François Damilano, Cascades de glace & dry-tooling
Intervista a François Damilano sulla storia, evoluzione e futuro dell’arrampicata sulle cascate di ghiaccio. Il punto di vista di un climber che da 26 anni esplora il ghiaccio con piccozze e ramponi. Di Elio Bonfanti
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Arpenaz
arch. Damilano
Le Cascate di ghiaccio e il dry tooling visti da uno dei più importanti protagonisti dell'arrampicata con piccozze e ramponi. In occasione dell'uscita della guida in due volumi Cascades de glace & dry-tooling. Du mont Blanc au Léman, firmata da Philippe Batoux, François Damilano e Ludovic Seifert e del film La sorcière blanche di Bertrand Delapierre, Elio Bonfanti ha intervistato François Damilano, il climber francese che ha scritto la storia dell'arrampicata sulle cascate di ghiaccio.
François Damilano, 26 anni di salite sulle cascate di ghiaccio in tutto il mondo... come era quella semi-sconosciuta frontiera del ghiaccio verticale all'epoca dei primissimi anni '80?
Sicuramente molte cose sono cambiate. Se lo sport è movimento la vita e cambiamento. Io ho scoperto la scalata su cascate quando questa era ancora un'attività per pochi. Allora si trattava di un'attività invernale ignorata dalla maggior degli alpinisti. Solo una manciata di arrampicatori e qualche guida la praticavano regolarmente
Cosa è cambiato da allora, cosa si è perso per strada e cosa si è acquistato?
Tutto è cambiato! Io negli anni '80 e negli anni '90 ho avuto la fortuna di vivere “L'età d'oro” dell'attività. C'era un potenziale immenso, nuovi siti da esplorare e nuove difficoltà da superare, regole del gioco da perfezionare, l'etica della “libera” da definire e le quotazioni delle difficoltà da omogeneizzare. Viaggiare, trovare gli altri arrampicatori mi faceva pensare di essere parte di una famiglia di precursori. E' stato appassionante. Poco a poco, grazie al suo successo, la scalata su cascate ha avuto come evoluzione logica l'integrazione alle altre pratiche alpine divenendo in certi casi una specialità di riferimento sulla quale addirittura le grandi marche produttrici di materiali hanno appoggiato la promozione pubblicitaria sulle performance delle loro attrezzature da cascata. Anche l' ENSA ha integrato la scalata su cascate nei sui corsi invernali di formazione per le guide alpine e le federazioni di montagna FFM si sono servite di questa attività per selezionare i primi gruppi di scalatori di alto livello e per promuoverne le gesta. Tutto ciò è avvenuto molto in fretta considerato che alla fine degli ottanta tutto ciò era ancora fuori da ogni proposito.
Chi sono quelli, oltre a te, che hanno dato una svolta all'attività in Europa?
Godefroy Perroux, Gian-Carlo Grassi, Dominique Julien, Jean-Noël Roche, Jeff Lowe, Patrick Gabarrou, Thierry Renault, Joseph Josephson, Serge Angelucci, Guy Lacelle, Andreas Orgler, poi un pò più tardi è arrivata una nuova generazione.
Mi ricordo al primo meeting in Val Varaita di un giovane e timido ragazzo indubbiamente da subito attratto dal ghiaccio verticale. Sei riuscito a scoprire la ragione di questo tuo amore a prima vista?
Nelle cascate di ghiaccio ho trovato il modo di vivere pienamente due pratiche che sembravano separarsi. Il mondo dell'alpinismo e quello dell'arrampicata. Le cascate sono alpinismo invernale con le conoscenze che impone un ambito aleatorio ma nello spirito e nella gestualità sono anche arrampicata sportiva.
Qual è la tua definizione di "effimero" e di rischio applicata alla materia ghiaccio?
Arrampicare sull'acqua, risalire controcorrente, investire su una parete che sparirà sono elementi sufficienti per rimettere l'alpinismo nella sua dimensione veritiera. Un attività intensa ed irridente.
E' passato il periodo delle salite sui seracchi?
Come sistematica abitudine sì. Ma c'è stato un periodo nella mia attività di scalatore dove la realizzazione restava malgrado tutto essenziale. Come probabilmente è stato essenziale il mio desiderio di contraddistinguermi o di segnarmi nelle ultime tendenze. In questo sono stato influenzato dai resoconti di Giancarlo Grassi o dalle immagini di Rob Taylor. Detto tutto ciò, le ascensioni sui seracchi non sono poi così pericolose come sembra; sovente sono più spettacolari ed acrobatiche che pericolose. Bisogna ridurre al minimo il rischio, scegliere precisamente la linea ed essere rapidi ed efficaci.
