Volevamo solo scalare il cielo: la Solidarnosc degli Ottomila

Bernadette McDonald racconta la straordinaria vicenda dell’alpinismo polacco degli anni Ottanta in Volevamo solo scalare il cielo (trad. Giovanni Benedetti ed. Versante Sud): La recensione di Erminio Ferrari
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Bernadette McDonald racconta la straordinaria vicenda dell’alpinismo polacco degli anni '80 (versante Sud)
Ne sono morti altri due, in marzo, scendendo dal Broad Peak che avevano salito in prima invernale: un altro Ottomila da registrare nel palmarès già straordinario dell’alpinismo polacco. Una “scuola” che pareva aver subito la fine del regime comunista; non per nostalgia di un sistema, ma perché l’alpinismo estremo fu una maniera di reagirvi, se non proprio di opporvisi, negli anni in cui Solidarnosc imponeva la battaglia per la democrazia e un papa polacco dettava l’agenda ai media internazionali.

L’alpinismo polacco di quegli anni '80 del Novecento si impose sulla scena mondiale per una peculiare dedizione alle salite estreme, tra le quali le ascensioni invernali degli Ottomila himalayani gli valsero un posto di rilievo nella storia. Se al di fuori della stampa specializzata il solo nome di una certa notorietà fu quello di Jerzy Kukuczka – secondo uomo al mondo ad aver salito tutte le cime superiori agli ottomila metri, appena dopo Reinhold Messner – alla prima invernale sull’Everest si legarono quelli di Krzystof Wielicki (poi salitore a sua volta di tutti i 14 Ottomila) e Leszek Cichy. Nello stesso solco si mossero il fortissimo e innovatore Voytek Kurtyka (all’occasione compagno di Erhard Loretan in salite straordinarie), Artur Hajzer e la prima donna (Wanda Rutkiewicz ndr) a tentare (e a morire per) la salita di tutti gli Ottomila.

Un alpinismo la cui fioritura conobbe il massimo splendore negli anni in cui la Polonia era povera e assoggettata alla “fratellanza socialista”, ma ricca di quei fermenti sociali e politici che finirono per contagiare il resto dell’Europa. Ed è Bernadette McDonald a raccontarne la storia in Volevamo solo scalare il cielo (trad. Giovanni Benedetti ed. Versante Sud, pagg. 320, 19 euro), stimolante percorso tra biografie e saggio sociale di una avventura corale e di un periodo irripetibili.

Le vicende della Polonia di allora restano sullo sfondo (si tratta pur sempre d’alpinismo) ma attraverso le vicende di quei giovani pirati delle alte quote si riconosce un’epoca. L’epoca in cui essere cittadini dell’altra Europa significava faticare per avere ciò che altrove era scontato: dal passaporto agli sponsor, dai materiali alle informazioni sui massicci che si intendevano salire. E forse vi è cresciuta sopra della leggenda, ma davvero quei polacchi malvestiti, usi a prendere “a prestito” materiale che qualche incauto lasciava incustodito, contrabbandieri, senza un soldo in tasca, clandestini attraverso frontiere ostili: quei tipi sembrarono trarre da quella condizione forza e motivazioni per arrivare e ripartire da dove gli altri abbandonavano. Al punto di morirne, come spesso capita quando si spostano più in avanti i limiti. O quando si fugge da una prigione. Sta di fatto che fino al 1988 le sole sette salite agli Ottomila in inverno si dovevano ai polacchi.

Negli anni della riconquistata “libertà”, quello slancio è sembrato perdersi in una prosaica “normalità”. Poi il richiamo è tornato a imporsi: delle cinque successive invernali agli Ottomila, tre avevano di nuovo la firma polacca. L’ultima, capospedizione ancora il vecchio Wielicki, al Broad Peak, il 5 marzo scorso: quattro uomini in vetta. Tornati: due.

Erminio Ferrari


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Volevamo solo scalare il cielo
di Bernadette McDonald



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