Al Pilastro Alma del Monte Misone in Val Lomasone Jacopo Biserni trova 'Utopia'
Erano i giorni che precedevano la prima quarantena da Covid. In quel periodo abitavo sotto al Rifugio San Pietro, in località Ville del Monte sopra a Tenno, piccolo angolo di paradiso a 900m di quota che domina sulla "busa" di Arco e Riva del Garda.
In quei giorni, tra lavoro in clinica e attesa dell'affacciarsi al mondo della piccola Alma mia figlia, occupavo il tempo girovagando tra i boschi della val Lomasone, ai piedi del monte Misone, meditando e cercando, sempre col naso all’insù, pareti che potessero colmare quella necessità di confrontarsi con l'ignoto che da sempre anima i miei sogni.
Così col binocolo alla mano una mattina di febbraio ero stato colpito dalla forma slanciata di un pilastro posto sotto il monte Misone, sulla porzione settentrionale della frastagliata parete est. Illuminato dal sole e così svettante mi aveva subito rapito l'idea di andarlo a conoscere, di sondarne i contorni, la roccia. D'altronde è questa la sostanza dell’alpinismo: affrontare l'ignoto per conoscere.
Qualche giorno dopo, in riposo dal lavoro, avevo preparato un piccolo zaino ed ero partito da casa a piedi dirigendomi al cospetto del Misone per andare a cercare il modo di arrivare alla base del pilastro che ormai aleggia quotidianamente nei miei pensieri. Mi sono ben presto reso conto che l'approccio alla parete non era di quelli classici della valle del Sarca, bensì un approccio che, seppur in piccolo, poteva assomigliare a quelli delle pale di San Lucano. Una vecchia forestale in disuso che pian piano si perde in direzione dei ghiaioni sotto la parete est, diventando una traccia di cacciatori che muore sull'orlo di un canale detritico scavato dall'acqua. Quel canale andava oltrepassato per guadagnare il bosco che mi separava da un altro canale, più grande, che andava risalito fino a trovare un punto di accesso che permettesse di salire fino ai boschi sospesi al cospetto del pilastro.
Salendo il faticoso canale che diventava quasi una forra, con pareti a destra e a sinistra, sembrava di entrare man mano nel cuore della montagna. Un luogo selvaggio, dove non si percepiva passaggio umano. Dopo due brevi salti di roccia ero arrivato finalmente ad una rampa alberata alla mia sinistra. Era decisamente scoscesa, ma ero certo che si trattasse della porta di accesso ai boschi sopra di me. Vista l'ora avevo deciso di rientrare a casa, ma da quel giorno il pilastro "Alma” era diventato il progetto da realizzare e mentre scendevo, animato da mille pensieri, già mi prefiguravo il compagno a cui chiedere di collaborare.
Così era nata l'idea di aprire una via su un pilastro staccato del monte Misone, sospeso sopra la val Lomasone, lontano dai rumori e dagli affollamenti della ormai chiassosa valle del Sarca, eppure così vicino a casa, dove con mia grande meraviglia esiste ancora terreno d’avventura.
Il 12 aprile del 2020 era nata mia figlia Alma, in piena pandemia, ma fortunatamente sono riuscito a staccare dal lavoro per dedicarmi a lei e a Vania la sua mamma. Alma ha respirato i suoi primi giorni tra i boschi sotto al rifugio San Pietro, nella quiete totale delle passeggiate fatte tra una poppata e l'altra, tra quegli alberi e quei sentieri che non sembravano nemmeno sapere della pandemia.
Appena cessati i vincoli di quarantena avevo sentito il mio amico Claudio Sartorelli, al quale avevo già parlato per telefono del pilastro selvaggio a due passi da casa mia. Così in breve avevamo organizzato la prima giornata di apertura di quella che poi, dopo tre anni di tentativi, è diventata la via "Utopia".
