Etna: le storie delle rocce del Vulcano e dei suoi arrampicatori liberi. Di Massimo Malpezzi
Prima che vi illudiate d’essere al cospetto di rocce perfette, c’è una premessa indispensabile che va fatta: non troverete un racconto dove si descrivono falesie, classiche, segnate e addomesticate da centinaia di spit e dai bei nomi scritti al minio con i loro gradi da performare. Ecco, mettete da parte per un attimo tutto ciò, con questo non sto dicendo che vi sto raccontando di brutti posti, anzi, semplicemente dovrete fare uno sforzo importante distaccandovi da quella idea di perfezione.
Quando mandai alcune foto di questi luoghi primordiali al mio amico Mauro Calibani ebbe, avendo lui un nobile cuore per i luoghi incontaminati, un pensiero illuminante che in poche parole seppe racchiudere quella filosofia di ricerca e di passione: un contesto privilegiato espressione di una natura potente. Bingoooo, in fondo sarebbe stato sufficiente questa didascalia per raccontare in poche parole ciò che alcuni amici Siciliani mi hanno fatto scoprire accompagnandomi in alcuni siti davvero incredibili.
Da quasi tre anni vivo in Sicilia, io Milanese un po' spaesato in questa terra carica di meraviglie, di storia, di cultura e di bellezze naturali. A volte mi dicevo che era troppo per me, anche se abituato agli ambienti selvaggi delle Alpi, ma qui sembrava tutto così esclusivo. Nel 2020, nell’unica parentesi libera in piena estate, ebbi la fortuna di conoscere Marco Puleo, una giovane Guida Alpina che mi accompagnò in quella mia prima esperienza davvero forte, e lo fu eccome credetemi.
Una escursione unica al mondo, salire fino al bordo del cratere centrale dell’Etna a 3340 metri a picco sul mare, camminando verso la cima del cratere scoprimmo di avere alcuni amici arrampicatori in comune e si sa il mondo è piccolo, fu naturale chiedergli se sulle pendici dell’Etna potessero esserci siti di arrampicata. Marco mi racconta che sono state valorizzate alcune aree rocciose, me ne parla con entusiasmo forse perché scalare su una terra viva è diverso che in altri luoghi.
La prima visita con lui fu un gioco perché Costa Fugazza non aveva un aspetto da vera falesia e quando gli fui sotto ebbi la sensazione di trovarmi in una di quelle rocce inglesi tipo Millstone. La fascia era alta dai 4 ai 15 metri e nelle sue pareti più alte, fessure, prue e placche disegnavano forme bellissime lavorate dal caos di eruzioni antichissime.
Noi arrampicatori abbiamo grande immaginazione e già ci vedevo alcune linee di arrampicata, infatti le pareti lasciano spazio all’arrampicata trad senza la necessità di spit, se non alle soste. L’area era già stata visitata addirittura una ventina di anni prima in un'ottica di bouldering, chiaramente erano state scalate le rocce più basse senza corda, anche se un vecchio chiodo Cassin testimoniava l’arditezza di qualche arrampicatore.
Oggi ci trovavamo lì con Marco insieme ad altri due amici, Jonathan Bonaventura, forte climber Siciliano e infaticabile chiodatore e Daniele Maugeri, Guida Vulcanologica, che scoprii poi essere uno degli artefici della falesia arrampicatoriamente parlando. Ed è proprio Daniele a ricordare l’origine di quella falesia. Geologicamente non è altro che parte del "rift di Nord Est" (in gergo tecnico) questa lunga faglia che interessa il lato Nord est del vulcano e che in migliaia di anni è stata interessata da innumerevoli eruzioni laterali dell’Etna, trovando in essa un punto debole da cui far fuoriuscire il suo magma.
Non si viene a Costa Fugazza per scalare "seriamente", si viene per giocare e familiarizzare con le protezioni veloci, le istruzioni sono semplici, godersi prima di tutto l’immensità di questa natura selvaggia al cospetto del Monte Etna che fa capolino sopra la barriera di basalto.
