Action Directe per Marco Zanone in Frankenjura
La prima volta che sono stato in Frankenjura era fine maggio 2014, ero con Andre, Gabriele Moroni ed Ema Gex. Non avevo progetti o idee, perché il posto era totalmente sconosciuto; conoscevo solo i nomi di Wallstreet, Action Directe e poche altre vie. Sapevo però che il posto e lo stile, corto e intenso, non mi avrebbero deluso.
Durante quella vacanza, per raggiungere e provare Slimline sono passato per la prima volta davanti ad AD, subito a fianco. Sinceramente non ricordo cosa ho provato nel vedere quel famoso strapiombo. Non me lo ricordo probabilmente perché avevo un livello talmente lontano dal 9a che il pensiero di provarla non mi aveva nemmeno sfiorato il cervello.
8 anni dopo, il 7 ottobre 2022, mi sono ripresentato sotto la via, questa volta con l’ambizione di salirla. Quel giorno, mentre la guardavo e a differenza di 8 anni prima, ho provato una sensazione di impotenza: ero intimorito da quell’aria sacra che si respira solo lì.
In quel momento era come se qualcuno mi stesse guardando e mi stesse chiedendo: "Sei veramente sicuro di volerla provare?". È stato così che ho deciso di passare da sopra per calarmi dall’alto, come per approcciare la via in punta di piedi, cercando di capire se fossi degno di tentare quella salita.
Ho toccato le prese una ad una, cercando di confrontare le loro fattezze reali con la dimensione e la forma che mi ero immaginato. Arrivato in fondo allo strapiombo, ovvero all’inizio della via, ho visto le prese del famoso lancio. In quel momento, anche se la tensione era calata, il mio cuore stava battendo più forte del normale perché ero piacevolmente sorpreso dalla dimensione delle prese, soprattutto nella parte alta della via. Il salto, comunque, sarebbe indubbiamente stato un rebus da risolvere, prima di tutto nella mia mente.
Neanche sceso a terra e mi ero già attaccato al primo spit: mi sono slegato, ho tirato giù la corda, Emy mi ha assicurato con il grigi e sono partito per il primo tentativo. Ho evitato il lancio: ero freddo muscolarmente e in fondo non volevo prendermi un pugno in faccia così… a gratis!
1,2,3 giri, mi sono concesso quel giorno. Mi muovevo bene, mi sentivo bene, soprattutto nella parte alta, dove si traversa verso sinistra. Facevo un po’ di fatica nella parte appena dopo il lancio e nel tallonaggio a metà via, dove il minimo errore voleva dire ritrovarsi immediatamente appeso alla corda.
Mentre venivo calato dalla catena, ho deciso di fermarmi in cima al pedestallo per provare il lancio e per tirare le somme di questi primi tentativi. Mi sono slegato, rilegato, passato dentro al secondo rinvio e ho guardato verso l’alto. Sì, la presa sembrava su Marte! Ho cercato i piedi per immaginarmi il salto, ho provato a capire come tirare quel buchetto per la mano sinistra. In quel momento mi sembrava impossibile. Era comunque il terzo giorno di fila di scalata, ed era anche il mio terzo giorno in Frankenjura, quindi in fin dei conti non ero molto scoraggiato. Ho pensato che dopo un giorno di riposo mi sarei sentito decisamente meglio.
E così è stato. Ho cominciato a provare il lancio aiutandomi con la mano destra sul rinvio e, qualche tentativo dopo, sono riuscito a fare il movimento vero e proprio. Avevo abboccato all’amo e ora era arrivato il momento di smettere di giocare e di cominciare a fare sul serio!
Proprio quando cominciavo a rifinire le mie methode e a metabolizzare bene le sequenze, il meteo ha smesso di collaborare. So che sembrano solo scuse, ma per me il grado di 9a è al limite e per avere qualche opportunità, avere le giuste condizioni è fondamentale, anche durante i giorni in cui non si ha ancora l’idea di tentare la via da terra.
Trovare confidenza su ogni singolo è qualcosa di veramente difficile e penso ci sia molta differenza tra fare un movimento e farlo con sicurezza. Mentalmente c’è un abisso, perché nel momento in cui parti da sotto con la giusta determinazione, hai la possibilità di creare un flow, un ritmo che ti permette di scalare bene e rilassato.
