lavorato da casa. Sapendo che io scalo, il più grande, che seguiva i tentativi di Ondra su Perfecto Mundo (senza sapere tutta la storia, né di Ondra, né del tiro), me ne parlava per trovare un punto in comune, per intavolare una discussione con me… Non saprei dirti se questa esposizione mediatica, vista con gli occhi di un "addetto al lavoro", ci ha migliorato… tu dici di si? Sei positivo?

La prima cosa che mi viene in mente quando citi Ondra – ma non va in direzione di una risposta – è la positività che nasce dell’aver documentato un impegno che si è risolto con una sconfitta.

Beh, da quel punto di vista è un testimonial dell’arrampicata positivo, bisogna darne atto e per quanto possa essere critico verso questa mediatizzazione, Ondra accetta e fa vedere le sconfitte, si mette in gioco in tutte le gare dove è l’unico che ha qualcosa da perdere. I suoi sponsor se li merita tutti, perché trovare un testimonial così "umano" … è dura.

Piuttosto, Donato, a me sembra che "la base del movimento" – lo scalatore di medio/buon livello – stia arrivando con 5/6 anni di ritardo sulle tracce dei professionisti. Tempo fa, tra i millantatori accertati (ma mai smascherati pubblicamente) c’erano anche figure di spicco. Oggi, per dirla con Dalla, si è capito che "l’impresa eccezionale è essere normale". Le difficoltà di "Seb" Bouin sui tiri storici di Saussois o le "avventure" di Ondra che non trovano un lieto fine, sono finalmente narrate da filmati ben fatti e "onesti" nei confronti della realtà. I noiosi "uncut", anche se accelerati sui lunghi rest di riposo, riportano definitivamente l’arrampicata sulla roccia, sottraendola alla "fiction" che ci proponevano anni addietro: una "arrampicata virtuale" comunicata con video dai ritmi disumani in forza dei loro montaggi serrati. Mi auguro che questa nuova narrazione, questo nuovo esempio, tra 4/5 anni sia in grado portare un vento nuovo in falesia, e con esso meno fenomeni che si affermano sulle loro bacheche a suon di numeri e performance più o meno virtuali… Perché, se proprio non si può fare a meno di dire "io", è meglio che lo si faccia parlando della passione che ci muove e del fatto che ci si gode l’incertezza del percorso intrapreso.
Purtroppo, determinati eventi quando sono un po’ scomodi, oggi non vengono tanto seguiti… siamo invece alla ricerca della comodità totale, tutto deve essere sicuro e parlo anche della riuscita sul tiro che, mal gradato ma gratificante, è riuscito a tutti quelli l’hanno tentato. Posti comodi, gradi comodi… e tutti in fila a seguire la scia, anche se questa performance non è nelle tue corde. C’è da sperare che questi esempi positivi facciano almeno pensare. Che diano anche senso all’opera di chiodatura…

A volte mi chiedo se avrebbe senso chiodare e conservare solo i "riempipista". Di una intera falesia c’è la fila solo su quel tiro che riesce a tutti,  che viene montato una volta sola e per tutto il giorno, la mattina presto e magari con il bastone.

Progetti, obiettivi a lungo termine… ormai sono cose superate. Ne sono un pochino amareggiato, ma la passione è tale che mi piace ancora aprire itinerari che possano essere progetti dove fare più che fatica. Questo piacere ancora supera l’amarezza del vedere questo paesaggio fatto di persone che in sei week end nella stessa falesia arrivano a conoscere due tiri: il riscaldamento a memoria e il progetto che si prova da sei mesi….

