Messico, nuvole e arrampicata

Manrico Dell'Agnola racconta il suo viaggio arrampicata in Messico in compagnia di Maurizio Giordani e Nancy Paoletto.
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Maurizio Giordani in arrampicata a Potrero Chico, Messico
archivio Manrico Dall'Agnola
Improvviso ed inaspettato… dopo domani parto per il Messico con Maurizio e Nancy. Sono eccitato, due settimane al caldo ed un programma che non dà tregua: salita al vulcano più alto dello Stato e poi scalata in uno dei centri mondiali dell’arrampicata, sportclimbing a dire la verità. Mi aggrego a loro, tutto già organizzato ed intenzioni bellicose, cosa si può volere di più?

Meno di 36 ore dopo lo sbarco a Messico City mi trovo sulla cima dello Iztaccíhuatl, 5286 metri, un bellissimo vulcano nello stato di Puebla. Le mie scarpette Dolomite... estive non hanno problemi sui pendii innevati, chiaramente si bagnano, ma non fa abbastanza freddo perché si gelino i piedi, e come si bagnano in fretta si asciugano anche. Leggero mal di testa ma nessun problema.

Questa montagna, di fronte al famoso e attivo vulcano Popocauteptl è caratteristica per l’infinità dei suoi saliscendi, la cima sembra sempre lì, ma "La donna che dorme" è dura da scavalcare. Lunghe creste di neve separano dalla vera vetta e pesanti ed umide coltri di nubi ci nascondono per lunghi periodi il sole. Aggiungiamo un po’ di quota, il viaggio dall’Italia del giorno prima, ed un "sacchettone" di noci caramellate che stazionano sul mio povero stomaco… una vera soddisfazione arrivare sul bordo dell’antico cratere.

Due giorni dopo Maurizio e Nancy, seguendo un loro progetto, salgono il Picco di Orizaba, io evito volentieri la fatica avendolo già salito una quindicina di anni fa.

Con la nostra poderosa Matiz ci dirigiamo verso sud di Puebla, visitando la falesia di Los Pericos, in riva al vasto lago Manuel Avida Camacho, strapiombi brutali di poca soddisfazione, duri ma brutti. Al sole fa molto caldo e la zona è interessante e bella, unico nostro problema la festa della rivoluzione che non ci fa dormire. In Messico una ricorrenza si festeggia con almeno otto giorni di musica, petardi, urla e alcool, non è proprio nel nostro stile.

Tre notti dormiamo male ma un luogo molto particolare ci ridà forza e positività. Siamo nell’accogliente paesino di Jalcomulco sulle rive del Rio Pescado, sotto le rocce del Cerro Brujo. Qui l’ambiente è tropicale e una posada economica ma carina ci ricarica: piscina con parete a 10 minuti.

La falesia è larga appena una trentina di metri ma la cosa strana è che il ragazzo che l'attrezza e pulisce vive in una capanna, fatta di rami intrecciati, sospesa a metà parete, da dove sale e scende arrampicando su canne di bambù legate rudimentalmente fra loro. Non siamo riusciti a vedere il personaggio, perché se c’è gente si nasconde; in paese lo chiamano l’uomo scimmia, lui ha comprato il terreno e fa pagare una quota a chi vuole accedervi, il corrispondente di un’euro a testa ci permette di entrare nell’area senza pericoli. Gli spit comunque sono sicuri e messi con cognizione di causa. La falesia è molto frequentata e saliamo l’unica via non occupata, un 6c+ tecnico che ci soddisfa, calcare ottimo e famigliare in un ambiente particolare, troppo caldo però, caldo umido da mitigare con un tuffo in piscina.

Il giorno dopo ci dedichiamo ad un "fuori Programma", scendiamo il fiume con il canotto: divertimento puro, rapide e bagni fra le anse del fiume, un vero paradiso tropicale. Approdiamo al ponte del paese dopo più di 2 ore di navigazione, cerveza e sole… il massimo! Il giorno stesso ripartiamo alla volta di un sito archeologico famoso per essere sormontato da un picco roccioso, il Cerro De Metates una specie di piccolo Machu Picchu, naturalmente arrampicabile.
"E’ stata dura ma dopo sforzi disumani ed in ambiente ostile i nostri eroi erano tutti e tre sulla tormentosa cima, uccellacci minacciosi e piante spinose di ogni tipo hanno fatto temere fino all’ultimo l’arrivo in vetta, inoltre un caldo disumano li aveva disidratati ancor prima di arrivare all’attacco, ma ormai la vetta era conquistata."

Il viaggio continua con l’arrivo sulla costa, un bagno disastroso durante il quale Nancy si becca una "trota" volante in pieno zigomo: l’oceano ci aveva presi a pesci in faccia, con tutto lo spazio che c’era. Il segnale chiarissimo ci impone il ritiro repentino da quel ambiente a noi ostile. Pussa via! Una zecca gigante cerca di risucchiarmi una caviglia, per carità torniamo in montagna.

Dirigiamo ora il nostro " coche fantastico" ancora verso nord, una puntatina alla pessima Gruta De Las Candelas, stallatiti atletiche senz’anima, umido, buio.

"Monterrey max 15 min 7" esclama Nancy dietro lo schermo del suo telefonino. "Ma dai sicuramente hai sbagliato, si tratta di un altro Monterrey, lassù il clima è caldo e secco, figurati. Lassù non piove mai, cactus e fichi d’india non mentono, caldo di giorno e fresco di notte, condizione ideali… basta esserne convinti." "Veramente la meteo dice: pioggia e freddo." "Ma va… impossibile."

Potrero chico. Freddo cane. Monterrey emergenza gelo, vengono distribuite coperte ai poveri, qualcuno dei senza tetto è già morto. Fiumi in piena, allagamenti. Ma siamo impazziti?

28 novembre, il sole scalda come ad Arco d’inverno. Piumino per chi fa sicura, per chi arrampica il pile. Il posto è scassato e poco invitante, sporcizia e fatiscenza imperano, fabbricati semidistrutti fanno intuire un passato migliore, pesanti nuvoloni continuano a portare umidità e nascondono a tratti il sole, uno dei "nonni" americani dice che la grip con il freddo è eccellente. Concordo ma preferirei il contrario.

Dopo il primo impatto negativo cominciamo ad apprezzare la qualità della roccia e l’ambiente particolare. Anche il piccolo residence dove alloggiamo si rivela migliore di quanto immaginassimo, la gestione è molto seria: camere pulite, wi-fi e carte di credito funzionanti. Le vie si rivelano un portento, la roccia è un calcare stupefacente, nella parte bassa della valle si cammina tre minuti per attaccare vie anche di dieci tiri. Mentre, più in alto, gole ed anfratti puntinati da fichi d’india e palme offrono spazio per grandi avventure. Noi ci cimentiamo con placche difficili e notiamo che spesso con l’aumentare della difficoltà aumenta anche la distanza fra gli spit. Nonostante la temperatura, che non pare abbia intenzioni di alzarsi, arrampichiamo a tempo pieno per quattro giorni e ne siamo entusiasti.

Purtroppo il nostro tempo sta finendo, girovaghiamo per Monterrey trovandola, a dispetto delle guide, una città moderna ed accogliente. L’ultimo giorno visitiamo la valle della Huasteca, un parco nazionale vicinissimo alla città. Una larga valle lunga svariate decine di chilometri e piena di pareti calcaree, alcune anche alte 600 metri. Assaggiamo delle placche bianche e sanissime, facciamo alcune foto… è tardi, ed è ora di andare.

di Manrico Dell'Agnola (CAAI)

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