Daniele mi racconta che nel 1998 insieme ad altri coetanei Linguaglossesi, all’età di 14 anni esplorarono questa area: "le falesie dove poter scalare con la corda erano abbastanza distanti da Linguaglossa quindi difficilmente raggiungibili e sprovvisti di adeguati mezzi di trasporto, così, illuminato da alcune riviste in cui si parlava del "bouldering", iniziai a mettere le mani su quello che avevo a portata di mano: roccia lavica e basalto. Allungando un po’ il tiro, spostandomi col mio rumoroso endurino 75cc, iniziai a mettere le mani su quella fascia rocciosa, netta, compatta, con quelle fessure, tacche nette, spigoli che sembrano tagliate con la scure. Aprimmo le prime linee boulder, spesso troppo alte per un solo crashpad, ma in un ambiente unico che aspettava di essere giustamente rivisto in ottica trad."
Quando si parlava di "contesto privilegiato" il concetto è decisamente questo, il sole che scotta, il fumo dell’Etna che fa i capricci e questo paesaggio bucolico che ci fa cadere con l’immaginazione su un altro pianeta.
La tradizione universale, per chi torna dalle rocce, è un birra ghiacciata e un piatto di maccheroni siciliani al Rifugio Ragabo. Daniele sorridendo racconta che con la corda ci si limitava a scalare nelle falesie già attrezzate come quella di Castelmola (Monte Ziretto) tristemente chiusa, all’Acquarocca, a Bronte (al Roccazzo di Canalaci), o sporadicamente a Spisone (allo Stockholm) poi crescendo ed entrando in possesso di un'auto per lo più ci spostavamo nel Siracusano o a San Vito dove facevano dei campeggi/arrampicata.
Scopro che esiste un altra'area di arrampicata, Marco infatti mi svela che dentro un cratere antichissimo a nord di Nicolosi, alcune fasce rocciose hanno dato vita ad un'idea folle, quella di arrampicare dentro ciò che fu il caos vulcanico. Jonathan sorride e mi dice che la dentro là è pazzesco scalare, sei immerso in una natura che ti avvolge completamente. Grazie alla preziosa sapienza di Daniele, guida vulcanologia, mi racconta un po' la storia di questo cratere denominato Salto del Cane, si tratta di un eruzione laterale dell’Etna risalente al 150 a.c. Super: quando ci andiamo?
Detto fatto e due giorni dopo ci inerpichiamo con l’auto su una strada sterrata davvero impervia immergendoci in un fitto bosco, la giornata è di quelle uggiose ma non fa freddo, le nebbie salgono e scendono proprio come fossero fumi di lava regalando all’ambiente un'esplosione di emozioni.
Il sito geologico e naturalistico è di primissimo livello, dentro questa caldara spenta da migliaia di anni vivono alcune tipologie di lecci, il pioppo tremulo, il sorbo mediterraneo, la roverella, alcuni esemplari monumentali di faggi, lo spino santo e la rosa canina. Già basterebbe per lasciare la corda nello zaino e gironzolare dentro l’antico catino. Arrampicare in questo sito significa tuffarsi in un mondo solitario e selvaggio. Una scelta particolare davvero fuori dai circuiti più classici. Leggo nel viso di Marco la soddisfazione nel capire quanto sia felice di condividere questa esperienza.
Al primo impatto la bastionata incute un po' di timore, aggettante, complice anche l’umidità che a tratti bagna il basalto scuro con le sue striature arancioni. Facciamo un giro alla base, le linee di salita sono tutte disegnate adattandosi alle fessure e ai piccoli diedri, si capisce subito che questo tipo di arrampicata esige decisione. Dentro il cratere ci sono ancora due settori che potranno essere valorizzati e con il tempo sono sicuro che ragazzi sapranno tirare fuori altre belle vie.
Ricordo invece che vagai non poco per cercare le rocce dell’Acquarocca, altro sito tutto Etneo, basalto puro, lucente, scivoloso posto a Pian del Vescovo, entrata naturale per osservare la maestosa valle del Bove. Una vera e propria colata lavica.
L’Acquarocca è un settore storico, gli apritori furono Mario Tropea e company, con diverse richiodature e interventi. Daniele mi racconta: "Per noi la storica falesia è stata da sempre un riferimento per quanto riguarda l’arrampicata su basalto, se vent’anni fa nel nostro piccolo ambiente di nicchia, dicevi di scalare all’Acquarocca, eri già di un altro livello, come se scalassi sul Dru o Grand Capucin per l’ambiente, il tipo di arrampicata non banale e per la poca esperienza che avevamo."
