Il volo e Il sogno del Gran Scozzese
Lo scorso febbraio Mauro Girardi è stato protagonista di un incidente che gli è costato un incredibile volo sulla cascata “Il sogno del Gran Scozzese”. Ecco il racconto del suo compagno di cordata Flavio Moro.
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Mauro Girardi su Il sogno del Gran Scozzese
arch. F. Moro
200 metri di volo e uscirne, per
miracolo, con mille ammaccature e botte ma praticamente indenni. E'
questa l'esperienza, tra l'incredibile e l'allucinante, vissuta da
Mauro Girardi lo scorso febbraio in discesa dalla cascata “Il sogno del
Gran Scozzese”, in Valle di Daone. A distanza di 4 mesi, Mauro, Guida
alpina con più di 10 anni di esperienza e migliaia di ore di lavoro,
senza il minimo incidente, con altrettanti clienti, non ha dubbi: “In
montagna non bisogna mai abbassare la guardia!”. Sì perchè quel giorno,
dopo aver insistito perché il suo cliente ed amico Flavio Moro
proseguisse assicurato dalla corda per il facile “sentierino” di
collegamento tra due calate in doppia, ha fatto un errore che poteva
costargli tutto. Si è slegato, ha recuperato le corde della doppia e
poi, proprio quel pezzetto di banalissimo “sentiero” (probabilmente per
un piccolo cedimento) l'ha tradito proiettandolo nel vuoto. “Una
leggerezza” dice ora Mauro “che non dovevo commettere...”. Ma anche un
eccesso di confidenza che purtroppo (grandi e più modesti alpinisti)
commettono non così raramente. Una confidenza che in montagna nessuno
dovrebbe concedersi, mai.
Il sogno del Gran Scozzese
di Flavio Moro
“Della montagna tutti ne parlano con facilità: della sua bellezza, della solitudine, della fatica. Abituarsi ad accettarla… è un’altra cosa.” Bruno Detassis
Da tempo nella mia mente cullavo il sogno di arrampicare sul ghiaccio, pensavo come sempre: “Chi con il cuore e con la mente medita cose impossibili vince”; e sapevo che prima o poi… sarebbe successo. Così in questa mattina fredda di un giorno di febbraio, assieme ad un amico guida alpina, ci siamo recati in val di Daone, paradiso di questo sport. Con il suo furgone siamo partiti da Arco alle 7.30 per raggiungere la valle. In val di Daone ci fermiamo da Placido, il quale gestisce un ristorante (più che altro è un punto di ritrovo per arrampicatori) pausa caffè, quattro chiacchiere, informazioni sullo stato delle cascate e poi via. Velocemente raggiungiamo con il furgone il posto più lontano della valle. Parcheggiamo, e subito davanti a noi si presenta la cascata. Come già detto, per me era la prima volta, e vedere questa colata di ghiaccio mi ha subito colpito, affascinato, e non vedevo l’ora di piantare i ramponi. Così dopo i preparativi ci incamminiamo sul sentiero pieno di neve che porta verso la base della cascata. Prima di partire però chiedo a Mauro se i telefoni prendono, alla risposta negativa decido di lasciare il mio nel furgone. Un piccolo pendio ci porta subito sotto la cascata. Da quella postazione vediamo una cordata che ci precede, così aspettiamo un po’, in modo da creare un piccolo distacco da essi.
Alle 11 Mauro inizia l’arrampicata, armonioso e sicuro scala velocemente per circa 50 m; le corde finiscono ed io lo avviso, lui organizza la sosta e così inizio io. Da subito trovo l’arrampicare su ghiaccio una sensazione già provata: mi vengono in mente le gite che ho fatto con i miei amici, gite in alta montagna dove abbiamo usato ramponi e piccozza. Ma questo è un altro mondo… Comunque non esito e sento dentro di me una sana energia, una nuova forza, non faccio fatica e tutto è veramente entusiasmante. L’ambiente austero e freddo mi aiuta nella concentrazione. “Sono qui, stai attento”: ogni tanto dalla cordata che ci precedeva scendevano pezzi di ghiaccio, ma noi eravamo ben protetti, e questo ci teneva in allerta. Alle volte i pezzi mi passavano vicino, sfiorandomi di poco, ma li sentivo fischiare verso la loro corsa, per poi frantumarsi alla base della cascata. Non ero preoccupato anche se qualche pezzo mi ha colpito sul casco e sullo zaino che avevo sulla schiena: bella idea quella dello zaino, anche se mezzo vuoto ti ripara da questi pezzi che ovviamente si staccano spesso e possono colpirti. Il loro fischio era intimidatorio, e quando andavano a segno avevo la sensazione che interrompessero il loro viaggio. Credo infatti che la loro vera corsa sia in fondo. Sono stati prigionieri del freddo, obbligati a saldarsi su quei pendii. Così quando finalmente arrivano in fondo, e si trasformano in acqua, è come se ritornassero a vivere, a scorrere ancor più a valle, per unirsi a fiumi, a laghi e sentirsi parte del mare, finalmente liberi.
