Martina Cufar: arrampicare in Yosemite, Indian Creek ed altro ancora

Dal 15 aprile al 15 giugno Martina Cufar ha viaggiato negli Stati Uniti per il suo primo approccio ad Indian Creek, Yosemite, Tuolome Meadows ed i Needles..
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Martina Cufar su Scarface 5.11, Indian Creek, nel 2007
Arnaud Petit

A metà Aprile Martina Cufar è volata dalla Slovenia all’America dove, assieme a Stephanie Bodet, Arnaud Petit e Sean Leary ha viaggiato per un mese scoprendo le gioie ed i dolori dell’arrampicata tradizionale negli States. Partendo da un umile inizio con fessure di 6a off-widths fino ad arrivare a salire Sua Maestà El Capitan in Yosemite lungo la via Golden Gate. Ecco il suo interessante racconto di viaggio.

Arrampicare in America – incantata da El Capitan di Martina Cufar
Nel 1997 sono andata in Yosemite Valley il giorno prima di una gara a San Francisco. Solo uno sguardo a El Capitan fu sufficiente perché rimanesse nei miei sogni per quasi 10 anni. In tutti gli anni di competizioni che seguirono la parete era sempre là, da qualche parte nella mia mente. “Quando finirò di competere andrò a scalare El Capitan”, sono state le parole che mi sono ripetuta infinite volte.

E le parole sono diventate realtà
Giusto prima della mia ultima gara ho trovato un gruppo disposto ad andare negli USA e ho comperato il biglietto. Mi sono unita ad un gruppo di tre arrampicatori francesi; due di loro li conoscevo già bene dal mio periodo di gare, Stephanie Bodet e Arnaud Petit, mentre il terzo era Nicolas Khalisz. Tutti avevano già molta esperienza con l’arrampicata tradizionale e le big wall (l’anno scorso hanno salito la Cascata degli Angeli in Venezuela). Io invece ero una “pivella” in questo tipo d’arrampicata per cui ero felice di far parte di un gruppo così esperto. Subito prima di partire Nicolas si fece male, così restavamo in tre, ma ero certa che avrei trovato un compagno. Anche perché non avevo particolari progetti; solo acquisire più esperienza possibile nell’arrampicata in fessura, nel piazzare le protezioni e nelle tecniche usate nelle big wall… poi, naturalmente, salire El Capitan, a tutti costi. Il viaggio era abbastanza costoso per me dato che non avevo nessuna attrezzatura per l’ arrampicata trad, ma sapevo che questo sarebbe stato un buon investimento per il futuro.

Indian Creek – è possibile arrampicare in fessure e divertirsi?
Questa è stata la mia domanda dopo la prima esperienza con l’ arrampicata in fessura. Tutto fa male: mani, piedi, e tutto corpo soffrono. Abbiamo iniziato il nostro tour americano da Indian Creek (Utah), conosciuta per le sue incredibili falesie di arenaria con perfette fessure. Ci sono molte vie verticali e diritte, alte 30 metri e più e di differenti misure. Niente appoggi per i piedi, niente tacche per le mani. E quando non capisci come ti devi incastrare diventa un grande problema. All’inizio non sono riuscita a salire nemmeno un 5.10 (6a). Ma non mi scoraggiai, ero disposta ad imparare. Oltretutto avevo buoni esempi attorno a me che mi dimostravano che l’ arrampicata in fessura è facile. O almeno sembrava facile guardando Stephanie, Arnaud ed i locals arrampicare. Ho imparato che le tecniche usate nell’arrampicata in fessura (ed i muscoli usati) sono veramente differenti da quelli da me conosciuti nella mia quasi ventennale carriera.
Dovevo farcela anche con un’altra novità: non c’ erano spit. Non avevo mai posizionato un Camalot nella mia vita, e all’inizio questo mi ha inquietato non poco. Quando stai lottando con una fessura è difficile trovare il giusto Camalot, piazzarlo bene e arrampicarci sopra. Ho messo parecchi giorni prima di superare la paura di cadere su una mia protezione.
Nonostante tutti i problemi, le sofferenze ed i dolori muscolari, mi sono svegliata ogni giorno con nuove motivazioni. E i miei sforzi sono stati presto ripagati. Sentivo i progressi che stavo facendo Che sollievo! Ero in grado di rilassarmi nel mezzo di una via e ammirare il panorama grandioso attorno ad Indian Creek. Ho salito il mio primo 5.11, poi un 5.12, ed ero tanto felice quanto avessi fatto un 8b! Nell’ultima sera ero veramente vicina a fare Ruby's Cafe 5.13a, una bella fessura di dita, che Stephanie aveva salito il giorno prima. Ma nell’arrampicata in fessura i gradi non sono così importanti come nel calcare; la difficoltà dipende molto dalla misura della fessura. Per gli europei, le fessure di dita sono facili mentre le off-widths veramente difficili.