Sono i materiali ad essere migliorati o sono ancora gli alpinisti ad essere più avanti dei materiali?
La qualità del materiale non rimpiazzerà mai il talento dello scalatore, ma sicuramente i progressi tecnologici aiutano permettendo di essere più rapidi e delicati. Però una lunghezza su ghiaccio ripido rimane tale.
Puoi farci un esempio di una tua esperienza (di una cascata o di più cascate) che ti hanno lasciato un segno e che più rappresentano lo spirito del tuo modo di interpretare l'ice climbing?
La cascata “Visa pour l'Amerique” sopra Bourg d'Oisans, è stata un'esperienza significativa. Nel 1987 non avevamo ancora l'abitudine a muri così ripidi, continui, fini ed effimeri. All'epoca quella salita contribuì a disinibirmi completamente. Questa cascata da allora non risulta ancora ripetuta. Servono buone condizioni di gelo… noi scegliemmo il momento giusto ed osammo. Subito dopo “Visa” facemmo “ l' Etoffe” a fianco della cascata di ”Moulins” a la Grave. Era in assoluto una delle prime cascate interrotte, con un passaggio chiave dove era necessario osare, sospendendosi ad un'enorme stalattite. Questa salita, spesso dimenticata, rivela la maturità raggiunta alla fine degli anni '80. Poi all'inizio degli anni anni '90 arrivarono le prime sulle formidabili linee del “Fer a Cheval”, tra le quali ricordo soprattutto “La massue” uno dei primi grado 7 su ghiaccio.
Dry e ice, sono due mondi complementari? E come hai vissuto l'epoca del boom del dry tooling?
Da quando è stato così chiamato, il Dry è una radicalizzazione delle esperienze vissute su cascate interrotte; “L' Etoffe, “Les racines du ciel”, “Les liasons dangereuses” sono state un modo per andare a cercare del ghiaccio sospeso che in seguito è diventato un gioco. Un gioco praticato da fortissimi scalatori su roccia che, reso “asettico” dall'utilizzo degli spit, è progredito in maniera spettacolare diventando addirittura una pratica autonoma.
Se potessi dare solo tre consigli ad un ghiacciatore alle prime armi, cosa gli diresti?
Durare, durare, durare!
E a un ghiacciatore esperto?
Ancora durare!
Quanto è cresciuto il livello medio degli alpinisti, considerato che in certe occasioni su grandi salite troviamo la coda?
Il livello medio degli alpinisti è salito, ed anche quello dei più forti è ugualmente salito ma è un evoluzione costante dovuta al contesto storico in cui si vive. I forti alpinisti, quelli che sono dei punti di riferimento non sono solo quelli che fanno delle grandi realizzazioni ma anche quelli che sanno e fanno lo sforzo di raccontarle e che così poi ci fanno sognare.
Si parla spesso del riscaldamento del pianeta... hai notato qualche differenza nella tua attività sulle cascate?
Già tra loro gli esperti non sono d'accordo, ed io mi ricordo che nell' 87/88 parlavamo di inverni caldi. Quello che dobbiamo precisare è che i periodi freddi sono più corti e quindi bisogna saper scegliere bene i momenti buoni.
Le doti che apprezzi di più in un ghiacciatore, ma anche in chi va in montagna...
Il fatto che abbia delle cose da raccontare. Non c'è niente di più noioso che scalare con uno che non ha niente da dire.
E' appena uscita "Cascades de glace & dry-tooling. Du Mont Blanc au Léman", la guida in due volumi che hai scritto con Philippe Batoux e Ludovic Seifert... puoi consigliare una meta "imperdibile" per tutti i ghiacciatori che ci leggono?
La novità di queste guide è che ho incluso dei siti di Dry che da ora in avanti saranno frequentati durante la stagione, ma il mio obbiettivo era di far conoscere il circo del “Fer a Cheval” un luogo paradossalmente sconosciuto ma assolutamente da non trascurare
Un augurio per l'ice climbing del terzo millennio?
Che un compagno mi chiami per dirmi che “quella bellissima linea che cade in mare” è finalmente gelata… Le mie piccozze sono pronte.
François Damilano, 26 anni di salite sulle cascate di ghiaccio in tutto il mondo... come era quella semi-sconosciuta frontiera del ghiaccio verticale all'epoca dei primissimi anni '80?