Sembriamo due vecchi brontoloni e allora dirotto la discussione sui giovani. Come li vedi? Parlo dei tuoi, di quelli che frequentavano il Rocodromo nel periodo di emergenza prolungata, che fine hanno fatto?
All’inizio ho visto molto entusiasmo nella possibilità, con le dovute accortezze, di passare un ora insieme. Un po’ perché, comunque, reduci dallo stare a casa da scuola e impossibilitati nel vedere gli amici, le 2/3 occasioni di fare agonismo era un fatto positivo. Adesso non saprei… mi ritrovo come prima della pandemia con scarso impegno alla fatica e al sacrificio. Chiaramente ci sono i campioncini con motivazioni diverse… ed è difficile capire se è vera passione o gratificazione immediata. È un periodo di grande crisi dello sport. Un genitore, l’altro giorno, mi diceva che i ragazzi, oggi, hanno già tanto ed è per questo che è difficile trovare la voglia di stringere i denti per riuscire in uno sport. Non parlo solo dell’arrampicata… ma forse l’essere uno sport minore non aiuta. Fino a quando si gioca, ok, loro ci sono, ed è indubbio che le sale d’arrampicata hanno allargato il gioco. La gente non vuole rendersene conto, ma i gestori l’hanno ben capito: abbiamo delle sale gioco, poi la chiamiamo sala boulder… e va bene, ma non raccontiamola diversamente; vorrei essere sincero e dire la verità: è una sala gioco dove tra appigli attaccati ai pannelli si può cadere su un materasso. Il riflesso di questo è il successo delle vie plaisir… gradi facili chiodati bene. Ecco la massa… che gioca. Faccio l’esempio delle maratone, sono nate con 50 iscritti mentre oggi riempiono le strade… ma il 90% ci mette oltre 6 ore. L’arrampicata ha fatto lo stesso "giro", è uguale, ma va bene… non deve essere uno sport elitario, però dobbiamo essere corretti con noi stessi, con la federazione, anche lei deve essere corretta. Perché va tutto bene, ma mi spiegate perché dopo i 18/20 anni scompaiono tutti? O diventano campioni o spariscono. Hanno sempre tergiversato in federazione. L’impressione è che non interessi molto "il movimento" e fanno finta di non sentire. La grande “federazione”, quella che funziona, quella con un gruppo appassionato e capace, è la federazione che a 18/20 anni non perde tutti gli iscritti. Loro guardano solo i numeri ma c’è qualcosa che non va. Poi se guardi gli iscritti gonfiati dalle sale gioco… va bene, ma la federazione dovrebbe fare un passo in più, guardare allo sport e allungare in qualsiasi formula l’attività agonistica. A livello scolastico è stato fatto poco se non pochissimo e sempre al livello di alcune associazioni. Ora c’è la vetrina delle Olimpiadi ma non si deve tralasciare tutto il resto, questa, rimane una pecca.

Donato, chiudo con due domande…. Provocatorie se vuoi. La prima: torna il Rock Master (pur rimaneggiato) …vai a tracciarlo? La seconda è più una curiosità che ho, perché io ti vedo non tanto come il fiore ma quanto come la radice di questo sport. E allora, la curiosità è quella di sapere se dalle tue mani nascono percorsi più d’arrampicata e meno parkour…

In verità penso che le mie capacità siano sempre migliorabili e perfezionabili, in questo senso sono aperto a tutte le proposte, certo, sono critico quando si perde troppo il contatto con la reale pratica su roccia. Per quanto riesco, nelle mie possibilità, cerco di variare il più possibile, ancora adesso l’arrampicata si sta evolvendo in modo incredibile, ma non bisognerebbe dimenticare mai cosa è veramente possibile fare sulla roccia, perché l’arrampicata è quella, poi che si voglia contaminarla con movimenti di ginnastica artistica o parkour, ecco, io penso non sia giusto. Se tu riesci a fare determinate cose sulla roccia, allora puoi trasporlo. Dal punto di vista delle prensioni, quello che si riesce a tenere, nulla da dire, ma da un punto di vista di movimento… non sono certo il vecchio che vuole fermare l’evoluzione, sarei un pazzo… ogni volta che posso lavorare con qualcuno che ha uno stile diverso dal mio, io sono contento, lo apprezzo e per me diventa qualcosa da acquisire. Diciamo che vorrei tracciare per lo stesso sport e non per un altro… Poi, sì! Il Rock  Master, certo che vado a tracciarlo… con un pochino di rimpianto per la formula del vecchio Rock Master…

È così che Donato si riaccende e prosegue, mi spiega la nuova formula… ma io mi sono perso. Sono altrove, forse in un’altra vena, una vena che non trasporta solo sangue ma vita. Una vita paziente che attende di essere riossigenata e rilanciata da un cuore. È evidente e non è solo arrampicata… allenarsi a resistere dilata le vene, al punto tale che… ci si può far passare di tutto.

Ripartire quindi, come Sisifo, rifare tutto daccapo, smontare e rimontare una via, ma contenti, appunto per questo dell’intensità della vita, certo, ma anche delle sequenze che si tracciano!

di Andrea Tosi

Link: Wild Climb




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