Un vecchio, un bambino e l'arrampicata come gioco da ragazzi
La passione di scalare non ha età: Andrea Chelleris, nato nel 2009, classe quarta elementare, lo scorso mercoledì 24 Ottobre ripete Exit, 8b+ nella strapiombante falesia di Cavazzo carnico, via liberata da Mr. Adam Ondra. Il talento si tramanda quindi, perché Andrea è figlio d’arte di Michele Chelleris, uno dei ragazzi dello zoo di Erto, di quelli della prima generazione, la stessa di Icio Dall’Omo, Mauro Corona e il sottoscritto. Ricordo Andrea ancora piccolo e ben infagottato in passeggino, anni fa in quel di Erto, accudito da mamma Simonetta e papà Michele, che si davano il turno per non perderlo d’occhio, fra un tiro e l’altro.
In poco tempo questo bimbo stupisce sugli sci (discesa); da 3 anni consecutivi è campione di categoria del Friuli Venezia Giulia, oltre che attualmente quarto ai campionati italiani. Andrea scia fluido e composto, uno stile insolito per la sua età, ma giocoso e genuino è anche il modo con cui affronta la scalata. I genitori lo accompagnano ad arrampicare perché arricchisca il suo bagaglio di esperienze motorie, e possa divertirsi giocando, in un mondo pieno di stimoli. Simonetta e Michele, giustamente, non forzano Andrea, nessun fiato sul collo: concordano con i più recenti studi di scienze motorie, che sottolineano l’importanza di una base ampia di esperienze per poter far crescere al meglio i ragazzi. L’atletismo specifico precoce ne ha stancati troppi (per non dire bruciati), e Andrea continua a giocare scalando riuscendo a ripetere l’autunno scorso il suo primo 8a; seguito da un 8a+ e due 8b, prima del colpaccio di Exit. Viene quasi da sussurrarle, queste imprese, per non disturbare un bambino che gioca!
Stanco morto per una delle tante settimane con 22 ore di lezione in palestra, dove ho fatto giocare 214 ragazzi di 11 classi della scuola media (non proprio così composti come Andrea…), mi dirigo a Ospo, senza grandi aspettative nella riuscita del mio eterno progetto, un sogno che coronerebbe quarant’anni di arrampicata. il Mostro di Ospo, Osapska Posast in sloveno, 8c con 56 metri di sviluppo, inutile dirlo, ultra strapiombante. Sono in forma, mi manca poco perché son caduto in alto un paio di settimane fa: ma quel poco potrebbe rivelarsi troppo…
Parto deciso, senza tensione, non ho nulla da perdere, tanto vale giocarsela e pensare solo a scalare. Non penso ai nuvoloni neri che annunciano il diluvio imminente con il conseguente arrivo del lago alla base della grotta, che la renderà impraticabile. So che ho a disposizione un solo tentativo nell’ultimo giorno utile, prima del "monsone" autunnale, ma sta volta stranamente non mi agito, salgo curioso di "giocarmi" in continuità i piccoli particolari scoperti la volta scorsa, che dovrebbero aiutarmi ad arrivare più in alto.
Il Grottone di Ospo mi diverte, proprio perché è disseminato di canne e funghi che rendono ogni tentativo diverso dal precedente: la roccia è talmente articolata che si scopre sempre qualcosa di nuovo, e dopo 40 anni "di crode" sembra di giocare anche a me! Riesco a trovare un nuovo aggancio di piede sinistro che mi dà la possibilità di rianimarmi, dove di solito giungevo finito e zeppo di ghisa. Supero il punto dove cadevo trovandomi per la prima volta in continuità, dentro la piccola nicchia finale, prima della sequenza di uscita su tacche; mi sento 90 anni sulla gobba, altro che 55!
Fortuna che in quell’angusto antro claustrofobico, ansimando fra le cacche dei colombi, son riuscito a ripigliarmi… Duretta giocare a questa età, coi piedi malconci, la protesi d'anca eccetera eccetera; ma oggi mi è riuscito ancora, oggi ho giocato anch’io!
di Sandro Neri
Nota: Planetmountain.com e l’autore del presente articolo raccomandano ai lettori il massimo rispetto per la privacy del ragazzo citato e per la sua famiglia: proprio per non turbare la serenità, e il gioco, di un bambino.