Avevo guardato il film “Return to Sender” dove tutte le tecniche di incastro sono mostrate veramente bene: sembrano molto più facili di come siano poi veramente! L’arrampicatore descrive la misura della fessura con i colori dei vari Camalot. I miei favoriti erano il rosso ed il giallo (incastri di mano), non mi piacevano il verde ed il viola, dove bisognava incastrare le dita – povere! Si tratta di arrotolarle e spremerle come se il giorno dopo volessi comprarne un nuovo paio al supermarket! Ma la peggiore è la fessura fuori misura (off-widths), dove devi incastrare entrambe le mani e, contemporaneamente, anche ginocchia e cosce…

Sua maestà - El Capitan
Dopo avere imparato queste cose era già ora di spostarsi in California. E non eravamo gli unici a farlo. Maggio è il periodo dell’anno in cui diventa troppo caldo nel deserto (Indian Creek) quindi gli arrampicatori si spostano, come nomadi, in Valle (Yosemite), dove le condizioni diventano perfette per le scalate.

Stephanie e Arnaud volevano salire Free rider, quindi io dovevo trovare un partner, e sono stata veramente fortunata! Ho incontrato Sean Leary, un local della Valle. Aveva già salito tutte le vie classiche e il suo progetto quest’anno era di salire in libera The Golden Gate (5.13b, 41 tiri). E’ stato un grande maestro per me. All’inizio abbiamo progettato di salire un paio di vie classiche per capire il granito, le technique utilizzate neile big wall ecc. Ma poi le condizioni in Valle erano cosi perfette che lui ha voluto iniziare subito il suo progetto. Il mio secondo giorno in Yosemite, ed ero già su sua maestà El Cap! Mentre camminavo alla sua base mi è venuta la pelle d’oca su tutto il corpo: questa parete emana un’energia speciale!

Fare una via su El Capitan significa implementare la tattica giusta. E ancora una volta tutto era nuovo per me! Siccome Free rider e Golden Gate hanno i primi 24 tiri in comune, abbiamo fissato le corde fino al Hollow Flake assieme a Stephanie e Arnaud. Il giorno dopo abbiamo recuperato i nostri grandi e pesanti sacchi fino a questo punto per poter salire velocemente e leggeri almeno sulla prima parte della via durante la salita “vera”. E’ incredibile quanto mangiamo e beviamo! Ero consapevole di questo mentre mettevamo tutto negli haulbags, e ancora di più quando li stavamo ricuperando! Erano cosi pesanti, dovevamo essere in due all’altro capo della corda per tirarli su, e abbiamo faticato non poco a recuperarli lentamente su per la parete. E ovviamente si sono incastrati dietro ogni possibile angolino!


