Talung 2014: la spedizione di Bernasconi, Corona e Panzeri diventa un film

Intervista a Daniele Bernasconi, in occasione della realizzazione del filmato “Talung 2014”. Di Simonetta Radice
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Talung (Nepal, Himalaya)
archivio D. Bernasconi
“Siamo tornati senza la vetta ma anche senza braccio al collo, per fortuna… si sa che quando si va in spedizione non andare in vetta fa parte del gioco.” Abbiamo intervistato l’alpinista Daniele Bernasconi in occasione del lancio del filmato “Talung 2014”, che racconta il tentativo della prima salita allo spigolo Nord Ovest del pilastro del Talung (7349 m), da parte del team italiano composto da Gianpaolo Corona, dallo stesso Daniele Bernasconi e da Mario Panzeri. Il tentativo si è concluso alla fine dello scorso maggio; i tre alpinisti hanno trovato condizioni meteo non particolarmente favorevoli e l’ascensione si è rivelata più impegnativa del previsto.

Il Talung, l'Ogre il Venere Peak; il tuo è in buona parte alpinismo di ricerca, come scegli le tue mete di solito?
In realtà dipende dal momento e dall’occasione, le idee sono tante, alcune si concretizzano e altre no, dipende anche dai soci, dalle persone con cui viaggi e dalle occasioni professionali. Naturalmente si punta sempre a fare cose nuove ma poi capita di fare anche dell’alpinismo non esattamente di ricerca e a volte anche una ripetizione può essere comunque un bel progetto.

Quali sono i momenti da ricordare di questa spedizione?
Il primo momento è stato quando, a metà del trekking di avvicinamento, i portatori sono scappati e ci hanno abbandonato. A quel punto… avremmo anche potuto tornare a casa anche noi, invece in qualche modo ci siamo destreggiati e abbiamo portato tutto il materiale.
Il secondo momento è stato il giorno di Pasqua, il 20 aprile, quando finalmente dopo tre settimane siamo arrivati al campo base. Un avvicinamento un po’ lungo a dire il vero, perché di solito per una spedizione arrivare al campo base è qualcosa di scontato, non certo un momento da ricordare, ma per noi è stato così. Una volta lì, siamo andati a vedere la via, su questi speroni che Mario aveva visto salendo il Kanchenzonga tre anni fa. Lo sperone si è rivelato non solo un po’ più duro di quanto pensassimo, ma anche più pericoloso; era pericoloso anche soltanto arrivare all’attacco, sembrava un ghiacciaio piatto a prima vista, ma in realtà c’erano diversi seracchi.
Anche la via era più tribolata di quanto non avessimo previsto. Al campo base siamo rimasti quasi un mese e in quel periodo siamo andati in parete parecchie volte, dieci o dodici ma purtroppo - a volte in Nepal capita e quest’anno è capitato - il tempo non ci ha aiutato, perché il pomeriggio peggiorava sempre e questo ha rallentato tantissimo la progressione. Nonostante la parete fosse impegnativa, avremmo potuto farcela con un tempo migliore, ma verso mezzogiorno attaccava a nevicare, iniziavano a cadere piccole slavine e dovevamo scappare, quindi tornavamo al campo base, stavamo fermi magari un giorno e poi facevamo un altro tentativo. In questo modo, un mese è passato in fretta. La zona del Kanchenzonga, inoltre, è quella più vicina al mare e lì il monsone arriva prima. Di solito c’è una finestra di bel tempo nei giorni precedenti il monsone, attorno al 20 maggio di solito, e infatti in quel periodo abbiamo fatto il tentativo. Eravamo ancora bassi e si è trattato di un tentativo un po’ strano, perché dovevamo salire mentre finivamo di attrezzare, quindi avevamo zaini molto pesanti. Il secondo giorno siamo arrivati a metà della fascia rocciosa che segnava la fine delle difficoltà, ma a quel punto non eravamo attrezzati per bivaccare in parete e mancavano ancora diversi tiri di corda.
Non era un’impresa impossibile ma avremmo avuto bisogno di più tempo, almeno il tempo di un’altra salita, ma ormai la stagione era finita. Certo, se non avessimo perso tempo con il problema dei portatori, o se avesse fatto bel tempo, non sarebbe finita così, perché non è una parete impossibile da salire. Siamo rimasti lì quasi 60 giorni, che sono tanti per tentare un settemila, ma c’è anche da dire che si tratta di un luogo piuttosto remoto che richiede un trekking di avvicinamento lungo. E’ andata così, e del resto quando si tenta una via nuova non si sa a che cosa si va incontro… c’è chi ci chiede se tenteremo di nuovo ma per adesso non è in programma perché la linea, pur essendo molto bella, è pericolosa nella parte bassa e ci sono tante linee altrettanto belle...

