La macchina del tempo, scalate dimenticate in Sicilia

Alpinismo esplorativo in Sicilia: il racconto di Massimo Flaccavento di due giorni di arrampicata fuori moda e fuori dalle solite rotte, sullo Spigolo nord ovest del Pizzo Lungo aperto da Fosco Maraini e compagni, e la lunga cresta ovest del Mirabella salita per la prima volta da Luigi Di Giorgio e da Giovanni Galluzzo nel 1947. Due vie classiche, ideali per chiunque voglia immergersi nella storia verticale dell'isola.
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Salendo la cresta ovest del Mirabella in Sicilia, 11/07/2024
archivio Massimo Flaccavento

Da poco ho compiuto 45 anni e, oggi più che mai, mi rendo conto che tutte le certezze che hanno motivato il mio modo di andare in montagna piuttosto che affievolirsi, si sono consolidate in modo definitivo.

Ho iniziato a scalare in Sicilia nel 1996, in un momento in cui lungo tutto l’arco alpino e non solo, la scalata era una realtà ben affermata. Mentre, al contrario nell’estremo sud d’Italia, tanto restava ancora da fare. Un sentiero in ripida salita quasi interamente da percorrere e scoprire, ecco cos’era l’arrampica in Sicilia a meta degli anni 90, e per chi come me aveva iniziato agitato da una gran sete d’avventura e di libertà, era naturalmente facile identificarsi con un’idea di scalata ben diversa da quella di adesso, fatta per lo più di gradi e di performances. I miei eroi, tanto per capirci, erano Gervasutti e Bonatti, e in realtà lo sono ancora…

In Sicilia ho assistito ad una grande trasformazione, ovvero quella mutazione che lentamente ma inesorabilmente ha visto sostituire gli ideali romantici che erano la forza trainante dell’alpinismo siculo, a favore di una visione prettamente sportiva e strettamente legata al lato materialistico della scalata.

Sono proprio questi gli aspetti che meno amo della moderna arrampicata, e in un certo qual modo nei corsi di arrampicata che organizzo e in tutte le attività che svolgo come guida, tento di trasmettere ai miei allievi/compagni di cordata. Una visione più ampia di questo meraviglioso mondo verticale, dove le abilità di tipo tecnico devono essere affiancate da una grande apertura mentale, unica chance per far sì che chi inizia ad avvicinarsi alla roccia possa essere in grado di vedere mille diverse alternative oltre la catena di un singolo monotiro.

Luglio 2024, siamo nel cuore della stagione estiva e nonostante sia molto impegnato con il mio lavoro, sento con prepotenza il desiderio di ritornare a quella dimensione della scalata che più amo, ovvero fuori dalle vie battute e nei luoghi meno frequentati dell’isola. Giusto il tempo di incastrare i vari impegni e con il carissimo amico Claudio ci mettiamo in viaggio verso ovest. Il termometro in questi giorni scende sotto i 40° solo ben oltre il tramonto, ma nonostante le alte temperature non siano proprio di buon auspicio, mordiamo il freno fin quando non raggiungiamo le prime montagne nei dintorni di Palermo.

Arriviamo a Casteldaccia, un piccolo borgo sospeso tra il mare di Bagheria e i Monti di Calamigna. L’obbiettivo è lo Spigolo nord ovest del Pizzo Lungo, una modesta cima che con i suoi 888 mslm svetta elegantemente sulle campagne circostanti, una sorta di sentinella pietrificata a guardia della più imponente dorsale di Pizzo Cane.

Lo Spigolo nord ovest è una via classica di grande interesse storico, aperta a metà degli anni 50, e porta la prestigiosa firma di Fosco Maraini e compagni. I suoi quasi 300 metri di arrampicata offrono qualche passaggio di V superiore, ma per il resto si scala sul III/IV, su una roccia di straordinaria bellezza, ma soprattutto accerchiati da un vuoto umano quasi assordante. È facile in effetti avvertire un certo senso di smarrimento su queste montagne, tant'è lo spazio che circonda i rari scalatori che si avventurano da questa parti.

Attacchiamo con calma e assaporiamo ogni singolo metro di questa piccola opera d’arte. Tiro dopo tiro raggiungiamo la bellissima cima di questo obelisco di calcare e dopo una meritata pausa in vetta, con tre spettacolari doppie nel vuoto, ci lasciamo scivolare lungo l’espostissima linea di Leggende di paese, un impegnativa via tradizionale che ho avuto la fortuna di salire per primo qualche anno addietro.

Lo "Spigolo" è una via dannatamente bella, la roccia di commovente bellezza unita alla straordinaria ambientazione, lascia spazio all’immaginazione, ed è impossibile non restare affascinati da questi luoghi, proprio perché totalmente sconosciuti alla maggior parte degli scalatori. Questa piccola montagna di Sicilia mi colpisce ogni volta, soprattutto perché mi fa pensare ai primi salitori che oltre ad avere una bella dose di intuito, hanno avuto il privilegio di vivere la mia terra in un epoca a me del tutto sconosciuta.

