Un errore di calcolo… 2011, storia di una incredibile nuova via di arrampicata in Oman

Marco Marrosu racconta la storia di Sardinian shortcut (1000m, VI+, R3) la nuova via aperta con Roberto Masia tra il 2 e 3 gennaio 2011 sul versante ovest-nordovest della Kawr Tower (gruppo del Jabal Kawr, Oman).
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Sardinian shortcut: lungo la cresta della parte centrale della via
Marco Marrosu

E’ quando sono all’estero, in paesi di dubbia elasticità mentale in cui è facile lasciarci la pelle a causa della nazionalità, che mi sento più “sardo” che mai. Alla domanda “di che nazionalità sei?” si risponde come alla stessa domanda “di che religione sei?” ovvero nella maniera più generica possibile cercando di buttare fumo negli occhi dell’indagatore. In generale quando mi chiedono da che paese provieni rispondo subito “sono sardo!”. Mi piace vedere l’espressione confusa del loro sguardo mentre cercano di collocare geograficamente quel luogo nel planisfero. Questa dell’insularità si porta addosso come una pelle, dove i confini di un mondo sono delimitati dallo specchio d’acqua che trasforma la nostra isola in un regione a sé stante, dalla quale, per scappare o entrare, devi per forza affrontare un viaggio in nave o aereo. Ecco quindi la spedizione “sarda” mia e di Roberto Masia alla ricerca frenetica del Jebel Misht, una superba parete di mille metri. Anelavamo alla French Ridge e... perché no?, a fare qualcosa di nuovo.

Una decina di giorni erano già passati, durante i quali non riuscivamo a stare fermi un attimo, mettendo a serio repentaglio la nostra vita, quando finalmente all’aeroporto di Muscat arrivarono gli zaini che Alitalia ci aveva (come al solito) perso a Roma. Ormai senza fissa dimora da giorni, vivevamo in una gola da poco sconvolta da una terribile piena che aveva distrutto strade e abitazioni, attendati presso una sorgente termale sormontata da una bella parete di oltre 100 metri. La dura vita era dilaniata da dubbi incresciosi che ci sormontavano ora in parete (guarda che bei pesci da pescare nel laghetto) ora al laghetto (guarda quella bella fessura da scalare). Tornati dall’aeroporto col portabagagli colmo ormai di materiale di scalata ci eravamo, infine e a malincuore, diretti verso l’obiettivo principale della “spedizione”.

Durante la guida discutevamo con Roberto. La conversazione era accompagnata dalla musica arabeggiante che inondava, soffusa, la cabina durante il nostro viaggio e che Roberto aveva cominciato ad apprezzare, obbligandomi al supplizio tutti i giorni. La discussione era di una certa gravità: ci venne il dubbio di non essere pronti per la scalata di una parete di 1000 m, a causa della vita dissoluta dei giorni appena passati. La discussione è la “svolta importante” perchè (dal diario di viaggio) “all’improvviso vediamo delle pareti sulla destra della strada, oltre delle colline! Chilometri e chilometri di pareti alte 400 metri!! E’ come arrivare nelle Dolomiti e sapere che nessuno vi ha mai scalato prima! Ci sembra un ottima maniera per sgranchirci le mani con qualcosa di più alto e metterci alla prova con qualcosa di più basso del Jebel Misht…”.

Mappa alla mano imbocchiamo una sterrata che ci permette di entrare nella vallata. Non esiste un cespuglio, né erba e rade acacie spinose punteggiano di verde tutto quel bianco. Io e Roberto ci alterniamo alla guida e lanciamo il fuoristrada sulla strada bianca lasciandoci dietro alte nuvole di polvere. Guido con lo sguardo rivolto verso le pareti. Roberto è seduto con le chiappe sul finestrino abbassato mentre si tiene con la sinistra alla cappotta e filma con la destra, fuori dalla cabina, l’eroico incedere dell’auto.

