Il Pilastro della Tofana di Rozes e la Via Costantini - Apollonio. Di Manrico Dell'Agnola
Era fine settembre del 1980 e avevo un gran mal di testa, la giornata era impeccabile ed il pilastro, alle luci del primo mattino, risplendeva, l’atmosfera pulita lo rendeva vicino, croccante, invitante. Il mio vecchio Maggiolino grigio in qualche modo era arrivato fin dove le ruote non passavano più, ed è li che rimase. Mauro sembrava in forma, ma io sulla cengia d’attacco lasciai parte del cibo mangiato la sera prima. Comincia l’avventura.
Meno di un’anno fa non sapevamo cosa significasse arrampicare ed ora eravamo li, toccavamo appigli di sesto grado e sopra di noi strapiombi gialli… un sogno. Io arrampicavo spedito ed i bicipiti “guizzanti” di Mauro che mi seguivano sembravano dare fiducia. Fin sotto la “schiena di mulo” nessun problema, e il nostro “Ego” ne andava orgoglioso, molto meno orgogliosi eravamo invece il giorno dopo, quando infreddoliti ed umiliati scendemmo al Rifugio Giussani a mendicare un piatto di minestra.
La montagna ci aveva un’altra volta insegnato qualcosa e la notte in maglietta su quella cengia gelida me la ricorderò per sempre. Ora il pilastro, seppur ancora impegnativo, si percorre in libera in poche ore, a volte si scende dalla seconda cengia se la “schiena di mulo” è bagnata, o addirittura se ne percorre solo la parte grigia durante qualche tiepida serata d’agosto, eppure la Via Costantini - Apollonio non è cambiata anzi, un tempo era ancora più chiodata. Siamo solo cambiati noi.
di Manrico Dell’Agnola
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