La Traversata del Grupo La Paz in Patagonia di Antar Machado, Sebastian Pelletti, Hernán Rodriguez
Dopo aver lasciato Puerto Natales il 20 febbraio, sbarchiamo sulla sponda orientale del Fiordo de las Montañas, alla base della Cordillera Riesco. Stabiliamo il campo avanzato entro sera, sotto la cresta occidentale della torre occidentale, pronti per iniziare la nostra traversata all'alba. Alle 7:30 del giorno successivo siamo in cima alla prima torretta, e stiamo raggiungendo la base della torre ovest, per iniziare a salire sul "pilastro bianco", una porzione della parete ben distinguibile che avevamo individuato dal campo base. Risaliamo velocemente il pilastro, raggiungendo la cresta e poi la vetta nel primo pomeriggio, spazzati via dalla bellezza della Cordillera Sarmiento e dalle infinite cime, ghiacciai, laghi e fiordi che ci circondano. Scendiamo nel colle tra la torre ovest e quella centrale; un'estate secca significa che c'è poca acqua, tuttavia riusciamo a trovare un lento rivolo e passiamo due ore a scavare una cengia nella ripida morena in modo da poter sistemare la nostra tenda per due persone per la notte.
Al calare della notte, nubi che non fanno presagire a niente iniziano a formarsi sulle vette della Dama Blanca e del Cerro Trono, le due cime di ghiaccio e roccia più importanti che si stagliano a ovest nella catena del Sarmiento. Mentre ci sistemiamo, le tipiche raffiche della Patagonia si fanno presenti, sbattendo la nostra tenda e inviando suoni squarcianti attraverso lo stretto colle in cui ci troviamo, mentre accelerano tra queste enormi torri. Una notte irrequieta rende la mattina ancora più cupa; apriamo la tenda per continuare a salire, solo per ritrovarci intrappolati in una fitta nuvola mentre il vento continua a scuotere la nostra tenda e la pioggia cade a intermittenza.
Aspettiamo pazientemente, sapendo bene che il nostro piano di scalare altre due torri e scendere a est sembra difficile da realizzare. Tra la nostra posizione attuale e la fine della traversata non ci sono cenge dove bivaccare e senza acqua, iniziamo ad elaborare strategie su come completare la linea con un solo giorno di bel tempo rimasto secondo le previsioni.
Durante le piccole pause tra le nuvole depositiamo il nostro materiale alla base di un sistema di fessure sulla parete ovest della torre centrale e decidiamo che, se vogliamo avere la possibilità di scalare le due torri rimanenti, dovremo iniziare a mezzanotte.
Ci svegliamo ancora una volta intrappolati in una fitta nuvola, ma decidiamo di tentare la fortuna. Con la visibilità così scarsa troviamo a malapena il nostro deposito materiale, e la parete è completamente fradicia, tuttavia il nostro bollettino meteorologico è promettente e ci avventuriamo sui primi tiri di roccia bagnata ma abrasiva. Le forti raffiche di vento e la bolla di visibilità di 5 metri creata dalle nostre frontali creano un'esperienza straordinaria mentre ci concentriamo su come risolvere i pochi metri di roccia di fronte a noi. Simao totalmente immersi nell’esperienza, senza alcuna reale idea di dove siamo. Il terzo tiro sembra impossibile, una placca bagnata liscia senza protezioni e pochi appigli che protegge l'ingresso al resto del sistema di fessure che stiamo seguendo. Nelle nostre menti oscillano pensieri di ritiro e affermazioni positive, che ci deve essere un modo per salire. Mentre fissiamo la parete nella nebbia cercando di decodificare la roccia bianca sopra le nostre teste le stelle iniziano a brillare e, quasi come per magia, le nuvole scendono sotto di noi per un momento, dandoci giusto il tempo di individuare un sistema di fessure più a destra che sembrano fattibili. Poi le nuvole ritornano, stuzzicandoci a proseguire dopo averci regalato quel barlume di speranza. Alle prime luci del mattino raggiungiamo la cresta sommitale; solo le cime delle torri emergono dalle nuvole mentre ci affrettiamo verso il punto più alto.
Un'incredibile alba ci inietta una rinnovata energia. Siamo grati di aver perseverato e abbiamo solo un’ultima cima da raggiungere. Ancora qualche doppia e siamo sotto la torre est. Hernan sale uno spettacolare tiro in fessura, e poi la divertente salita continua in cresta fino alla cima della torre est. Il tempo è fantastico e assaporiamo tutta la bellezza di questo luogo, i suoi laghi turchesi, i ghiacciai rimbombanti e i fiordi scintillanti quasi ci distraggono prima di tornare in azione, sapendo che dobbiamo fare una lunga serie di doppie lungo la parete est del torre est per completare la nostra traversata.
Abbiamo sempre meno materiale, ma arriviamo al fondovalle, esausti, affamati, bruciati dal sole ed euforici. Facciamo gli zaini, prima di iniziare la discesa su e oltre le ultime colline a est. Segue un po' di trail running, con le gambe che vanno in pilota automatico mentre cerchiamo di raggiungere il fiordo di Santa María prima del tramonto. Il nostro capitano è fedele come sempre e su una piccola penisola incontaminata ci riuniamo e iniziamo il ritorno verso Puerto Natales attraverso un fiordo che riflette la bellezza del cielo e le montagne al tramonto.
La traversata è come un sogno, tanti piccoli momenti e componenti che compongono una grande avventura. Salire tra molluschi e paludi, ghiacciai, morene, tiri verticali e discese verso l'ignoto. Ci sentiamo molto fortunati ad aver visitato questo luogo magico e ritorniamo con un senso di utilità che solo la natura e i luoghi selvaggi possono infondere.
La via si chiama Ayayema Wesqar (5,11- 1000 m) che significa qualcosa come "spirito delle montagne" nella lingua del popolo Kaweskar. La traversata fu così chiamata da Don Francisco, uno degli ultimi membri sopravvissuti di questa nobile cultura, che ancora oggi abita in totale armonia questi angoli dell'arcipelago della Patagonia.
di Sebastian Pelletti
Un ringraziamento a Patagonian fjords, Lippi, Tienda Estilo Alpino e Karun Eyewear
Link: FB Patagonia Vertical