Jim Bridwell, l'arrampicata e l'alpinismo da protagonista dagli anni 60

Un ritratto intervista del 2002 dell'arrampicatore ed alpinista Jim Bridwell, uno degli indiscussi protagonisti dell'arrampicata in Yosemite e sulle pareti del mondo a partire dagli anni sessanta, scomparso il 16 febbraio 2018 all'età di 73 anni. Di Vinicio Stefanello.
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Jim Bridwell, uno dei personaggi chiave della storia dell'arrampicate nello Yosemite e non solo
Marco Spataro

23 giugno 1975. All’indomani della prima salita in giornata del Nose, Jim Bridwell, Bill Westbay e John Long posano davanti a El Cap. E’ l’istantanea di un’epoca. Capelli lunghi, coloratissimi pantaloni e gillets, i tre sembrano usciti da un romanzo di Kerouac, e dall’epopea dell’on the road. Un viaggio iniziato da Jim Bridwell nei primi anni ’60, e che lo vede ancora protagonista.

Per Jim, testimone e arrampicatore d’eccezione in Valle e sulle pareti di tutto il mondo, Yosemite: "E’ l’esplorazione. L’arrampicata interpretata a livelli sempre più alti. Un’avventura iniziata con la mia ‘scoperta’ della prima libera sulle Stovelegs, e poi continuata, sempre sul Nose, da Ray Jardine". Un percorso che si è evoluto: "Ora, nello Yosemite, l’arrampicata libera è alla sua massima espressione, con salite molto difficili come quelle dei fratelli Huber" E ancora: "Con velocissime ripetizioni che abbattono tutti i record sulle big walls più dure. E di cui Dean Potter è uno degli interpreti migliori".

Ma qual è il trip che Jim ha inseguito per tutti questi anni? "La mia via ideale deve contenere molti elementi. Innanzi tutto l’aspetto mentale, il boldness, rappresentato dall’incognita e dal pericolo. Poi deve mischiare insieme varie abilità, come l’artificiale e l’arrampicata libera". La via perfetta, insomma: "Non deve dimostrare le capacità di uno specialista ma la completezza dell’arrampicatore." Ne è un esempio: "la Salathè, che si avvicina a questo ideale anche se forse manca di un tratto d’artificiale più duro…".

Come dire una gran via non perde mai lo smalto. Anche se: "Molte vie classiche dello Yosemite sono ormai l’ombra di quello che erano. Infatti, su Sea of Dreams ai 39 buchi originali se ne sono ora aggiunti più di 200. E Pacific Ocean Wall ha 40 buchi nuovi…"

E’ la ricerca della sicurezza: "Si, la sicurezza sembra essere diventata la cosa più importante. Ma è inaccettabile che non si rispetti quello che altri hanno fatto. In fondo è una mancanza di rispetto verso sé stessi…". Insomma, bisogna accettare il rischio: "L’ho detto, mi piacciono le vie con il rischio, anche se non vado alla ricerca del suicido. L’arrampicata non è per tutti. E non penso che sia corretto distruggere il passato con le ambizioni personali. Non dipingiamo i baffi sulla Gioconda!"

Ma ci sono gli spazi per fare qualcosa di nuovo? "La gente va a fare le vie che sono facili da raggiungere. Adesso, per esempio, il focus è tutto su El Cap. Ma ci sono moltissime vie più lontane che vale la pena di salire. Come sulla Sud dell’Half Dome. O come in Alaska, dove si può mettere a frutto l’arrampicata di Yosemite. Lì arrampicare è molto impegnativo, richiede tutto: artificiale, ghiaccio e coraggio. Il futuro è questo."

Mentre il futuro di Yosemite: "E’ già arrivato. Come avevo previsto da un paio di anni, hanno già fatto i primi ‘girdle traverse’, con le traversate dell’Half Dome e del Cap. Poi c’e l’altro aspetto, che rispetto molto, delle salite da sotto, a vista, dove ci vuole coraggio, molto bold. E uno degli interpreti migliori, in questo momento, è il giovane inglese Leo Houlding. Ammirabile!" Insomma tante possibilità per una Gioconda senza baffi. E a proposito di capolavori: "Non dimentichiamoci quello che ha fatto Lynn Hill, una piccola ragazza che ha saputo salire tutto il Nose in libera…".

di Vinicio Stefanello

pubblicato su Alp Grandi Montagne #9 Yosemite, 2002




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