Utopia perché, prima di tutto, ha visto partecipare e credere nel progetto, nel sogno, vari amici e compagni. Come dice un vecchio detto anarchico "se a sognare è solo uno, il sogno rimane un sogno, ma se a sognare sono in tanti, il sogno diventa realtà". In secondo luogo questo è stato un sogno che ha rischiato di arenarsi dopo la seconda giornata trascorsa in parete nell'ottobre 2020, con Andrea Gamberini mio caro amico di Granarolo (Ravenna), quando, dopo aver aperto i primi tiri a chiodi tradizionali e protezioni veloci, mi sono trovato davanti ad una placca improteggibile con mezzi tradizionali o veloci. La linea che mi ero immaginato si era dimostrata infattibile. Avrei dovuto trasformarla in una via sportiva e non volevo.
C'era un diedro sporco e in parte vegetato che mi guardava ad una quindicina di metri sulla mia sinistra, ma che in quel momento, colto dalla delusione e stanco, non riuscivo neanche a prendere in considerazione. Così eravamo scesi e io ero così frustrato da quel secondo tentativo andato male che avevo deciso di non tornare più lassù. Pensavo che non valesse la pena fare tutta quella fatica nell'avvicinamento per poi trovarsi su una via che non rispecchiava il carattere e la bellezza di quel pilastro.
Sono serviti due anni perché la fiducia in questa "Utopia" tornasse ad invadermi e contagiasse nuovamente Claudio che, al primo accenno "torniamo sul pilastro Alma" - come lo avevo battezzato - mi rispose "dai che andiamo!".
Il terzo tentativo lo abbiamo organizzato con un bivacco, sperando in due giornate piene di riuscire ad uscire in cima, ma il peso del sacco da recupero, il meteo avverso e la stanchezza dopo aver bivaccato nella splendida nicchia a sinistra della sosta del quinto tiro ci avevano fatto desistere ed eravamo rientrati con all'attivo due nuovi tiri aperti.
Eravamo decisamente galvanizzati da quelle giornate e non abbiamo perso tempo ad organizzare nuovamente altre due giornate in parete questa volta in tre, pensando che un terzo elemento potesse essere decisivo nella risoluzione della parete, alleggerendo i carichi nel trasporto del materiale, dando a me il cambio nello scalare i tiri già aperti, per arrivare alle ultime lunghezze con un livello di energie tale da garantirne il superamento.
Avevo scelto Riccardo Russo, amico calabrese ormai trapiantato ad Arco,: lui era l'elemento giusto per una spedizione dal clima goliardico, che però aveva l'ambizione di arrivare finalmente in cima al tanto agognato pilastro. L'approccio seppur alleggerito dalla ripartizione dei carichi si è rivelato comunque lento, e ci aveva fatto capire che era inutile: sul pilastro Alma non si corre! Era il 5 novembre 2022 e abbiamo trascorso la nottata ben coperti nel "Hotel al sole", come avevo battezzato il bivacco nella nicchia-terrazzo con splendida vista sul lago di Garda. Ci siamo svegliati baciati effettivamente dal sole, in una tersa mattinata novembrina. Facendo scorrere due tiri di corda abbiamo ripreso l’apertura delle nuove lunghezze da dove eravamo arrivati con Claudio due settimane prima.
La prima lunghezza si è risolta abbastanza agilmente, superando la grande lama staccata e le placche erbose e abbattute che portano alla cengia a ¾ della parete, così abbiamo raggiunto dopo una quarantina di metri il pulpito dove fare sosta senza grandi difficoltà. Durante le manovre di recupero dei compagni e del saccone col materiale mi sono guardato attorno cercando di capire dove potevamo passare. Inizialmente pensavo di andare a destra, traversando in placca su una esile cornice sovrastata da una verticale placca grigia, per poi salire in diagonale raggiungendo così una esile cengetta che avevo visto col binocolo, pensandolo un buon posto di sosta ed eventuale altro bivacco.