Golden Gate
Dopo un giorno di riposo (risalire con le jumar e recuperare i sacchi è stancante!) abbiamo iniziato The Golden Gate alla prima luce del 14 di maggio. Un orso appena 10 metri dall’attacco mi ha convinto ad andare veloce ;-) e sei ore dopo avevamo già raggiunto i nostri sacconi in parete. La prima sezione della via non è particolarmente ripida, ma questo non significa che è facile. Ci sono delle placche tecniche non facili e probabilmente il tiro più lungo su El Cap, The Hollow flake, che io ho chiamato The Horror flake. Prima sali fino ad un vecchio chiodo, poi scendi in Dülfer giù per una lunga fessure di dita, traversi, poi inizi un off-width di 20 – 30m improteggibile. Alla fine l’unico chiodo si trova circa 15m più in basso a destra. Non devi neanche pensare alla possibilità di cadere!
Dopo il Hollow Flake abbiamo rallentato un po’ a causa dei due sacconi che pesavano più di 100 kg (15 galloni d’acqua). Ma non era tutto; alla fine della giornata ci aspettava il Monster Crack 5.12a! Questa off-width di 40m, anche chiamata “The European crux” ovvero il passaggio chiave europeo, per me si è rivelata il punto più duro di tutta la via! Sean l’ha fatta in scioltezza, io invece ero persino troppo stanca per provarla, quindi l’ho salita il giorno successivo, dopo una lotta di quasi un’ora. Sali 4 cm e scendi 3 per ogni passo, ti arrendi quasi ma poi miracolosamente il tuo piede rimane incastrato da qualche parte e questo ti permette di prendere fiato e trovare le forze per continuare, centimetro per centimetro...

Nei giorni successivi eravamo lenti, non soltanto per i sacchi, ma anche perché i tiri nella parte alta di El Capitan, dove questo tende verso lo strapiombante, diventano più difficili. Sopra El Cap Spire, The Golden Gate si separa dalle più affollate Salathe e Free rider. Ergo: non c’erano più tracce di magnesio, la linea non era ovvia e c’era un po’ di vegetazione nelle fessure. A volte anche le soste non erano spittate. Ma a questo punto avevo già iniziato a fidarmi dei Camalots.

Poi siamo arrivati alla prima noce da rompere: un traverso in discesa verso destra di circa 10m. Il muro era come uno specchio, con soltanto una lista e un appoggio svaso molto in basso. Per me troppo distante. Ho cercato una soluzione per un po’ (perché credo che ci sia sempre un metodo, anche se sei piccola) ma poi mi sono arresa. Non volevo perdere troppo tempo li. Il mio intento non era di salire El Capitan in libera, ma di imparare il più possibile e di aiutare Sean a realizzareil suo sogno. Dopo più di 20 tentativi Sean è finalmente riuscito a fare questa sezione in discesa, e molto d’equilibrio. Tutti quelli che hanno fatto la via (anche Yuji Hirayama che ha liberato questo tiro in un’ora e mezza) dicono che questo sia il tiro più difficile e nessuno sa come i fratelli Huber abbiano potuto darlo gradarlo soltanto come 5.12c.

Il più delle volte siamo saliti in alternata, ma avevo calcolato tutto per bene, così non ho mai dovuto fare quei paurosi off-width da prima ;-) Al quarto giorno abbiamo raggiunto il primo dei tre tiri di 5.13. Non sapevo ovviamente cosa aspettarmi, specialmente dopo le difficoltà neli’ off-widths di 5.11. Fortunatamente però questi tiri erano più “stile europeo” – alcune tacche, svasi e se c’era una fessura, era per le dita. Ho persino flashato due di questi tiri, The Golden desert e The A5 traverse! Mentre su The move pitch sono rimasta bloccata da un passaggio che non sono riuscita a risolvere.

