Ogre parete nord, il tentativo di Barmasse e Bernasconi
Arrivati al campo base all’altezza di 4700 m, senza perdere tempo (anche perché avevamo già “perso” Martino a causa di un virus intestinale), il 4 e il 5 luglio con sci e slitta risaliamo il Sing Gang Glacier sino alla parete Nord dell’Ogre, a 20 km/GPS di distanza dal campo base, per osservare da vicino le possibilità di salita e iniziare l’acclimatamento. La grandezza di questa montagna è impressionante, e impressionanti sono anche i seracchi e le cornici che ne orlano come ricami le sue geometrie complesse. Una parete che presenta “punti deboli” solo se si accettano i rischi di una continua esposizione alle scariche di neve e ghiaccio; e così fin da subito individuiamo la “linea possibile”, la cresta Nord Est, un’ascensione tecnicamente forse non troppo difficile, ma certamente molto, molto insidiosa.
Rientrati al campo Base, il 7 luglio, ripartiamo con gli sci per continuare l’acclimatamento su una cima facile di 5915 m, la prima di questa spedizione. Dopo un giorno di riposo e uno di brutto tempo nel quale approfittiamo per una ricognizione alle bellissime Solu Towers (futuro obiettivo per chi cercasse roccia buona con avvicinamento pressoché nullo), per terminare al meglio l’acclimatamento, ripartiamo con sci e slitta attraversando lo Snow Lake in direzione Nord per scalare una montagna dal profilo simile ad un monaco cappuccino, posta ad una distanza di circa 15 km/GPS dal campo base. Il giorno successivo, l’11 luglio, compiamo la prima ascensione e traversata di questa cima quotata 6330 m/GPS. Una salita che presenta tratti di misto delicati, non proteggibili (anche perché non abbiamo il materiale), e neve profonda fino alla vita, sia in cresta che su pendii molto ripidi. Come dire, uno cade e l’altro lo segue… Dopo solo nove giorni di permanenza al campo base ci sentiamo pronti e acclimatati per i 7285 m dell’Ogre e siamo sicuri che i 22 giorni rimanenti, saranno più che sufficienti per tentare la salita.
Allora non potevamo sapere che ci sbagliavamo! Alla base dell’Ogre, ci saremmo andati ancora una volta e, purtroppo per noi, solo per guardare la parete, capire che non avremmo potuto scalarla e ritirare il materiale lasciato lì 28 giorni prima. Come spesso accade non avevamo fatto i conti con il meteo e con la fortuna che condizionano pesantemente qualsiasi salita alpinistica, facile o difficile che sia, in qualsiasi luogo della terra.
Dal 12 sino al 28 luglio al campo base sembra arrivato l’inverno. Solo due giorni di bel tempo, utili a far asciugare i sacchi piuma dall’umidità, e interrompere quella che sembra una perturbazione senza fine. In quei due unici giorni proviamo comunque a giocarci le nostre chance con altre due salite.
Il 18 luglio tentiamo la scalata di una stupenda linea di ghiaccio che a causa delle abbondanti nevicate e dell’assenza di ghiaccio abbandoniamo dopo 200 m di salita per fuggire al riparo delle continue scariche di neve e sassi (uno dei quali ha deciso di centrare in successione il mio casco, gli occhiali e il mio naso). Durante il secondo giorno di bel tempo, il 22 luglio, partendo dal campo base, saliamo un’altra montagna facile e inviolata di 5966 m compiendo inoltre la prima discesa con gli sci. Anche durante questa salita, come in quella del 18 luglio, solo l’Ogre, esattamente come capita al Fitz Roy e ancor di più al Cerro Torre in Patagonia, rimarrà avvolto dalle nuvole.
Il 28 luglio ritorna il bel tempo e subito ci organizziamo per andare alla base dell’Ogre per valutarne le condizioni. Tutto è bianco, anche le pareti di roccia, se pur verticali, sono ricoperte da un manto nevoso immacolato e pesante, spesso anche più di un metro.
Non ci resta che rassegnarci di fronte ad una visione che in modo così chiaro e inequivocabile segna la fine di questa nostra ultima avventura.
Pensieri positivi e negativi si accavallano nella mia mente … mi chiedo cosa mi resta di questa esperienza... e come i miei occhi vedono il solito bicchiere … mezzo vuoto o mezzo pieno?
So bene che piangersi addosso non serve a nulla. Ogni spedizione alpinistica è prima di tutto una vacanza, un viaggio, un’esperienza di vita che ci regala emozioni, ricordi, aneddoti. E anche se non abbiamo avuto successo sul Baintha Brakk, solo passare 32 giorni in uno dei luoghi meno conosciuti del Karakorum è stata per me una grande occasione. In 13 giorni di bel tempo durante i 32 giorni di permanenza al campo base, abbiamo cercato di adattarci a quelle che erano le condizioni, scalando ciò che in quel momento poteva essere scalato, dedicandoci inoltre a documentare attraverso foto e video un’area ancora poco vissuta in termini alpinistici, sperando che un giorno, questo luogo incantato, diventi meta di pellegrinaggio per molti altri scalatori.
La conclusione di un sogno non è altro che l’inizio di una nuova avventura, ma il ricordo di quella giornata, di quel momento nel quale sei obbligato a rinunciare, lascia ancor oggi l’amaro in bocca. E nemmeno la salita della terza cima inviolata della spedizione, l’ennesimo ripiego (raggiunta dopo una salita divertente, insidiosa, e forse troppo rischiosa per una cima di soli 5850 m), non riesce oggi a cambiare il sapore di una spedizione sfortunata e a sostituire la gioia che avremmo provato anche solo a “tentare” l’inviolata parete Nord dell’Ogre.
E così mi devo arrendere e constatare che alla fine il bicchiere rimane mezzo vuoto e il bottino “magro” per chi come noi aveva l’obiettivo di scalare l’inviolata e mai tentata prima, parete Nord dell’Ogre.
Durata: 48 giorni
Giorni a campo base: 32 giorni
Giorni di bel tempo: 13 giorni
Da Skardu a Askole: in Jeep
Da Askole a Biafo Glacier: trekking di 90 km
Campo base: tra Sing Gang Glacier e Snow Lake
Cime inviolate salite: 3
Membri della spedizione: 3 (Hervé Barmasse, Daniele Bernasconi e Martino Peterlongo. Peterlongo non ha raggiunto il campo base).
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