Che cosa si porta a casa quando non si porta a casa la vetta?
Sicuramente si torna a casa avendo imparato qualcosa di nuovo, con un bagaglio di esperienza più. Per me è stato bello essere andato in spedizione ancora con Mario Panzeri, che è per me un grande amico con cui da un po’ di anni non facevo qualcosa, e conoscere Gianpaolo Corona, con cui non avevo mai scalato. Dal punto di vista umano è stata quindi una bellissima esperienza e anche la parte di Nepal che abbiamo visitato è molto bella e selvaggia, mentre io avevo visto solo le zone per così dire più “turistiche”. Siamo tornati senza la vetta ma anche senza braccio al collo, per fortuna, cosa che invece a volte succede… e poi per tutti e tre non è la prima spedizione, quindi non si resta scottati come potrebbe accadere la prima volta, si sa che quando si va in spedizione non andare in vetta fa parte del gioco. Tanto di cappello invece ai due alpinisti cechi (Marek Holecek e Zdenek Hruby, candidati al Piolet d’Or 2014 ndr) che lo scorso anno hanno salito in stile alpino una via lì vicino; nonostante non abbiano tenuto proprio il filo del pilastro, che probabilmente sarebbe stato troppo impegnativo da fare in stile alpino, hanno portato a termine una grande impresa.

Hai scalato in tutto il mondo, ma se dovessi dire quali sono le montagne di casa che ti piacciono di più?
Io ho iniziato ad andare in montagna in Val Masino, tra la zona del Badile e la val di Mello; con la mia attività di guida ho imparato anche a riapprezzare la Grigna, che è un piccolo gioiello della nostra zona e mi ritengo fortunato a poter vivere e lavorare su queste montagne, che sono anche molto diverse tra loro. Se la Grigna può essere paragonata a una piccola Dolomite, la val Masino è una piccola Yosemite e abitare relativamente vicino a entrambi la ritengo una grande fortuna.

Progetti futuri di cui hai voglia di parlare o luoghi che vorresti visitare?
Ci sono tante idee, ma per il prossimo anno non c’è ancora un progetto preciso. non sono mai stato in Perù-Bolivia per esempio e mi piacerebbe anche vedere le montagne dell’Alaska. Ma anche il Pamir è un’area molto poco frequentata e anche relativamente veloce da raggiungere, potrebbe essere interessante.

Che cosa è successo esattamente con i portatori? I rapporti con loro sono sempre così difficili?
Di solito tutto dipende dalle persone che li gestiscono e da come li gestiscono. In Nepal, di solito, fila tutto liscio e infatti quello che è successo ci ha stupito. Da una parte, però, la persona che era responsabile dei portatori non era delle più capaci e dall’altra il trekking per il campo base era decisamente impegnativo, sia per via dei dislivelli piuttosto alti, sia perché gli ultimi due giorni l’avvicinamento è da fare tutto su ghiacciaio. E’ molto diverso dagli avvicinamenti che fanno di solito: per l’Everest, per esempio, il percorso è quasi tutto su terra, solo l’ultima ora e mezza di cammino è su ghiacciaio, mentre qui l’impegno richiesto era più alto ed era stato deciso di lasciare indietro parte del materiale, che avrebbe dovuto essere recuperato in un secondo tempo da altri portatori con il loro capo. Questa cosa, invece, non è mai successa e il gruppo che avrebbe dovuto portare il materiale al campo base è fuggito senza nemmeno chiedere i soldi. A volte capita che i portatori decidano di non proseguire per ottenere un compenso più alto, ma in questo caso non ci è stato nemmeno chiesto. Una possibile spiegazione è che i portatori che percorrono quella valle di solito si dirigono al Kanchenzonga e loro non avevano probabilmente capito dove saremmo andati; forse si erano fatti l’idea che saremmo andati in un posto più difficile. In realtà noi il campo base l’avremmo messo sulla stessa strada per il Kanchenzonga ma prima, quindi avrebbero guadagnato gli stessi soldi facendo meno strada, ma comunque non abbiamo capito davvero bene perché sia successo quello che è successo.

Intervista di Simonetta Radice

Talung 2014 - Trailer (regia e montaggio di Nicoletta Favaron)





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