Raggiungo Mauro in sosta, mi assicuro, raccolgo le corde e lui riparte per altri 50 m di scalata. Dal punto in cui mi trovo, riesco a carpire i movimenti fondamentali per la progressione; subito Mauro mette un chiodo per proteggere la sosta da un eventuale caduta, così colgo l’occasione per scattare una foto: mi piace documentare questa mia prima, così anche lui mi riprende con la sua macchina. Andiamo avanti per un altro bel tiro di corda, e raggiungiamo una grotta. In mezzo alla parete ora sembra di essere al sicuro, sopra la nostra testa un tetto di granito ci ripara completamente dalle scariche di ghiaccio, e tutto intorno a noi solo ghiaccio. Ci riposiamo un po’, guardando il panorama, di fronte a noi si estende la cima di Re di Castello, e scattiamo ancora delle foto; la giornata limpida mostra dei colori superbi. Il prossimo tiro di corda è il tiro chiave con una pendenza del 85,90%, un muro praticamente verticale che mi mette seriamente alla prova. In quella situazione, Mauro mi ricorda dall’alto come mi devo muovere, spostando bene il peso, creare il triangolo e far riposare il più possibile le braccia; ma anche così lo trovo assai impegnativo. Per ben due volte mi devo fermare per riprendere le forze, poi arrivo da Mauro, che mi dice: “Forse sono stato un po’ cattivo a portarti su questa cascata!”. Io gli rispondo: “Cattivo! Ma anche bravo!”. Succede in questi frangenti di chiedersi come delle persone possano scalare in questo modo, andare da primo di cordata su un muro così: non è da tutti. “Dai Flavio, ancora un tiro e siamo fuori” Mauro mi rassicura. Per me non era una sofferenza, e quando mi dicono questa frase spesso mi dispiace, perché è come se questo fantastico gioco fosse già finito.
Siamo in perfetto orario, siamo saliti veloci: parte fondamentale in queste situazioni. Fin dall’inizio Mauro mi diceva di proseguire tranquillamente badando solo al mio movimento e, nel caso fossimo stati in ritardo, ci avrebbe pensato lui a farmi correre. Ci scambiamo il materiale che io ogni volta recuperavo salendo, e sì riparte per un ultimo sforzo. Dopo circa un’ora siamo in cima tutti e due. Sono le tre di pomeriggio, la temperatura sta scendendo, dunque non ci fermiamo in cima, ci spostiamo verso la via del ritorno, e quando raggiungiamo la sosta ci concediamo un goccio di tè, ci facciamo i complimenti, quattro battute, raccogliamo tutto il materiale e lo depositiamo nello zaino di Mauro. Ora siamo pronti per la discesa in corda doppia, sono sei in totale le doppie da effettuare per arrivare alla base della cascata. La discesa viene fatta da un altro versante dove ci sono ancoraggi su larici e abeti: sempre la natura che ci assiste, che ci aiuta. Mauro prende le corde e le lancia nel vuoto, dopo averle assicurate alla sosta, si assicura, e dopo avermi chiesto se ho problemi con la discesa in doppia, si cala per i primi 50 m. Arrivato in fondo, mi avvisa che posso scendere, così mi lego e scendo con la piastrina, lo raggiungo e mi indica un terrazzino innevato, raggiunto il terrazzino mi dice di slegarmi in modo che lui possa recuperare le corde.
Mentre Mauro recuperava le corde io potevo muovermi sul terrazzino, così mi misi a cercare l’altro ancoraggio per la discesa, e nella spensieratezza assaporavo già la fine di questa grandiosa giornata. Mi giro e Mauro stava ultimando il suo lavoro, quando ad un tratto lo sento urlare… Nooo! Mauro si sbilancia, fa una torsione, cade sulla schiena, e come un pezzo di ghiaccio - come quelli che tutto il giorno ci avevano sfiorato con i loro fischi - scivola lungo il pendio. Eravamo ancora praticamente in cima, sotto di noi un salto di oltre 200 metri! Sono rimasto impietrito, volevo urlare, ma temevo di distrarlo, così ho solo ascoltato. In quel silenzio si stava consumando un dramma. Dopo qualche secondo sento un tonfo, me ne sto in silenzio. Inaspettatamente dopo un altro paio di secondi sento un altro tonfo… Mauro era arrivato in fondo. Tutto era irreale, tutto non aveva senso. Le mia urla non finivano mai, di continuo chiamavo Mauro, ad intervalli non troppo lunghi gridavo aiuto, era un continuo urlare. “Cristo santo, è mai possibile che nessuno mi senta?!” Ma non era così, la persone a cui gridavo sentiva, eccome se sentiva.