Il sogno di Sean di salire la via in libera si è purtroppo frantumato sul Traverse: era così vicino a farlo… l’aveva provato 5 volte ma dopo 6 giorni sulla parete era comprensibilmente senza benzina. La decisione di continuare verso la cima senza aver liberato quel tiro era difficile. Ma non avevamo abbastanza cibo e acqua per un altro giorno... In cima, dopo 41 tiri e 6 giorni avevamo entrambi un enorme sorriso in volto. Dopo tutto avevamo salito la via in libera (credo sia stata la 5a ripetizione, ma non ne sono sicura). E’ vero, non in uno stile ideale (perché nessuno di noi era capace di salire tutti i tiri in libera) ma le big walls sono state salite in squadra e quindi questo era “il nostro risultato”. Trascorrere sei giorni in parete è stata un’esperienza indimenticabile. Ho dormito in parete per la prima volta, con centinaia di metri d’aria sotto di me. Ho amato l’esposizione!

Dopo Golden Gate abbiamo salito altre classiche (non tutte in libera) come Astroman sul Washington Tower (350m, 5.11c), Regular North West Face 5.12.d su Half Dome (23 tiri in giornata). Poi, quando è diventato troppo caldo per Yosemite, ci siamo spostati in alto a Tuolome Meadows e ai Needles, dove abbiamo salito vie più facili di 4 tiri.

Tra una via lunga e l’altra mi sono “riposata” su vie più corte e boulder. Non la più difficile, ma certamente la più famosa è stata Separate Reality 5.12a. E’ stato Ron Kauk che nel 1978 ha salito per la prima volta questa incredibile fessura che incide il tetto, e le foto pubblicate sulle riviste avevano portato un’altra leggenda in Yosemite - Wolfgang Güllich, che più tardi l’ha salita senza corda.

Fine della avventura
La fine della mia avventura è stata abbastanza tumultuosa, ma non ha avuto niente a che vedere con l’arrampicata. A parte gli enormi ritardi negli aeroporti, il mio gomito gonfio (che mi aveva reso impossibile l’arrampicata negli ultimi giorni) ha reso il ritorno un incubo. I ritardi all’aeroporto JFK mi hanno bloccata per altre 24 ore, con il mio gomito che cresceva di minuto in minuto. Invece di dormire in qualche bel albergo, sono rimasta in ospedale “sotto” antibiotici. La mia lunga lista di “prime volte” è quindi diventata ancora più lunga: primo viaggio in ambulanza, prima notte in ospedale, prima infusione di antibiotici e, al mio rientro in Slovenia, prima narcosi e operazione... Tutto questo è stato molto più duro che 6 giorni sulla Golden Gate!

Fortunatamente però non era nulla di serio, Tutti i miei muscoli e tendini sono a posto, e spero di ritornare ad arrampicare entro breve. Il tutto è stato dovuto ad un’infezione del gomito. Quando ho contato tutti i tiri fatti in America (190) e i metri saliti con i jumar, non mi sono più meravigliata che il mio gomito abbia cominciato a protestare. Ma non riesco a rimanere ferma se vedo una bella via. E in Yosemite ce non sono tante!


Note: Martina Cufar – 1977
Nata in Slovenia nel 1977, ha gareggiato per 14 anni e ha ottenuto risultati eccellenti: in 260 gare ha guadagnato 32 podi, vinto 6 Master e 3 tappe della Coppa del Mondo Difficoltà, è stata campione nazionale 9 volte, seconda nel campionato europeo 2002 e campionessa del mondo nel 2001. Nel 2006 ha annunciato il suo ritiro dalle gare.

Martina ha salito il suo primo 8c nel dicembre 2005, Vizija a Misja Pec, Slovenia, ha salito fino a 8a+ a-vista, e ha effettuato la prima femminile della famosa via di più tiri Hotel Supramonte, in Sardegna, nel 2004.

Attualmente lavora come istruttrice di sport.


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Golden Gate dai fratelli Huber
Yuji Hirayama Golden Gate in libera
Heinz Zak free-solo Separate Reality
Links www
www.martinacufar.com




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