Sean Villanueva sul Fitz Roy e l’elicottero al Campo 4 dell'Annapurna

Le riflessioni di Manuel Lugli in merito alla solitaria traversata del Fitz Roy in Patagonia effettuata da Sean Villanueva O’Driscoll a febbraio, in contrapposizione con le ultime notizie dall' Himalaya dove un elicottero è volato fino a 7300 metri sull’Annapurna per rifornire il Campo 4.
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Annapurna, con i suoi 8091m la decima montagna più alta della terra.
Marco Camandona

Il video che riassume la "bella camminatina in montagna" di Sean Villanueva sul Fitz Roy è delizioso e a suo modo geniale. Anzitutto perché mentre lo apri, istintivamente t’aspetti di vedere cosa diavolo ha combinato il mitico Villanueva O’Driscoll da solo su quella lunga traversata, quella Moonwalk Traverse che è già una leggenda, nonostante siano passati solo un paio di mesi. Poi scopri che d’arrampicata, passaggi mozzafiato, riprese adrenaliniche, non c’è nulla. O almeno non sono state montate nel video. Certo arrampicare in solitaria e fare riprese spettacolari non è facile, ma con la tecnologia moderna - GoPro, droni che ti seguono, stick vari – qualcosa si riesce sempre a fare.

Villanueva invece non fa nulla di tutto questo. Ci fa vedere i momenti salienti delle vette, una tenda sbattuta dal vento, il disappunto per qualche problema col materiale, i canti di gioia sfrenati, una piccola preoccupazione o un panorama in distanza. Come un qualsiasi alpinista della domenica che fa un video di vetta, che so, sulla Torre Delago in Vajolet e indica la Torre Winkler oppure là, in fondo in fondo, la Marmolada. Cose così.

Da una parte vedi tutto l’entusiasmo del bambino "latino" perso in un gioco fantastico e dall’altra avverti la classe di un understatement che probabilmente i suoi geni irlandesi gli "impongono".

È il suo stile: quello dei grandi che prima fanno le cose e poi le raccontano. Come per tanti personaggi fuori del comune - accade in vari campi, non solo nell’alpinismo - mi piace pensare che buona parte della sua genialità venga dal melting pot delle sue origini: padre spagnolo, madre irlandese, nato in Belgio e cittadino del Mondo. Non c’è niente da fare: c’è qualcosa nel mescolarsi dei geni, delle culture e delle vite che porta ricchezza e ampiezza di visione. La prospettiva si allarga e diventa come i panorami dalla cima del Fitz Roy o dell’Aguja Saint-Exupery – nome che riporta ad un altro geniale sognatore.

Ed è proprio riflettendo sull’idea di prospettiva, che non posso non notare il contrasto quasi brutale con l’ultima trovata dell’himalaysmo anni 2020: l’uso dell’elicottero per rifornire non più solo il campo base, prassi ormai abituale per le spedizioni himalayane, ma addirittura i campi alti.

La notizia, dell'altro giorno, è confermata: all’Annapurna un elicottero ha scaricato (con la long line) ai 7.300 del campo 4, corde, bombole di ossigeno, gas, fornelletti e cibo. Una specie di delivery, come quelle che ogni tanto tutti noi utilizziamo per farci portare il sushi a casa. Solo che qui il rider è un pilota con l’elicottero. Heli-doping lo ha ben definito Stefan Nestler, alpinista e giornalista tedesco commentando la notizia. E come dargli torto, visto che diversi alpinisti sono riusciti, grazie a questo materiale ad arrivare in vetta…

Normalmente se durante una salita himalayana, per i motivi più vari, finisci – o non trovi più – le corde fisse, ci sono solo due strade: o prosegui senza, sempre che le tue capacità tecniche, fisiche e psicologiche te lo consentano o torni indietro, all’ultimo campo, magari fino al campo base, per prenderne altre o mettere la parola fine all’avventura: Laghyelo, così hanno voluto gli dei.

Ora siamo a un nuovo livello: l’attrezzatura che manca si fa arrivare ai campi alti con una telefonata – a patto, naturalmente, di essere economicamente capienti, come si dice. Certo, qui stiamo parlando di una spedizione commerciale – alcuni degli alpinisti bloccati dalla mancanza di corde sono clienti dell’ormai celeberrima agenzia nepalese Seven Summit - con tutto quel che ne consegue in termini di "necessità" di vetta per i clienti. Non starò qui ad analizzare nuovamente quanto l’evoluzione dell’himalaysmo, ormai in mano alle agenzie locali, abbia imboccato sentieri davvero tristi, riproponendo, e spesso aggravando, le peggiori abitudini e attitudini occidentali.

Ma il contrasto tra l’avventura pura di Sean Villanueva e le pseudo-avventure dei "nuovi" himalaysti, clienti agevolati e danarosi delle varie agenzie nepalesi di grido, è davvero stridente. Prospettive si diceva.

Qual è la prospettiva di un elicottero in hovering a 7.400 metri di quota che scarica materiale per consentire a chi normalmente avrebbe dovuto scendere, di proseguire? E qual è la prospettiva di chi prosegue e arriva in vetta sapendo di poterlo fare solo grazie ad un’assistenza e supporti tecnici straordinari – elicottero, sherpa, ossigeno, rifornimenti extra - senza i quali sarebbe già al campo base da giorni? Forse nel prossimo scenario vedremo gli alpinisti verricellati dall’elicottero direttamente ai campi alti – naturalmente dopo qualche comoda settimana di tenda ipobarica al campo base. È la prospettiva per un nuovo heli-climbing? La risposta, amico mio, si perde nel vento. Delle pale dell’elicottero.

L’alta montagna, l’alta quota non è per tutti, non può esserlo e non deve. La visione si allarga davvero solo se si sale come Sean Villanueva: in maniera etica, senza scorciatoie e senza "doping".

Altrimenti rimane un giro al luna park: seduti sull’ottovolante, con l’addetto che abbassa la sbarra e stacca il biglietto, il cuore che aumenta i battiti, pronti all’adrenalina. Ma sapendo di avere il culo ben attaccato al seggiolino. Signore e signori, tenetevi stretti che si parte, e al prossimo giro si vince la bambolina!

di Manuel Lugli




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