L’istinto mi fece provare a scendere da quel pendio che mi teneva prigioniero, feci dei passi, poi mi resi conto che stavo sbagliando tutto. Su quel terreno non potevo muovermi, senza picche e senza corde, e con rammarico rinunciai. Pensavo che il mio compagno avesse bisogno di me. Il mio pensiero costantemente andava a Mauro, a sua moglie, a suo figlio Camillo e a quello che presto dovrà nascere. Poi pensavo alla mia famiglia, mia moglie Valentina, che ero sicuro avrebbe sentito il mio dolore di urla, e difatti così fu: mentre lei se ne stava nella nostra casa di Arco, ha avuto il sentore che qualcosa non andava nel verso giusto. Iniziò così a chiamare amici guide alpine, e li mise in allerta. Dal mio terrazzino riuscivo a vedere le macchine che passavano, e capivo che le mie disperate urla non potevano raggiungerle, così feci un fuoco pensando che il fumo forse poteva attirare l’attenzione di qualcuno. Il fuoco ardeva ma non faceva fumo, così decisi di bruciare qualche cosa di sintetico, di plastica. Subito pensai ai miei indumenti, ma sarebbe stato stupido, così visto che avevo anche un capello in lana decisi di bruciare il casco: sì il casco era la cosa migliore. Infatti un bel fumo nero si alzava, e mi sentivo un po’ in colpa, ma nel contempo ero deciso a bruciare anche tutta la montagna se fosse servito ad attirare l’attenzione. Ma anche il casco fece presto ad andarsene, troppo presto. La mia mente vagava, in pensieri, in situazioni, non riuscivo a pensare che dopo una così bella salita avrei dovuto fare i conti con questa micidiale discesa. Amo leggere racconti di montagna, e ho sempre recepito che spesso gli incidenti in montagna accadono proprio su sentieri di rientro, ma non a me! Non oggi! Non esiste un giorno migliore, o uno peggiore, questo ho recepito, questo ho banalmente aggiornato nella mia mente.
Ora devo fare i conti, in questo momento, adesso. Come quando mi volevo muovere su questo terreno che stava sotto di me, mi sono detto: ora o mai più. Erano le tre e trenta di pomeriggio, la luce era giusta, infatti ci ho provato, per poi tornare su i miei passi. Ho avuto conferma, che da quel punto non avrei potuto fare altro, nelle condizioni in cui mi trovavo. Questo mi fa capire che comunque stava andando, ero presente, lucido e consapevole. Da quell’istante ogni mia mossa veniva elaborata prima di eseguirla. Avevo bisogno di legna, ma non riuscivo a raggiungere i rami troppo distanti, poi all’improvviso mi venne in mente che nello zaino avevo una daisy chain, così cercavo di prendere i rami di un abete al volo. Dopo vari tentativi vidi che riuscii a fare questa manovra, così mi tenni occupato per un bel po’. Agganciavo i rami più lontani al volo, li tiravo verso di me fin quando riuscivo a prenderli con la mano. Ringraziavo l’abete, e cominciavo a romperli a piccoli pezzi. Il fuoco era la mia unica compagnia esistente, il dargli da mangiare mi teneva occupato. Trascorse due ore mi chiusi in me. Ormai di Mauro ricordavo solamente la favolosa giornata di scalata appena trascorsa, non avevo più speranze, e se esistevano indubbiamente erano poche.
Nella più assoluta irrealtà di quell’istante, sentii una voce. Mi misi ancora a gridare aiuto “Chiamate il 118” imploravo, “Veloci non dubitate!”. Mi affacciai al balcone del terrazzo, e guardando verso il basso, vidi la sagoma di una persona. Egli fece il mio nome. Ed io inebetito dissi: “MAURO!”. Nuovamente la mia mente si scosse, mi dissi che non era possibile, dopo due ore rivedevo il mio compagno. A questo punto non so se stavo sognando, pensai che il freddo potesse fare anche questo tipo di scherzi, invece fortunatamente… era tutto vero. Ci siamo parlati, io ho chiesto se riusciva almeno a camminare, lui disse sì! Allora gli dissi di andare tranquillo, di non pensare a me, che tutto sommato stavo bene. Solamente un attimo dopo ho rielaborato il tutto, mi son detto che esiste veramente qualcosa di supremo, il volo di Mauro è stato incredibile, mai e poi mai avrei pensato che una persona normale si potesse salvare da un volo del genere.