Purtroppo io quel flow, dopo 4/5 giorni, non lo avevo ancora trovato del tutto. Facevo già dei buoni giri da sotto, ma cadevo sempre lì, a metà: al tallonaggio. A volte mi scappava il tallone, a volte facevo il movimento successivo ma, nel muovere il corpo per togliere il tallone, perdevo tensione e cadevo. Quella sezione lì, quando me la immaginavo, sicuramente mi intimoriva.
Il 23 di ottobre, dopo 19 giorni di scalata, ero riuscito a provare AD solo 5 giorni. Abituato al clima secco spagnolo, ero sicuramente deluso e avevo sempre più dubbi sulla possibilità di salire il tiro durante quel viaggio. Il bosco era già molto umido, in più pioveva ogni 2-3 giorni, tanto o poco non importava.
Ogni mattina appena sveglio guardavo fuori dalla finestra per cercare degli indizi che mi facessero capire che avrei potuto provare la via. Spesso la strada sotto casa era un buon indice di riferimento: se era bagnata, nonostante non avesse piovuto, voleva dire che la notte era stata molto umida.
Alcuni giorni ci svegliavamo con il cielo terso, non una nuvola, ma il termometro segnava 14 gradi alle 9 di mattina. Paradossalmente, era quasi peggio della pioggia, perché fuori dal bosco si arrivava fino a 20/22 gradi, mentre dentro le temperature rimanevano più basse. Questa forte differenza di clima creava la condensa, il che significava avere la superficie della roccia completamente bagnata.
Io personalmente non credo nei miracoli, credo che la fortuna giochi un ruolo importante nella riuscita di un sogno e credo anche che in qualche modo ce la possiamo creare, ma per me non aveva senso continuare a provare la via in pessime condizioni, aumentando solo la frustrazione e il malumore. Penso di essere una persona abbastanza razionale: se non si può, non si può, amen, scalo su altri tiri.
Ovviamente il bello del Frankenjura non è solo AD, ci sono un migliaio di piccole falesie anche al di fuori di quel bosco, dove le condizioni sono diverse. Penso che in fondo, scalare in generale fosse proprio la cosa di cui avevo bisogno, perché oltre ad aumentare il livello di forma e la qualità della pelle, ritrovavo buone sensazioni e sentivo che il mio corpo faticava. Ero stufo di fare qualche movimento e cadere, avevo voglia di ghisarmi e di sentirmi stanco a fine giornata.
Tutti i giorni, più volte al giorno, guardavo Meteoblue: totalmente inaffidabile, ma era il salvagente che teneva la mia speranza a galla. Per martedì 25 ottobre davano vento, ma il lunedì mattina aveva piovuto a dirotto, forse il peggior temporale di tutta la vacanza. Ero già stressato.
Martedì alle 9 sono tornato sotto AD per decidere cosa fare. Era asciutta e sembrava proprio esserci vento. Sono tornato in macchina e sono andato a scaldarmi a Weißenstein: settorino classico attaccato alla strada, con tiri storici di Wolfgang Güllich, Kurt Albert e John Bachar fino al 7c. Alle 11 passate ero di nuovo sotto il tiro. Mi ero portato lo scopino e ho fatto il giro da sopra per pulire l’uscita dalle foglie e spazzolare la via in generale.
Ammetto di aver pensato: "Perché sto pulendo l’uscita? Con molta probabilità oggi non vado neanche fino in catena". Però penso che fosse il mio modo di approcciare la via, in quell’ultimo giorno di tentativi. Volevo che tutto fosse perfetto, anche se non nascondo il fatto che mi piace fare pulizia su un tiro, per renderlo più piacevole da scalare e per evitare di arrampicare sul muschio e sulle foglie.
Sono partito per il primo giro di fine scaldo, faceva un bel freddo, avevo le mani belle gelate come piace a me. Ho fatto le sezioni cercando buone sensazioni e facendo piccoli aggiustamenti sulla methode. Una volta sceso e mi sono riposato. 40 minuti dopo sono partito per il primo tentativo. Ho passato il lancio e ho sentito di avere un flow e una leggerezza mai sentiti prima. Arrivato a metà, ho capito di stare bene e mi sono innervosito. Poi mi è scivolato il tallone. Sono caduto.
