Ueli Steck, alpinista e uomo
Era solo Ueli Steck sul Nuptse, grande e difficile montagna dirimpettaia dell'Everest. Lo era perché dopo il congelamento del suo compagno Tenji Sherpa aveva dovuto e deciso di continuare. Stava proseguendo il suo acclimatamento. Ed è stato proprio lì, tra il campo 1 e 2 del Nuptse, che Ueli è precipitato. E' lì che se n'è andato per sempre uno dei più grandi alpinisti di sempre. Ci aveva abituati a tutto Ueli. Lui era un grande, in tutti i sensi. Per questo ieri non volevo credere alla sua morte, nessuno voleva crederci. Il mondo dell'alpinismo, tutto il mondo, è rimasto senza parole.
Ieri mi hanno chiesto se Ueli Steck avesse rischiato troppo, se avesse sfidato troppo la montagna. No, ho risposto di getto. Assolutamente no! E' vero, il suo progetto, la traversata Everest – Lhotse che mirava ad unire la più alta vetta della terra con la quarta, è un'impresa mai fatta, di quelle che si devono definire anche oltre l'impossibile. E Ueli è morto, appunto, mentre si stava preparando a quell'altissima e difficilissima traversata. Eppure non c'ho pensato un attimo: Ueli non ha rischiato troppo. Era preparato, era forte, anzi probabilmente era il più forte. Ma soprattutto era estremamente consapevole di quel che stava facendo. Non sfidava la montagna. Lui c'era nato in montagna, la abitava, e la percorreva così: velocissimo e sui terreni più impensati con un controllo, una forza e una consapevolezza più unici che rari. E poi lui sapeva benissimo ciò che gli sarebbe potuto accadere... lo so che sembra retorico: ma questa era la sua vita e così era Ueli.
Mi hanno chiesto anche cosa Ueli Steck ha lasciato all'alpinismo, oltre ai suoi record. E' difficile dare risposte. Ma anche in questo caso ho risposto di getto: Ueli ci ha lasciato il ricordo di com'era come persona. Era un uomo sincero e modesto. Sì, potrà sembrare strano, anzi poco credibile e fin troppo celebrativo, per quello che in molti definiscono il migliore alpinista di questi ultimi anni. Ma era proprio una persona di una modestia assoluta Ueli, e di una disponibilità e anche una generosità rare.
Però quello che ha lasciato all'alpinismo e agli alpinisti tutti, oltre a tutte le sue imprese e record, è qualcosa che forse in molti non conoscono o si sono scordati. Era il 2008. Ueli e il suo amico e fortissimo alpinista Simon Anthamatten sono accampati davanti alla parete Sud dell'Annapurna. Il loro progetto è tentare la direttissima, ma arriva una telefonata inattesa. E' Horia Colibasanu, un alpinista romeno che hanno conosciuto una settimana prima insieme al suo compagno di spedizione lo spagnolo Iñaki Ochoa de Olza. Sono bloccati a 7400 metri sull'immensa parete Sud, Iñaki sta molto male, hanno bisogno di aiuto.
Ueli e Simon non sono acclimatati. Hanno solo il materiale da trekking perché tutto il materiale alpinistico è già al Campo base Avanzato. E' notte, ma non esitano un attimo: partono verso quella tendina lontanissima persa su una delle pareti più difficili e pericolose del mondo. Era l'inizio di uno dei tentativi di salvataggio più difficili e incredibili mai tentati. Ai due svizzeri si unirono anche altri alpinisti tra questi Denis Urubko e Don Bowie. La lotta durò 6 giorni. Ueli fu l'unico che riuscì a raggiungere Iñaki, che gli spirò tra le braccia, ma la sua azione con tutta probabilità salvò la vita a Horia. Alla fine tutti i soccorritori riuscirono miracolasamente a scappare dalla parete e dalle continue valanghe. Ecco lì sì che Ueli, Simon e gli altri andarono davvero oltre. Lì sì che Ueli rischiò assolutamente troppo, oltre ogni limite. Ma lo fece (lo fecero) solo per salvare altre vite. Quando gli chiesi di quel “folle” tentativo di salvataggio, Ueli quasi non capì la domanda. Per lui non si poneva neanche la questione: qualcuno gli aveva chiesto di aiutarlo, lui era partito. E, aggiunse, non era stato nulla di particolare. Ecco, così era Ueli Steck.
di Vinicio Stefanello