Giacomo Meliffi in Frankenjura doma Der Ungeheuer sei Mutter

Il racconto del 24enne climber Marchigiano Giacomo Meliffi che in Frankenjura si è aggiudicata Der Ungeheuer sei Mutter, una difficile e alquanto particolare via d’arrampicata trad resa famosa da Sean Villanueva.
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Giacomo Meliffi in Frankenjura, Germania, dopo aver salito Der Ungeheuer sei Mutter nella falesia Vogelherdgrotte
Federica De Angelis

Pensando al Frankenjura, la prima cosa che viene in mente sono i dinamici movimenti su buchi svasi, dove spesso non è possibile infilarci più di una o due dita.

Ma se si scava un po' più affondo, se si girovaga fra i bellissimi boschi confinati fra distese di campi, si trovano rocce dalla più svariata forma e particolarità, con linee in grado di regalarti esperienze incredibili. Una di queste è senz’altro Der Ungeheuer sei Mutter nella falesia di Vogelhergrotte, che tradotta significa la madre della bestia.

L'8 giugno 2019, io (GIacomo Meliffi, o semplicemente Jack per gli amici), Federica De Angelis la mia ragazza e i nostri due cani Rolf e Luna, salpiamo per un incredibile viaggio che ci porterà fino ai confini della Norvegia, a bordo della white whale (il nostro van).

Dopo aver assaggiato un po’ di granito delle valli austriache assieme a due amici che ci hanno accompagnato in questa prima parte, facciamo rotta verso la Germania, destinazione Frankenjura.

Così dopo qualche giorno di arrampicata, mi precipito sotto la fessura, conosciuta grazie all'articolo proprio su planetmountain.com in cui Sean Villanueva faceva la prima ripetizione. E fu subito amore, un viaggio incredibile.

Al primo tentativo cado alla fine del tetto e causa tempo sono costretto a ritirarmi. Per puro caso in quei giorni si teneva il Frankenjura Kletterfestival, e la stessa sera faccio conoscenza proprio con Sean Villanueva. Riesco a scambiarci qualche parola, cosi mi convinco e torno a provare quella splendida linea un paio di giorni dopo.

La fessura comincia con una piccola sequenza in entrata fino ad incastrarsi completamente dentro, piedi e schiena spingono per rimanere all' interno. Nella prima parte, per proteggersi è necessario avere un martello di legno usato per tappare i barili di birra qui in Germania, non possedendolo, completo la prima parte senza proteggermi, sperando di cadere sul crash pad nel caso un piede dovesse scivolare. Poi attacco il tetto, con qualche incastro e un po’ di resistenza riesco ad uscire e a portarmi sul diedro finale, dal quale poi parte un ultima sequenza, non tanto facile, per passare l’ultimo strapiombetto, un paio di respiri profondi e sono fuori, via incredibile! Adesso la Norvegia ci aspetta!

Giacomo Meliffi




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