Dalla base della cascata, dove Mauro è atterrato, ad arrivare al furgone, al mattino ci abbiamo impiegato circa mezz’ora. Vedevo Mauro alzarsi e fare un passo, per poi cadere ancora nella neve, si rialzava determinato, si toccava la schiena, faceva un passo e cadeva nuovamente. Io gli urlavo “Forza Mauro!” e lui riprendeva questo tragico tragitto, che divideva la salvezza dalla miseria in cui ci trovavamo. Dall’alto io seguivo il suo penare, poi quando è entrato nel bosco sottostante non lo vedevo, ma io continuavo ad urlargli di avere forza. Dopo altre due interminabili ore, lo vedo passare con il furgone, e suonando il clacson, mi fa capire che oramai è fatta. Si mise alla guida per raggiungere l’unico posto di guardia. Guidò per 300 metri, arrivò dal custode della diga, scese dal furgone e suonò il campanello del custode. Uscì Francesco che gli diede i primi soccorsi, avvisò il soccorso alpino e l’ambulanza per il mio compagno. Il tempo trascorreva inesorabile, ma oramai non faceva alcuna differenza, quando ho rivisto il mio compagno resuscitare per me il mondo aveva cambiato forma. La mia determinazione mi faceva capire che da quel momento io ero pronto a passare la notte dove mi trovavo anche se la temperatura era di meno dieci gradi. Era una forma di ringraziamento, e alle volte dire grazie non basta.
A questo punto la macchina si era messa in moto, alle 19.00 i primi soccorsi erano sul posto. Io avevo la macchina fotografica, così mi venne l’idea di segnalare la mia postazione a colpi di flash. Dal basso ho recepito che mi avevano avvistato, tramite un colpo di clacson. Vedevo che tutto si muoveva, arrivarono i vigili del fuoco, il soccorso alpino, ambulanza, subito si accesero le luci fotovoltaiche. Illuminavano la montagna a giorno. Mi venne da pensare che era troppo. Ora il mio pensiero andava ai soccorritori, mi chiedevo quanto fosse giusto, che delle persone fossero pronte a rischiare la loro vita per portarmi in salvo. Esisteva solo una possibilità, scalare la cascata di notte. Vedevo ai miei piedi le manovre, gente che passava sotto di me, per poi andarsene, pensavo che avessero cambiato idea. Avevo solo una richiesta da fare, sapere se dovevo trascorrere la notte sul terrazzino, oppure se in qualche modo potessero raggiungermi. In quegli istanti io non sapevo nulla e questo mi faceva pensare. Chiedevo aiuto alla mia mente, cercando di ricordarmi situazioni analoghe dalle letture dei miei libri. Era meglio scavare una buca nella neve? Cominciavo ad avere freddo ai piedi, forse era meglio levare gli scarponi? Di dormire non se ne parlava, però ero stanco.
Continuavo a camminare, per quanto potessi farlo, facevo esercizi di ogni tipo pur di far fluire il sangue. Poi, come in un sogno, sento delle voci. Erano i miei soccorritori! Dopo 11 ore in parete Mauro e Fabio, erano in cima, all’inizio della doppia, e in un attimo erano da me. Degna di nota la professionalità dei soccorritori, persone straordinarie che hanno scelto di vivere queste esperienze. Subito mi hanno informato di Mauro, delle sue condizioni, ancora per una volta ho ringraziato Dio e tutti gli angeli che hanno aiutato Mauro nel suo volo, solo così poteva cavarsela. Mi hanno assicurato, mi hanno calato in orridi pendii, dove ho potuto verificare il volo di Mauro, ed avere la certezza di tutta questa incredibile esperienza.
Oggi sono sette giorni che il tutto è successo, in questa settimana di riflessione ho capito ed elaborato moltissime cose. Ricordo i primi tre giorni, continuavo la vita di sempre con una voce provata, ma con l’adrenalina in corpo che mi sosteneva. Dovevo raccontare di continuo la mia esperienza, anche al telefono. Poi il venerdì crollai, tutta la stanchezza accumulata si fece sentire subito dopo la sveglia delle sette. Il giorno prima ero stato in ospedale da Mauro, lo avevo trovato bene, la moglie mi disse che ogni giorno era sempre meglio, la TAC non segnalava nulla di anomalo, questo voleva dire che Mauro infondo non si era fatto niente. Dopo otto giorni di ospedale, il mio compagno di avventura mi chiama dicendomi che lo avrebbero dimesso in mattinata, così presi il furgone e mi diressi a Trento. Abbiamo terminato questa fortissima avventura nel miglior modo. Sulla cascata di ghiaccio vorrei solo aggiungere che veramente mi è piaciuta come progressione, e che sicuramente il prossimo anno avrò qualcosa a cui dedicarmi. In montagna tutto può accadere, rimanerne contagiati è la conseguenza delle nostre esperienze, riuscire poi ad ascoltarsi e muoversi fa parte della nostra crescita. Nel riempire il proprio zaino, vanno inserite le nostre maturate conoscenze, e credo che non sarà mai colmo. Ecco cosa mi suggerisce l’andar per monti, ecco cosa io, sto imparando. Questa esperienza ha rafforzato il mio pensiero di inizio articolo: “Chi con il cuore e con la mente medita cose impossibili vince!”.