Arrivati in prossimità delle pareti fermiamo prima la macchina nascondendola alla vista per evitare di essere... individuati. Ci avviciniamo a piedi come Sioux, passando circospetti da una acacia ad un masso, sino ad affacciarci strisciando sul bordo di una collina. E’ così che notiamo sotto di noi una casa diroccata in cui abitavano 3-4 persone e vari animali. Vista la situazione e l’ora piazziamo l’accampamento alcuni chilometri prima sulla sommità di una collina. Siamo davanti ad una stretta e profonda gola sui cui burroni scorre un esile sterrata che penetra all’interno. Ci sembra di sognare. Certi paesaggi li abbiamo immaginati solo da ragazzini nelle letture dei libri d’avventura!

Piazziamo la tenda con difficoltà, il suolo è duro come pietra, e al posto dei picchetti usiamo i friend e i nut incastrandoli tra massi e fenditure. Con Roberto teniamo il consiglio di guerra, prepariamo il materiale. Il discorso era più o meno questo, con domande ora di uno ora dell’altro: “Quanto sarà alta?” “Quattrocento” “Quanto ci mettiamo secondo te?” “Bah una giornata compresa la discesa” “Avvicinamento?” “Sarà un oretta?” “Acqua?” “Dai, ci portiamo una bottiglia di un litro e mezzo per l’avvicinamento e poi in parete 750 cl a testa appesi all’imbrago, un po’ di caldo si può soffrire..” “Mangiare?” “Beh, portiamo una confezione di Tronky in due, tanto dentro ce ne sono 4 e perciò li dividiamo bene”. Caricati gli zaini in auto, ci apprestiamo ad accoccolarci in tenda nei nostri sacco a pelo. A un certo punto Roberto mi fa “Marco, ma il cibo è ancora in giro?”. E’ in quel momento che ci ricordiamo che la zona in cui stiamo è territorio dei lupi e velocemente ritiriamo e chiudiamo tutto dentro l’auto.

Dopo tre ore e mezza (!) arriviamo alla base della parete. Il litro e mezzo d’acqua comune viene “prosciugato” alla base e con entusiasmo attacchiamo i primi risalti. In effetti eravamo un po’ perplessi perché pensavamo l’avvicinamento fosse più breve. Ma la bellezza della roccia non ci fa pensare che a macinare arrampicata e godere del panorama che si apre a mano a mano che si sale. La pausa per il pasto (un tronky a testa della confezione) passa quasi inosservata mentre ci accorgiamo che i raggi del sole si inclinano sempre più. La giornata sta finendo e dopo almeno 500 metri di roccia arrampicata di tornare indietro non se ne parla. In effetti eravamo perplessi, pensavamo fosse più bassa.

“Robè, non è il caso di tornare indietro.. dopo tutta la fatica fatta!!” “Ma sì, mancheranno pochi tiri ormai, tanto vale accovacciarci in attesa dell’alba!”. Al tiro successivo Roberto trova una cengetta dove possiamo bivaccare. Mentre lo raggiungo mi accorgo però di alcuni cespugli secchi in una fessura. “Roberto, legnaaa!! Dai che l’attacco alla seconda corda e ce la portiamo al bivacco!!” Taglio la legna con l’attenzione dovuta alla presenza dei serpenti, che saltuariamente si trovano in queste situazioni, e appena posso la lego alla corda e Roberto issa il “nostro tesoro” sulla cengia.

Passeremo una nottata tremenda. Sappiamo che la notte del deserto non perdona. Siamo oltre i mille metri di quota, con una maglietta a maniche corte, spessa, io e Roberto con due leggere. Abbiamo circa 1 bicchiere di acqua a testa che dovremo usare il giorno dopo, il freddo è tale che ci sediamo davanti al fuoco con il telo termico e ogni volta che mi sdraio per assopirmi la temperatura del mio corpo si abbassa a tal punto che mi sveglia. Almeno un paio di volte ho rischiato di cadere con la testa dentro il fuoco per un colpo di sonno improvviso.