La formazione rocciosa è molto particolare, quella che a primo sguardo sembra una cascata di roccia in realtà è il lato, il fianco di un "Dicco intrusivo" formatosi tra i 15.000 e i 30.000 anni fa, levigato dallo scorrere dell’acqua… La falesia di Acqua Rocca è un microcosmo vulcanico di inestimabile bellezza, un angolino sperduto in una foresta di faggi maestosi. Arrampicata mai banale, delicata e di grande movimento. Imperdibile per chi voglia provare la brezza del basalto Doc.
Mentre sorseggio la mia birra conosco meglio Jonathan, carattere forte e risoluto, niente fronzoli, tanta passione, un fisico da paura e voglia di lasciare il segno attraverso le sue linee che chioda da ormai 15 anni ovunque sull’isola. Certo, mi dice: "Qua siamo in pochi, anzi in pochissimi a darci da fare, il resto sceglie la falesia facile dove passare due o tre orette sui gradi amici anche facendo 200 chilometri." Tra me penso che è storia vecchia quella dei chiodatori che si fanno il culo per gli altri, ma così sembra che vada e bisogna farsene una ragione.
Mi propone una mattinata diversa, quella di andare a visitare la Testa della Tartaruga alla Baia di Mazzarò, siamo sul mare di Taormina, niente corda, solo deep water, libertà assoluta, un'altra idea che mi piace per dare completezza al tour Etneo vedendoci protagonisti di azioni fuori dagli schemi, una scelta, quella del mare, che unisce perfettamente la terra il fuoco in un'unica visione universale. L’approccio alla scogliera avviene traversando il muro a secco che lambisce a sinistra la testa della Tartaruga con le sue rocce a strapiombo su un mare commovente tanto è bello e calmo. Non lo è invece, in questa mattina, l’Etna che dà sfogo al suo nono parossismo, così con un grande nuvolone incombente sulla testa fatto di ceneri vado a godermi l’azione del mio amico climber a pelo sull’acqua.
Jonathan mi racconta che in tutta l’area occidentale, che comprende tutto il comprensorio di Taormina ed entroterra, è di fatto l’unico climber, tanto che i pescatori e la gente del posto, dopo qualche prima perplessità, lo vedono con orgoglio e senza pregiudizi, felici di avere tra la loro comunità una persona che in qualche modo sta spingendo verso un solco di un nuovo piccolo turismo parallelo, quello dell’arrampicata, ma probabilmente soprattutto per il coraggio che per loro sembra pazzia.
Jonny davvero è infaticabile, i suoi progetti, tutti autofinanziati, ci tiene a sottolinearlo con forza, sono tantissimi e tutti di altissimo livello qualitativo. Qualche peschereccio solca a pochi metri le pareti, Jonathan viene salutato calorosamente dai pescatori che non fanno più caso alle sue peripezie.
Mi dice che questa prua è una sorta di valvola di scarico: "quando ho voglia di libertà assoluta. Quando sento la necessità di vivere la mia passione in maniera intima, allora prendo le scarpette il sacchetto di magnesite e vado avanti e indietro, poi su, forzando netti strapiombi, regalando al gesto il giusto premio del mio tempo." Il livello di difficoltà sembra apparentemente contenuto ma bisogna comunque saper scalare bene sul 6c, per il resto serve soltanto fantasia.
La mattinata sta svolgendo al termine, Jonathan vuole però portarmi a vedere la falesia di Stockholm, sito ormai sdoganato e assai famoso per la sua ubicazione praticamente sul mare. In pochi minuti scendiamo sulla spiaggia più a sud, la bastionata è davvero imponente e severa, qui c’è da tirare; a parte un piccolo settore a destra con alcuni tiri dal 6b al 6c tutto il resto è davvero duro, compreso un progetto che potrebbe sfiorare il 9a, ancora tutto in cantiere. Oltre ai tiri vi è anche la possibilità di scalare liberamente senza corda, alcuni traversi e qualche boulder che offre divertimento per chi vuole solo "giocare" con il rumore delle onde alle spalle.