di Flavio Moro
Il sogno del Gran Scozzese
di Flavio Moro
“Della montagna tutti ne parlano con facilità: della sua bellezza, della solitudine, della fatica. Abituarsi ad accettarla… è un’altra cosa.” Bruno Detassis
Da tempo nella mia mente cullavo il sogno di arrampicare sul ghiaccio, pensavo come sempre: “Chi con il cuore e con la mente medita cose impossibili vince”; e sapevo che prima o poi… sarebbe successo. Così in questa mattina fredda di un giorno di febbraio, assieme ad un amico guida alpina, ci siamo recati in val di Daone, paradiso di questo sport. Con il suo furgone siamo partiti da Arco alle 7.30 per raggiungere la valle. In val di Daone ci fermiamo da Placido, il quale gestisce un ristorante (più che altro è un punto di ritrovo per arrampicatori) pausa caffè, quattro chiacchiere, informazioni sullo stato delle cascate e poi via. Velocemente raggiungiamo con il furgone il posto più lontano della valle. Parcheggiamo, e subito davanti a noi si presenta la cascata. Come già detto, per me era la prima volta, e vedere questa colata di ghiaccio mi ha subito colpito, affascinato, e non vedevo l’ora di piantare i ramponi. Così dopo i preparativi ci incamminiamo sul sentiero pieno di neve che porta verso la base della cascata. Prima di partire però chiedo a Mauro se i telefoni prendono, alla risposta negativa decido di lasciare il mio nel furgone. Un piccolo pendio ci porta subito sotto la cascata. Da quella postazione vediamo una cordata che ci precede, così aspettiamo un po’, in modo da creare un piccolo distacco da essi.
Alle 11 Mauro inizia l’arrampicata, armonioso e sicuro scala velocemente per circa 50 m; le corde finiscono ed io lo avviso, lui organizza la sosta e così inizio io. Da subito trovo l’arrampicare su ghiaccio una sensazione già provata: mi vengono in mente le gite che ho fatto con i miei amici, gite in alta montagna dove abbiamo usato ramponi e piccozza. Ma questo è un altro mondo… Comunque non esito e sento dentro di me una sana energia, una nuova forza, non faccio fatica e tutto è veramente entusiasmante. L’ambiente austero e freddo mi aiuta nella concentrazione. “Sono qui, stai attento”: ogni tanto dalla cordata che ci precedeva scendevano pezzi di ghiaccio, ma noi eravamo ben protetti, e questo ci teneva in allerta. Alle volte i pezzi mi passavano vicino, sfiorandomi di poco, ma li sentivo fischiare verso la loro corsa, per poi frantumarsi alla base della cascata. Non ero preoccupato anche se qualche pezzo mi ha colpito sul casco e sullo zaino che avevo sulla schiena: bella idea quella dello zaino, anche se mezzo vuoto ti ripara da questi pezzi che ovviamente si staccano spesso e possono colpirti. Il loro fischio era intimidatorio, e quando andavano a segno avevo la sensazione che interrompessero il loro viaggio. Credo infatti che la loro vera corsa sia in fondo. Sono stati prigionieri del freddo, obbligati a saldarsi su quei pendii. Così quando finalmente arrivano in fondo, e si trasformano in acqua, è come se ritornassero a vivere, a scorrere ancor più a valle, per unirsi a fiumi, a laghi e sentirsi parte del mare, finalmente liberi.