Ci accampiamo per la notte montando le tende sotto il Monte Maja Pelavet, sulle alture che sovrastano Piana degli Albanesi. È un luogo questo impregnato di storia, è infatti su queste terre battute dal sole cocente che nel 1947, prese vita una delle pagini più tristi del nostro paese. La strage di "Portella della Ginestra" scuote ancora oggi l’animo di chi si avvicina a questi luoghi ed è facile essere pervasi da un velo di tristezza. Camminando al tramonto tra il monumento che ricorda le vittime di questo terribile giorno di maggio, affiorano inevitabilmente mille dubbi, e fa davvero paura pensare che ci sia qualcuno capace di odiare talmente tanto la vita, al punto da essere in grado di toglierla ad inermi e onesti manifestanti. Andiamo a dormire accompagnati da una moltitudine di pensieri in testa, mentre il Maja Pelavet staglia le sue creste sul cielo illuminato dalle stelle.

Ci alziamo alle prime luci dell’alba assaporando gli ultimi attimi di frescura, dopo di che scappiamo a San Giuseppe Jato alla ricerca di un caffè e desiderosi soltanto di attaccare il prima possibile il nostro secondo obbiettivo, la Cresta ovest del Pizzo Mirabella.

Il Mirabella, impossibile da confondere con le altre cime circostanti, è una grande piramide di calcare che maestosa si alza dalla fondo della Valle dello Jato fino a raggiungere i 1165 mslm. L’elegante piramide di questa montagna è resa ancora più bella dalla lunga dorsale che ad ovest disegna una linea di salita perfetta. Con difficoltà massime di IV superiore offre una bellissima cavalcata di circa 800 metri di sviluppo.
La via è stata percorsa per la prima volta da Luigi Di Giorgio e da Giovanni Galluzzo nel 1947, e ancora oggi rappresenta una grandiosa ascensione tra le più classiche dell’isola, purtroppo o per fortuna, raramente ripetuta.

La sterrata che costeggia la Sud della montagna è in pessime condizioni, e il rocambolesco avvicinamento ci fa raggiungere l’attacco alle 08:00 del mattino. Dopo aver superato il letto del fiume oramai invaso dai rovi, un alito di vento ci da il benvenuto. Non si vedono minimamente tracce di passaggio, ma a noi piace proprio per questo, perché si tratta di una salita così tanto fuori moda, da essere incredibilmente affascinante. Dopo esserci legati in corda corta iniziamo a scalare, totalmente liberi dall’idea della difficoltà.

Saltini di roccia, gradoni, spuntoni e crestine si susseguono armonicamente, al punto tale che crediamo non finiranno mai, ma ecco che il primo torrione di roccia interrompe la nostra corsa verso il cielo. Un breve tiro di IV grado ed eccoci nuovamente immersi nella bellezza, con il sole in faccia e il vento alle spalle, come romantici navigatori persi in un mare di roccia. Proseguiamo la nostra avanzata, superiamo talvolta tratti invasi dalla vegetazione e poi ancora torrioni di roccia, fin quando un ultimo muro, dopo circa 800 metri arrampicata, ci indica che siamo quasi alla fine di questo sogno.

Ci ritroviamo in vetta, un caldo atroce ci avvolge senza pietà, ma a noi sinceramente non importa. Madidi di sudore ci abbracciamo come se avessimo conquistato la cima di una grande e severa montagna delle Alpi, e poi con una stretta di mano rendiamo onore alla nostra amicizia, il legame più importante per definire vera una cordata.

La lunghissima discesa è un vero e proprio incubo, fa caldissimo e le rare tracce di ripido sentiero, ormai divorate dalla vegetazione, rendono l’avventura ancora più autentica. Chi è abituato a falesie ben attrezzate con avvicinamenti brevi e comodi, inorridirebbe davanti a un tale supplizio, ma noi ci facciamo largo tra i rovi. E mentre l’acqua delle nostre borracce si fa sempre più calda, godiamo per ogni singolo momento di sofferenza. Raggiungiamo l’attacco dopo diverse ore di discesa, e nonostante questa piccola grande avventura sia già alle nostre spalle, siamo veramente grati per tutto quello che abbiamo vissuto.

Finiremo la giornata a Ficuzza, un piccolissimo borgo posto ai piedi di Rocca Busambra, una delle più selvagge montagne della nostra regione. La Busambra per me è il luogo che più incarna l’idea di alpinismo esplorativo in Sicilia. Una montagna severa, difficile anche sul facile, ma allo stesso tempo radiosa e carica di fascino. È dunque impossibile per me negarne il legame, negarne la lunga e travagliata storia d’amore che ad essa mi unisce dopo tanti anni di scalata sulle sue pareti.

Il giorno seguente lo passeremo camminando alla vecchia maniera, senza mai guardare l’orologio, facendo il pieno di stupore tra le sugherete del bosco di Ficuzza e con il naso all’insù a cercare nuove linee attraverso le pieghe della montagna. Di bellezza non ce ne mai abbastanza, e noi adesso ne stiamo assorbendo quanta più possibile, così da ritornare verso est, verso le nostre esistenze, carichi di vita e di energia positiva.

Bisogna avere il coraggio di fermarsi ogni tanto e di invertire il senso di marcia, ripercorrendo così il cammino di chi ci ha preceduti. Di mettersi alla guida di quella macchina del tempo dove il passato altro non è che la porta d’ingresso del presente. Proprio il presente, la cui dimensione è così tanto effimera che va vissuta con avidità, come se fosse l’ultima goccia d’acqua sul fondo di una borraccia durante una calda giornata d’estate siciliana.

Massimo Flaccavento




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