Alex Honnold, l'arrampicata e la migliore versione di sé stessi
"La paura? È solo una questione di quanto sai allargare la tua zona di comfort. E quanto sai allargare la tua zona di comfort dipende, alla fine, da quanto duro ti alleni."
"La velocità? Ha senso se è il risultato di un modo di procedere pulito e efficiente, ha senso se andare veloce non vuol dire aver fretta"
"No, non mi dà fastidio vedere Yosemite quando è affollata. E’ come quando sei in autostrada e ti lamenti del traffico: tu sei il traffico, e anche io sono il traffico a Yosemite".
Sono solo tre delle perle che Alex Honnold regala nel corso del suo incontro con la stampa prima, e con centinaia (più di mille forse?) di appassionati poi, che si è tenuto l’11 ottobre presso il palazzetto dello sport di Barzanò, organizzato da DF Sport Specialist. Il 186esimo evento, tiene a precisare il patron Sergio Longoni, che ha avuto modo di ospitare nel corso degli anni praticamente tutti i più grandi alpinisti contemporanei.
Inutile cercare di presentare Alex Honnold, che dire un fuoriclasse che non sia già stato detto? Il suo soprannome, nella community dei climber, è "No Big Deal", "niente di che" potremmo tradurre, e forse questo lo descrive meglio di qualsiasi altra parola perché il re dell’impossibile (una definizione che non amerebbe senz’altro) è anche il re dell’understatement. Un understatement genuino, il suo, quello di uno che spiega ciò che fa con precisione, ma senza un filo di enfasi, che ripete tante volte la parola "process", per far capire che noi sì, lo vediamo arrampicare senza corda, ma che quello che vediamo non è che la punta di un iceberg di cui non sappiamo immaginare la vastità. "Non mi aspettavo tanta popolarità ma non mi sorprende" dice "perché vedere arrampicare senza corda è molto scenografico, esteticamente bello, pulito". Lo sa – ma non gli interessa - che ciò che un po’ morbosamente attrae tanti è anche il flirt con quello che i comuni mortali chiamano pericolo, il mettersi a fare qualcosa dove non è concesso sbagliare, nulla insomma in cui qualcuno di noi possa ritenersi un grande esperto.
"Tutti mi chiedono come si faccia a superare la paura, ma questa non è una cosa che io possa dire. Quello che posso fare, piuttosto, è parlare del tipo di percorso e di allenamento che mi porta a farmi sentire bene in una situazione che prima mi sembrava spaventosa". Parliamone allora, di questa Freerider. Nove anni per pensarla, un anno e mezzo di allenamenti mirati, interi tiri mandati a memoria e meno di 4 ore per salirla. Un tentativo mandato a monte da un incidente alla caviglia e una stagione persa. La determinazione nel riprovarci e alla fine la riuscita.
Inutile soffermarsi sui dettagli tecnici di una salita che è semplicemente un passo avanti per l’umanità. Senza tema di esagerare, perché credo che quando qualcuno supera un limite tutti possano in qualche modo prendere una fetta di torta, a patto solo di essere in grado di gustarla.
Honnold insomma fa quello che fanno i fuoriclasse, lo spiegava tempo fa Emilio Previtali molto meglio di quanto potrei fare io: "…smontare la parola impossibile in tanti pezzetti più piccoli, in tanti piccoli possibile da mettere insieme, forse è questo in alpinismo il vero e unico significato della parola conquista: andare oltre e prendere, portare indietro a beneficio degli altri."
Non resta che provare a seguirlo allora, in questo cammino sportivo e umano che è davvero un Sentiero Luminoso: da Moonlight Buttress (5.12+ / 7c, 365 m) nello Zion, alla parete Nord Ovest dell’Half Dome (5.12 / 7a/b, 670 m) nella valle di Yosemite, per arrivare a una delle imprese che forse ha amato di più: il concatenamento tra Mount Watkins, l’Half Dome e El Capitan, tre big wall salite in giornata. Per andare dove, alla fine? A trovare, come dice lo stesso Alex nell’intervista con Mark Synnott, "La miglior versione di me stesso". Scusate se è poco.
di Simonetta Radice
La serata è stata organizzata in collaborazione con La Sportiva