Il tentativo di traversare però è stato bocciato dalla cordata dopo i primi metri di arrampicata, così abbiamo preso in considerazione l’alternativa che avevo adocchiato salendo prima di arrivare alla sosta sul pulpito. Un diedro stretto e svasato inciso da una esilissima fessura spesso cieca, sovrastata da strapiombi gialli friabili, dove però si intuisce esserci un corridoio che attraversa verso destra in direzione della sosta che avevo immaginato sotto l’ultima lunghezza, una fessura leggermente strapiombante che permette, una volta superata, di arrivare alle rocce finali che anticipano la cima del pilastro.
Sono partito e, dopo pochi metri, sopra alla sosta sono riuscito a piantare un buon chiodo. Mi sono alzato ancora ma ho sentito addosso una gran stanchezza, così dopo alcuni tentativi di entrare nel diedro svasato alla mia sinistra ho deciso di scendere e far provare a Riki. Credo che non avesse mai tentato l’apertura di un tiro dal basso, ma con grinta e decisione Riccardo quel giorno è riuscito in progressione mista, artificiale e libera, a salire uno dei tratti più impegnativi della via.
Si stava facendo tardi e abbiamo deciso di calarci per dedicare un po' di tempo alla pulizia di alcuni tratti, così lasciando il tiro a metà, e Riccardo ci ha raggiunti in sosta. Ancora una volta dovevamo tornare.
Arriva la primavera 2023 e finalmente dopo vari tentativi di organizzazione andati male riesco ad incastrare Claudio. È il 2 giugno quando alle 6 della mattina, saliamo in macchina in direzione del rifugio S. Pietro. Entrambi speriamo davvero che sia l’ultima volta che saliamo col fardello dei materiali d’apertura e, stanchi ma effervescenti per ciò che ci aspetta, arriviamo all’attacco del pilastro "Alma".
I tiri scorrono veloci alternandoci, la sensazione fluida dell’arrampicata è davvero piacevole. Alle 13.30 siamo alla sosta sul pulpito. Metto all’imbrago una decina di chiodi di quelli fatti da me e Claudio, lamette e qualche chiodo universale, un cliff e una staffa e parto sul tiro che avevamo lasciato a metà l’ultima volta.
Il tratto di diedro che aveva superato Riki è decisamente impegnativo ma lo salgo velocemente in artificiale arrivando così allo spit che aveva piantato prima di calarsi. Da lì proseguo con bella arrampicata in libera riuscendo a piantare una bella lametta ed un altro paio di chiodi. Traverso a destra sulla cornice che avevo intuito ci fosse sporgendomi dal pulpito di sosta la volta precedente, con bella arrampicata e dopo aver protetto il traverso con friend e un chiodo, arrivo al terrazzino di sosta. Pianto un bel chiodo e recupero il sacco con il trapano e lo spit con anello per la sosta.
Manca solo la bella fessura leggermente strapiombante, la chiave per uscire in cima al pilastro. Recupero Claudio e non appena arriva in sosta riparto carico per il superamento dell’ultimo tiro. Arrivo alla fessura e ne riesco a salire solo un terzo in arrampicata libera, con movimenti davvero ostici, poi decido di salirla in A1 coi friend e così in breve supero le difficoltà, pianto poi un bel chiodo universale in un buco provvidenziale all’uscita della fessura, ancora una ventina di metri più facili e finalmente giungo all’albero in vetta al pilastro "Alma".
Faccio sosta ed urlo a Claudio di salire, poi mi escono come un vulcano urli di gioia e commozione: rivedo e risento gli anni passati e tutte le fatiche ed i momenti magici passati abbracciati a questo pilastro. Piango mentre la corda scorre in piastrina al ritmo del mio compagno e delle mie mani mentre guardo, rapito, il lago. Finalmente è arrivato questo momento che indelebile ha segnato un passaggio importante della mia vita e chissà, forse un giorno anche Alma accarezzerà questi luoghi selvaggi che l’hanno vista nascere.
La felicità più grande alla fine è stata quella di scendere ed arrivare ad Arco e abbracciare mia figlia che mi stava aspettando insieme al mio babbo Giorgio, incontrandoci con altri amici accorsi per festeggiare insieme a noi con due belle birre fresche!
di Jacopo Biserni
SCHEDA: Utopia, Pilastro Alma, Monte Misone