Sicuramente molte cose sono cambiate. Se lo sport è movimento la vita e cambiamento. Io ho scoperto la scalata su cascate quando questa era ancora un'attività per pochi. Allora si trattava di un'attività invernale ignorata dalla maggior degli alpinisti. Solo una manciata di arrampicatori e qualche guida la praticavano regolarmente
Cosa è cambiato da allora, cosa si è perso per strada e cosa si è acquistato?
Tutto è cambiato! Io negli anni '80 e negli anni '90 ho avuto la fortuna di vivere “L'età d'oro” dell'attività. C'era un potenziale immenso, nuovi siti da esplorare e nuove difficoltà da superare, regole del gioco da perfezionare, l'etica della “libera” da definire e le quotazioni delle difficoltà da omogeneizzare. Viaggiare, trovare gli altri arrampicatori mi faceva pensare di essere parte di una famiglia di precursori. E' stato appassionante. Poco a poco, grazie al suo successo, la scalata su cascate ha avuto come evoluzione logica l'integrazione alle altre pratiche alpine divenendo in certi casi una specialità di riferimento sulla quale addirittura le grandi marche produttrici di materiali hanno appoggiato la promozione pubblicitaria sulle performance delle loro attrezzature da cascata. Anche l' ENSA ha integrato la scalata su cascate nei sui corsi invernali di formazione per le guide alpine e le federazioni di montagna FFM si sono servite di questa attività per selezionare i primi gruppi di scalatori di alto livello e per promuoverne le gesta. Tutto ciò è avvenuto molto in fretta considerato che alla fine degli ottanta tutto ciò era ancora fuori da ogni proposito.
Chi sono quelli, oltre a te, che hanno dato una svolta all'attività in Europa?
Godefroy Perroux, Gian-Carlo Grassi, Dominique Julien, Jean-Noël Roche, Jeff Lowe, Patrick Gabarrou, Thierry Renault, Joseph Josephson, Serge Angelucci, Guy Lacelle, Andreas Orgler, poi un pò più tardi è arrivata una nuova generazione.
Mi ricordo al primo meeting in Val Varaita di un giovane e timido ragazzo indubbiamente da subito attratto dal ghiaccio verticale. Sei riuscito a scoprire la ragione di questo tuo amore a prima vista?
Nelle cascate di ghiaccio ho trovato il modo di vivere pienamente due pratiche che sembravano separarsi. Il mondo dell'alpinismo e quello dell'arrampicata. Le cascate sono alpinismo invernale con le conoscenze che impone un ambito aleatorio ma nello spirito e nella gestualità sono anche arrampicata sportiva.
Qual è la tua definizione di "effimero" e di rischio applicata alla materia ghiaccio?
Arrampicare sull'acqua, risalire controcorrente, investire su una parete che sparirà sono elementi sufficienti per rimettere l'alpinismo nella sua dimensione veritiera. Un attività intensa ed irridente.
E' passato il periodo delle salite sui seracchi?
Come sistematica abitudine sì. Ma c'è stato un periodo nella mia attività di scalatore dove la realizzazione restava malgrado tutto essenziale. Come probabilmente è stato essenziale il mio desiderio di contraddistinguermi o di segnarmi nelle ultime tendenze. In questo sono stato influenzato dai resoconti di Giancarlo Grassi o dalle immagini di Rob Taylor. Detto tutto ciò, le ascensioni sui seracchi non sono poi così pericolose come sembra; sovente sono più spettacolari ed acrobatiche che pericolose. Bisogna ridurre al minimo il rischio, scegliere precisamente la linea ed essere rapidi ed efficaci.
Sono i materiali ad essere migliorati o sono ancora gli alpinisti ad essere più avanti dei materiali?
La qualità del materiale non rimpiazzerà mai il talento dello scalatore, ma sicuramente i progressi tecnologici aiutano permettendo di essere più rapidi e delicati. Però una lunghezza su ghiaccio ripido rimane tale.
Puoi farci un esempio di una tua esperienza (di una cascata o di più cascate) che ti hanno lasciato un segno e che più rappresentano lo spirito del tuo modo di interpretare l'ice climbing?