Raggiungo Mauro in sosta, mi assicuro, raccolgo le corde e lui riparte per altri 50 m di scalata. Dal punto in cui mi trovo, riesco a carpire i movimenti fondamentali per la progressione; subito Mauro mette un chiodo per proteggere la sosta da un eventuale caduta, così colgo l’occasione per scattare una foto: mi piace documentare questa mia prima, così anche lui mi riprende con la sua macchina. Andiamo avanti per un altro bel tiro di corda, e raggiungiamo una grotta. In mezzo alla parete ora sembra di essere al sicuro, sopra la nostra testa un tetto di granito ci ripara completamente dalle scariche di ghiaccio, e tutto intorno a noi solo ghiaccio. Ci riposiamo un po’, guardando il panorama, di fronte a noi si estende la cima di Re di Castello, e scattiamo ancora delle foto; la giornata limpida mostra dei colori superbi. Il prossimo tiro di corda è il tiro chiave con una pendenza del 85,90%, un muro praticamente verticale che mi mette seriamente alla prova. In quella situazione, Mauro mi ricorda dall’alto come mi devo muovere, spostando bene il peso, creare il triangolo e far riposare il più possibile le braccia; ma anche così lo trovo assai impegnativo. Per ben due volte mi devo fermare per riprendere le forze, poi arrivo da Mauro, che mi dice: “Forse sono stato un po’ cattivo a portarti su questa cascata!”. Io gli rispondo: “Cattivo! Ma anche bravo!”. Succede in questi frangenti di chiedersi come delle persone possano scalare in questo modo, andare da primo di cordata su un muro così: non è da tutti. “Dai Flavio, ancora un tiro e siamo fuori” Mauro mi rassicura. Per me non era una sofferenza, e quando mi dicono questa frase spesso mi dispiace, perché è come se questo fantastico gioco fosse già finito.
Siamo in perfetto orario, siamo saliti veloci: parte fondamentale in queste situazioni. Fin dall’inizio Mauro mi diceva di proseguire tranquillamente badando solo al mio movimento e, nel caso fossimo stati in ritardo, ci avrebbe pensato lui a farmi correre. Ci scambiamo il materiale che io ogni volta recuperavo salendo, e sì riparte per un ultimo sforzo. Dopo circa un’ora siamo in cima tutti e due. Sono le tre di pomeriggio, la temperatura sta scendendo, dunque non ci fermiamo in cima, ci spostiamo verso la via del ritorno, e quando raggiungiamo la sosta ci concediamo un goccio di tè, ci facciamo i complimenti, quattro battute, raccogliamo tutto il materiale e lo depositiamo nello zaino di Mauro. Ora siamo pronti per la discesa in corda doppia, sono sei in totale le doppie da effettuare per arrivare alla base della cascata. La discesa viene fatta da un altro versante dove ci sono ancoraggi su larici e abeti: sempre la natura che ci assiste, che ci aiuta. Mauro prende le corde e le lancia nel vuoto, dopo averle assicurate alla sosta, si assicura, e dopo avermi chiesto se ho problemi con la discesa in doppia, si cala per i primi 50 m. Arrivato in fondo, mi avvisa che posso scendere, così mi lego e scendo con la piastrina, lo raggiungo e mi indica un terrazzino innevato, raggiunto il terrazzino mi dice di slegarmi in modo che lui possa recuperare le corde.
Mentre Mauro recuperava le corde io potevo muovermi sul terrazzino, così mi misi a cercare l’altro ancoraggio per la discesa, e nella spensieratezza assaporavo già la fine di questa grandiosa giornata. Mi giro e Mauro stava ultimando il suo lavoro, quando ad un tratto lo sento urlare… Nooo! Mauro si sbilancia, fa una torsione, cade sulla schiena, e come un pezzo di ghiaccio - come quelli che tutto il giorno ci avevano sfiorato con i loro fischi - scivola lungo il pendio. Eravamo ancora praticamente in cima, sotto di noi un salto di oltre 200 metri! Sono rimasto impietrito, volevo urlare, ma temevo di distrarlo, così ho solo ascoltato. In quel silenzio si stava consumando un dramma. Dopo qualche secondo sento un tonfo, me ne sto in silenzio. Inaspettatamente dopo un altro paio di secondi sento un altro tonfo… Mauro era arrivato in fondo. Tutto era irreale, tutto non aveva senso. Le mia urla non finivano mai, di continuo chiamavo Mauro, ad intervalli non troppo lunghi gridavo aiuto, era un continuo urlare. “Cristo santo, è mai possibile che nessuno mi senta?!” Ma non era così, la persone a cui gridavo sentiva, eccome se sentiva.