Alba. Calore, sole. Alle prime luci mi sto addormentando. Sgranocchiamo l’ultimo Tronky. Faccio io il primo tiro per cercare di svegliarmi. Roberto segue. Dopo almeno altri sette tiri da cinquanta metri ci chiediamo quanto cavolo è alta questa parete!!! L’acqua è pochissima e i raggi di sole stanno di nuovo abbassandosi. Spetta ora a Roberto un tiro difficile e mi chiede la cortesia di portare io i suoi scarponi per alleggerirlo. Mentre faccio sicura il sonno è tale che faccio due giri di corda attorno alla mia caviglia per paura di mollare la presa della corda addormentandomi! Roberto sale con titubanza non solo per le difficoltà ma anche perché non sa bene se chi gli fa sicura è cosciente o è già tra le braccia di Morfeo.

Seguono altri tiri e quando alla fine sembrava impossibile… arriviamo in vetta! Mille incredibili e duri metri di sviluppo! Guardiamo il panorama allibiti. Un panorama da visione aerea.

- Marco passami gli scarponi
La voce di Roberto, che nel frattempo si leva le scarpette, rimbomba nella mia testa e lo guardo con aria interrogativa.
-Marco… ajò! Gli scarponi!!
Al secondo sollecito, la mente intorpidita si sveglia e solo allora ricordo di averli dimenticati in una sosta, circa duecento metri più in basso!

Il sole sta calando sul deserto, il freddo e l’oscurità sono un mantello minaccioso che corre inesorabile da est verso ovest. Fossi stato sulla spiaggia, davanti al mare e magari in gentile compagnia, l’avrei sicuramente apprezzato ma ora siamo sulla sommità della parete, con un telo termico, senza cibo e con mezzo bicchiere d’acqua a testa. Ma soprattutto, se adesso abbiamo risolto il problema su come riuscire a salire la parete, ora subentra il secondo, altrettanto importante, da dove e come cavolo fare per scendere!

Con gli ultimi raggi di sole, comunicando ormai a monosillabi e gutturalmente a causa della poca saliva, cominciamo una rocambolesca e interminabile discesa tra cenge e strapiombi, entrambi con narici da segugio, alla ricerca del profumo dell’acqua. Io, per punizione, ancora con le mie scarpette d’arrampicata ai piedi e Roberto calzando i miei scarponi, di un numero più piccolo. Dopo cinque ore e mezza, ormai al buio assoluto e deliranti, cominciamo a sognare le taniche di succo di frutta e i meloncini che ci attendono nel fuoristrada, tra la distesa di acacie sottostante.

Avevamo nascosto bene il fuoristrada e vaghiamo per quasi un'ora tra gli alberi con il frontale e quando ormai pensavamo che qualcuno ce l’avesse fregato, il grido di Roberto mi fa tornare in vita! Auto = meloncini!! Dopo pochi minuti abbiamo aperto le sedie davanti al portabagagli e, spaccati due meloncini a metà abbiamo selvaggiamente avvinghiato e preso a morsi il contenuto. Così, con il nostro migliore sorriso e il muso grondante di meloncino, è finita anche questa avventura... come chiamamo la via?? Sardinian shortcut, la “scorciatoia sarda"!

di Marco Marrosu

Sardinian shortcut

versante ovest-nordovest della Kawr Tower (gruppo del Jabal Kawr, Oman)
Prima salita di Marco Marrosu e Roberto Masia il 2 e 3 gennaio 2011
Difficoltà: VI+, R3;
Tipologia di roccia: calcare compatto e a gocce dentellate e affilate; Sviluppo: 900 m + 100 m di facili rocce;
Materiale: chiodi, friend, nut, cordini, due ½ corde da 60 m.
Attacco: grande omino alla base, quota 1235 m, coordinate 23° 0.5124’ N – 57° 5.2583’ E




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