Falesia del Sarbaggio
Si dice che a lambire queste rocce basaltiche sia stato un fiume impetuoso in epoche preistoriche a ricordare le gole dell'Alcantara e deve essere stato davvero tumultuoso per scolpire questo basalto dal colore ocra formando architetture fantasiose. Una porzione di roccia antica migliaia di anni che sarebbe rimasta inesplorata se non che, come spesso accade, ci ha pensato un climber curiosando e facendola diventare una super falesia d’arrampicata. Lui si chiama Nikos Lo Giudice, mi racconta, camminando verso la base della falesia, che la forra già la conosceva quando da bambino andava a farci il bagno e a giocare tra i grandi massi del fiume. "Nel 2011 iniziò a chiodarla sistematicamente con l'apporto, qualche anno più tardi, di Jonathan Bonaventura."
Ci arriviamo in una di quelle giornate fresche, d'altra parte siamo sulle pendici dell'Etna. In una decina di minuti dalle auto, dopo aver percorso strette stradine che si snodano tra le coltivazioni raggiungiamo la parete, il gruppo che mi accompagna è bello corposo oltre a Marco Puleo, Daniele Maugeri e Jonathan si uniscono anche i giovanissimi Giulia Bernardini di 15 anni e suo fratello Mattia di 17 promesse dell’arrampicata Italiana, oltre a Jarmila Kodric e Riccardo Vella. Insomma, una bella compagnia per dare l’assalto alle linee bellissime di Sarbaggio.
Attualmente la location regala due settori ben distinti, quello nuovo si apre imponente per oltre 25/30 metri di altezza per quasi tutto il costone denominato Favazzo, poco prima invece c’è il vecchio settore, con una decina di tiri su una roccia più chiara quasi calcarea su una valletta laterale del fiume per un totale di 35 tiri complessivi. L’arrampicata è particolare ed esige grande equilibrio e tecnica nel risolvere i passi chiave. Falesia assolutamente imperdibile per vivere davvero il gesto primordiale della roccia vulcanica.
Questo è quanto, se vi pare poco… stare dentro una natura simile emoziona corpo e mente e spesso ci si dimentica del grado perché si è distolti da ciò che il Vulcano ha regalato nella sua storia di milioni di anni. Credo che per un arrampicatore dalla mente aperta e vogliosa di scoperte davvero nuove, il comprensorio dell’Etna sia assolutamente imperdibile.
Scheda tecnica
L’area Etnea, dove sono descritte le falesie, si divide in due zone, Etna Sud ed Etna Nord collegate tra loro dalla strada denominata Mare e Neve. Il passaggio tra sud e nord, (rifugio Sapienza fino a Piano Provenzana), vi obbligherà comunque a raggiungere e attraversare Zaferana Etnea che domina tutto l’immenso pendio dei paesi etnei che scendono fino a Catania. In alternativa potete salire uscendo dall’autostrada a Fiume Freddo fino a Linguaglossa e poco dopo Piedimonte raggiungere la falesia di Sarbaggio. Da Linguaglossa si può continuare risalendo fino a Piano Provenzana per raggiungere la falesia di Costa Fugazza.
Da Nicolosi invece, partendo da Catania, si raggiunge la falesia del Salto del Cane in direzione del rifugio Sapienza, poi scavallando, si scende fino a Piano del Vescovo raggiungendo in pochi minuti la falesia dell’Acqua Roca.
Per giocare a pelo sull’acqua semplicemente uscire dall’autostrada per Taormina e scendere alla baia di Mazzarò. Per la strapiombantissima Stockholm parcheggiare immediatamente usciti dal casello di Taormina e scendere i gradini di uno stabilimento abbandonato fino alla spiaggia la falesia è a destra.
Per tutti gli avvicinamenti vedere la cartina.
Per pernottare e mangiare (dcpm permettendo) tutti i paesi adiacenti alle falesie come Nicolosi, Zaferana Etnea, Linguaglossa e i Rifugi Sapienza, Rifugio Citelli, Rifugio Ragabo e Chalet Clan dei Ragazzi (questi obbligatorio prenotare) offrono ampie possibilità.