La cascata “Visa pour l'Amerique” sopra Bourg d'Oisans, è stata un'esperienza significativa. Nel 1987 non avevamo ancora l'abitudine a muri così ripidi, continui, fini ed effimeri. All'epoca quella salita contribuì a disinibirmi completamente. Questa cascata da allora non risulta ancora ripetuta. Servono buone condizioni di gelo… noi scegliemmo il momento giusto ed osammo. Subito dopo “Visa” facemmo “ l' Etoffe” a fianco della cascata di ”Moulins” a la Grave. Era in assoluto una delle prime cascate interrotte, con un passaggio chiave dove era necessario osare, sospendendosi ad un'enorme stalattite. Questa salita, spesso dimenticata, rivela la maturità raggiunta alla fine degli anni '80. Poi all'inizio degli anni anni '90 arrivarono le prime sulle formidabili linee del “Fer a Cheval”, tra le quali ricordo soprattutto “La massue” uno dei primi grado 7 su ghiaccio.
Dry e ice, sono due mondi complementari? E come hai vissuto l'epoca del boom del dry tooling?
Da quando è stato così chiamato, il Dry è una radicalizzazione delle esperienze vissute su cascate interrotte; “L' Etoffe, “Les racines du ciel”, “Les liasons dangereuses” sono state un modo per andare a cercare del ghiaccio sospeso che in seguito è diventato un gioco. Un gioco praticato da fortissimi scalatori su roccia che, reso “asettico” dall'utilizzo degli spit, è progredito in maniera spettacolare diventando addirittura una pratica autonoma.
Se potessi dare solo tre consigli ad un ghiacciatore alle prime armi, cosa gli diresti?
Durare, durare, durare!
E a un ghiacciatore esperto?
Ancora durare!
Quanto è cresciuto il livello medio degli alpinisti, considerato che in certe occasioni su grandi salite troviamo la coda?
Il livello medio degli alpinisti è salito, ed anche quello dei più forti è ugualmente salito ma è un evoluzione costante dovuta al contesto storico in cui si vive. I forti alpinisti, quelli che sono dei punti di riferimento non sono solo quelli che fanno delle grandi realizzazioni ma anche quelli che sanno e fanno lo sforzo di raccontarle e che così poi ci fanno sognare.
Si parla spesso del riscaldamento del pianeta... hai notato qualche differenza nella tua attività sulle cascate?
Già tra loro gli esperti non sono d'accordo, ed io mi ricordo che nell' 87/88 parlavamo di inverni caldi. Quello che dobbiamo precisare è che i periodi freddi sono più corti e quindi bisogna saper scegliere bene i momenti buoni.
Le doti che apprezzi di più in un ghiacciatore, ma anche in chi va in montagna...
Il fatto che abbia delle cose da raccontare. Non c'è niente di più noioso che scalare con uno che non ha niente da dire.
E' appena uscita "Cascades de glace & dry-tooling. Du Mont Blanc au Léman", la guida in due volumi che hai scritto con Philippe Batoux e Ludovic Seifert... puoi consigliare una meta "imperdibile" per tutti i ghiacciatori che ci leggono?
La novità di queste guide è che ho incluso dei siti di Dry che da ora in avanti saranno frequentati durante la stagione, ma il mio obbiettivo era di far conoscere il circo del “Fer a Cheval” un luogo paradossalmente sconosciuto ma assolutamente da non trascurare
Un augurio per l'ice climbing del terzo millennio?
Che un compagno mi chiami per dirmi che “quella bellissima linea che cade in mare” è finalmente gelata… Le mie piccozze sono pronte.
Note:
Cascades de glace & dry-tooling
Du mont Blanc au Léman
Tome 1 - Tome 2
Philippe Batoux, François Damilano et Ludovic Seifer
Ed. JMEditions - 93 chemin du Vieux Guide – F-74400 Chamonix Mont-Blanc
Bilingue (fra/eng) con presentazione e accesso delle zone in esp, ita e ger.
Vol. 1: Val Montjoie – Val d’Arly – Bornes – Aravis. 26,00 Euro.
Vol. 2: Arve – Giffre – Chablais. 28,00 Euro
Cascades de glace & dry-tooling
Du mont Blanc au Léman
Tome 1 - Tome 2
Philippe Batoux, François Damilano et Ludovic Seifer
Ed. JMEditions - 93 chemin du Vieux Guide – F-74400 Chamonix Mont-Blanc
Bilingue (fra/eng) con presentazione e accesso delle zone in esp, ita e ger.
Vol. 1: Val Montjoie – Val d’Arly – Bornes – Aravis. 26,00 Euro.
Vol. 2: Arve – Giffre – Chablais. 28,00 Euro
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