L’istinto mi fece provare a scendere da quel pendio che mi teneva prigioniero, feci dei passi, poi mi resi conto che stavo sbagliando tutto. Su quel terreno non potevo muovermi, senza picche e senza corde, e con rammarico rinunciai. Pensavo che il mio compagno avesse bisogno di me. Il mio pensiero costantemente andava a Mauro, a sua moglie, a suo figlio Camillo e a quello che presto dovrà nascere. Poi pensavo alla mia famiglia, mia moglie Valentina, che ero sicuro avrebbe sentito il mio dolore di urla, e difatti così fu: mentre lei se ne stava nella nostra casa di Arco, ha avuto il sentore che qualcosa non andava nel verso giusto. Iniziò così a chiamare amici guide alpine, e li mise in allerta. Dal mio terrazzino riuscivo a vedere le macchine che passavano, e capivo che le mie disperate urla non potevano raggiungerle, così feci un fuoco pensando che il fumo forse poteva attirare l’attenzione di qualcuno. Il fuoco ardeva ma non faceva fumo, così decisi di bruciare qualche cosa di sintetico, di plastica. Subito pensai ai miei indumenti, ma sarebbe stato stupido, così visto che avevo anche un capello in lana decisi di bruciare il casco: sì il casco era la cosa migliore. Infatti un bel fumo nero si alzava, e mi sentivo un po’ in colpa, ma nel contempo ero deciso a bruciare anche tutta la montagna se fosse servito ad attirare l’attenzione. Ma anche il casco fece presto ad andarsene, troppo presto. La mia mente vagava, in pensieri, in situazioni, non riuscivo a pensare che dopo una così bella salita avrei dovuto fare i conti con questa micidiale discesa. Amo leggere racconti di montagna, e ho sempre recepito che spesso gli incidenti in montagna accadono proprio su sentieri di rientro, ma non a me! Non oggi! Non esiste un giorno migliore, o uno peggiore, questo ho recepito, questo ho banalmente aggiornato nella mia mente.
Ora devo fare i conti, in questo momento, adesso. Come quando mi volevo muovere su questo terreno che stava sotto di me, mi sono detto: ora o mai più. Erano le tre e trenta di pomeriggio, la luce era giusta, infatti ci ho provato, per poi tornare su i miei passi. Ho avuto conferma, che da quel punto non avrei potuto fare altro, nelle condizioni in cui mi trovavo. Questo mi fa capire che comunque stava andando, ero presente, lucido e consapevole. Da quell’istante ogni mia mossa veniva elaborata prima di eseguirla. Avevo bisogno di legna, ma non riuscivo a raggiungere i rami troppo distanti, poi all’improvviso mi venne in mente che nello zaino avevo una daisy chain, così cercavo di prendere i rami di un abete al volo. Dopo vari tentativi vidi che riuscii a fare questa manovra, così mi tenni occupato per un bel po’. Agganciavo i rami più lontani al volo, li tiravo verso di me fin quando riuscivo a prenderli con la mano. Ringraziavo l’abete, e cominciavo a romperli a piccoli pezzi. Il fuoco era la mia unica compagnia esistente, il dargli da mangiare mi teneva occupato. Trascorse due ore mi chiusi in me. Ormai di Mauro ricordavo solamente la favolosa giornata di scalata appena trascorsa, non avevo più speranze, e se esistevano indubbiamente erano poche.
Nella più assoluta irrealtà di quell’istante, sentii una voce. Mi misi ancora a gridare aiuto “Chiamate il 118” imploravo, “Veloci non dubitate!”. Mi affacciai al balcone del terrazzo, e guardando verso il basso, vidi la sagoma di una persona. Egli fece il mio nome. Ed io inebetito dissi: “MAURO!”. Nuovamente la mia mente si scosse, mi dissi che non era possibile, dopo due ore rivedevo il mio compagno. A questo punto non so se stavo sognando, pensai che il freddo potesse fare anche questo tipo di scherzi, invece fortunatamente… era tutto vero. Ci siamo parlati, io ho chiesto se riusciva almeno a camminare, lui disse sì! Allora gli dissi di andare tranquillo, di non pensare a me, che tutto sommato stavo bene. Solamente un attimo dopo ho rielaborato il tutto, mi son detto che esiste veramente qualcosa di supremo, il volo di Mauro è stato incredibile, mai e poi mai avrei pensato che una persona normale si potesse salvare da un volo del genere.