Ad alta voce ho cominciato a ripetere a me stesso: "Perché? Perché ho sbagliato proprio qui quando mi sentivo bene? Perché sono stato frettoloso?"… Ero sconsolato, ma mia mamma da sotto mi ha detto: "Perché sei umano Marco". Aveva ragione, non siamo robot, mi sono fatto prendere dall’emozione e ho mandato tutto per aria. Ci avrei riprovato al prossimo giro.
Nel frattempo erano arrivati Danny ed Andi, due amici conosciuti proprio lì sotto. Andy provava AD con me e Danny provava Slimline. La tensione era scesa un po’, si chiacchierava, Andy provava il tiro e vedevo gli altri scalare, ma un’oretta dopo arriva di nuovo il mio turno: niente più scuse.
Ho fatto il salto non benissimo, ho percepito meno fluidità, ma mi sono sentito bene, ho passato il tallonaggio, lolotte, primo intermedio di sinstra, altro intermedio di sinstra, l’ho preso male, ho cercato di alzare il piede e sono caduto. Ero afflitto, nonostante fosse il miglior giro di sempre. Ero afflitto perché mi sentivo bene. Sono ripartito subito per provare il singolo dove ero caduto e l’ho fatto senza intermedio, ma nella mia testa, era già finita.
Toccava ad Andre provare Stone Love, per cui sarei dovuto andare con lui e poi sinceramente fare AD al 4° giro della giornata mi sembrava impensabile. Invece Emy e Andre mi hanno spronato a fare un altro tenativo, quindi ho deciso di rimanere lì con Danny e Andi, mentre Emy assicurava Andre su Stone Love.
Ho deciso di riposare tanto, almeno un’ora se non di più. Toccava di nuovo a me: ho scalato da Dio la prima parte, probabilmente ero un pochino più stanco, ma è in quei momenti che si scala meglio, cercando di ottimizzare le energie.
In questo giro ho preso bene il secondo intermedio, ho alzato il piede e rilanciato ancora di sinistro al buco. L’ho preso e da lì ho cominciato a scalare come un robot. Altro bidito di destra, ho allargato, sono rientrato al mono, verticale di sinistra e ho saltato. L’ho tenuto. In quel momento mi sono svegliato e ho realizzato di essere in cima. In tutta sincerità nella mia testa il traverso finale della via mi sembra di averlo vissuto alla velocità della luce, quasi non direi di avere una sensazione nitida di quel momento.
Ovviamente ho urlato, incredulo e ho subito realizzato di non aver fatto partire il video! Chissà perché è la prima cosa che mi è venuta in mente. Sono sceso. Sotto c’era un sacco di gente, 10-11 climber che si sono congratulati con me. Non ho capito più niente.
Poco dopo ho pensato: "Devo chiamare la Emy per dirglielo". L’ho chiamata ma non mi ha risposto. Poi ho chiamato la mamma, che invece ha risposto subito: "Mamma, l’ho fatta!" e lei: "Anche Andre, è appena sceso!" e intanto urlava ad Emy e a Andre che avevo fatto la via. Sembrerà impossibile ma mentre Andre saliva Stone Love, io stavo salendo Action Directe: nello stesso preciso istante. Cosa voglia significare non lo so, ma penso sia successo qualcosa di incredibile.
Sono rimasto lì sotto al sasso ancora un bel po’ di tempo, per assaporare quel momento e per guardare ancora una volta quella fantastica linea, ma questa volta con uno sguardo completamente diverso.
Tra le varie persone che hanno assistito alla salita c’era questo ragazzo di nome José. Era la sua prima volta sotto ad AD, era venuto lì a curiosare e per puro caso la prima persona che ha visto scalare sul tiro sono stato proprio io durante il giro che mi ha portato in catena.
Ancora adesso, scrivendo questo testo, faccio fatica a credere cosa sono stato in grado di fare, ma ad essere ancora più incredibile è la visione che Wolfgang ha avuto nel salire questa via.
Non vorrei sbilanciarmi troppo, ma per me è ancora più impressionante rispetto a quello che i giganti di oggi stanno facendo. Parliamo di un’epoca in cui tutto era una scoperta, dove niente era scontato. Parliamo di una via che, 31 anni dopo, è ancora una sfida per qualsiasi arrampicatore, anche per i più forti.
È, e rimarrà per sempre, un rito di passaggio, sia per chi ha solo la curiosità di osservare quella pietra miliare dal sentiero, sia per i più ambiziosi che, come me, vogliono provarla.
di Marco Zanone