Dalla base della cascata, dove Mauro è atterrato, ad arrivare al furgone, al mattino ci abbiamo impiegato circa mezz’ora. Vedevo Mauro alzarsi e fare un passo, per poi cadere ancora nella neve, si rialzava determinato, si toccava la schiena, faceva un passo e cadeva nuovamente. Io gli urlavo “Forza Mauro!” e lui riprendeva questo tragico tragitto, che divideva la salvezza dalla miseria in cui ci trovavamo. Dall’alto io seguivo il suo penare, poi quando è entrato nel bosco sottostante non lo vedevo, ma io continuavo ad urlargli di avere forza. Dopo altre due interminabili ore, lo vedo passare con il furgone, e suonando il clacson, mi fa capire che oramai è fatta. Si mise alla guida per raggiungere l’unico posto di guardia. Guidò per 300 metri, arrivò dal custode della diga, scese dal furgone e suonò il campanello del custode. Uscì Francesco che gli diede i primi soccorsi, avvisò il soccorso alpino e l’ambulanza per il mio compagno. Il tempo trascorreva inesorabile, ma oramai non faceva alcuna differenza, quando ho rivisto il mio compagno resuscitare per me il mondo aveva cambiato forma. La mia determinazione mi faceva capire che da quel momento io ero pronto a passare la notte dove mi trovavo anche se la temperatura era di meno dieci gradi. Era una forma di ringraziamento, e alle volte dire grazie non basta.
A questo punto la macchina si era messa in moto, alle 19.00 i primi soccorsi erano sul posto. Io avevo la macchina fotografica, così mi venne l’idea di segnalare la mia postazione a colpi di flash. Dal basso ho recepito che mi avevano avvistato, tramite un colpo di clacson. Vedevo che tutto si muoveva, arrivarono i vigili del fuoco, il soccorso alpino, ambulanza, subito si accesero le luci fotovoltaiche. Illuminavano la montagna a giorno. Mi venne da pensare che era troppo. Ora il mio pensiero andava ai soccorritori, mi chiedevo quanto fosse giusto, che delle persone fossero pronte a rischiare la loro vita per portarmi in salvo. Esisteva solo una possibilità, scalare la cascata di notte. Vedevo ai miei piedi le manovre, gente che passava sotto di me, per poi andarsene, pensavo che avessero cambiato idea. Avevo solo una richiesta da fare, sapere se dovevo trascorrere la notte sul terrazzino, oppure se in qualche modo potessero raggiungermi. In quegli istanti io non sapevo nulla e questo mi faceva pensare. Chiedevo aiuto alla mia mente, cercando di ricordarmi situazioni analoghe dalle letture dei miei libri. Era meglio scavare una buca nella neve? Cominciavo ad avere freddo ai piedi, forse era meglio levare gli scarponi? Di dormire non se ne parlava, però ero stanco.
Continuavo a camminare, per quanto potessi farlo, facevo esercizi di ogni tipo pur di far fluire il sangue. Poi, come in un sogno, sento delle voci. Erano i miei soccorritori! Dopo 11 ore in parete Mauro e Fabio, erano in cima, all’inizio della doppia, e in un attimo erano da me. Degna di nota la professionalità dei soccorritori, persone straordinarie che hanno scelto di vivere queste esperienze. Subito mi hanno informato di Mauro, delle sue condizioni, ancora per una volta ho ringraziato Dio e tutti gli angeli che hanno aiutato Mauro nel suo volo, solo così poteva cavarsela. Mi hanno assicurato, mi hanno calato in orridi pendii, dove ho potuto verificare il volo di Mauro, ed avere la certezza di tutta questa incredibile esperienza.
Oggi sono sette giorni che il tutto è successo, in questa settimana di riflessione ho capito ed elaborato moltissime cose. Ricordo i primi tre giorni, continuavo la vita di sempre con una voce provata, ma con l’adrenalina in corpo che mi sosteneva. Dovevo raccontare di continuo la mia esperienza, anche al telefono. Poi il venerdì crollai, tutta la stanchezza accumulata si fece sentire subito dopo la sveglia delle sette. Il giorno prima ero stato in ospedale da Mauro, lo avevo trovato bene, la moglie mi disse che ogni giorno era sempre meglio, la TAC non segnalava nulla di anomalo, questo voleva dire che Mauro infondo non si era fatto niente. Dopo otto giorni di ospedale, il mio compagno di avventura mi chiama dicendomi che lo avrebbero dimesso in mattinata, così presi il furgone e mi diressi a Trento. Abbiamo terminato questa fortissima avventura nel miglior modo. Sulla cascata di ghiaccio vorrei solo aggiungere che veramente mi è piaciuta come progressione, e che sicuramente il prossimo anno avrò qualcosa a cui dedicarmi. In montagna tutto può accadere, rimanerne contagiati è la conseguenza delle nostre esperienze, riuscire poi ad ascoltarsi e muoversi fa parte della nostra crescita. Nel riempire il proprio zaino, vanno inserite le nostre maturate conoscenze, e credo che non sarà mai colmo. Ecco cosa mi suggerisce l’andar per monti, ecco cosa io, sto imparando. Questa esperienza ha rafforzato il mio pensiero di inizio articolo: “Chi con il cuore e con la mente medita cose impossibili vince!”.
di Flavio Moro
Note:
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