Fitz Roy, atto secondo: Parete Sud, Via Californiana
La Via Californiana sulla Parete Sud del Fitz Roy in Patagonia. Il racconto della salita effettuata il 12 dicembre 2012 da Damiano Barabino, Sergio De Leo, Marcello Sanguineti, Christian Türk.
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Il versante ovest del Fitz Roy
Marcello Sanguineti
Cinque alpinisti partono da Ventura, in California, a bordo di un van diretti verso sud. Dopo 8000 chilometri, intervallati da numerose soste per surfare e sciare, arrivano in Patagonia. Trascorrono 35 giorni in una grotta scavata nella neve in attesa del bel tempo; poi, cogliendo al volo una "ventana" patagonica, aprono una nuova via sul Fitz Roy. Vi dice nulla…?
E' la trama del film di Lito Tejada Flores ("Fitz Roy, the first ascent of the south–west buttress"), Genziana d’Oro al Trento Film Festival del 1969, che racconta l’apertura della via Californiana al Fitz. I cinque alpinisti sono gli americani Yvon Chouinard, Richard Dorworth, Lito Tejada Flores stesso e Doug Tompkins, insieme al britannico Chris Jones. Nessuno dei membri della spedizione era californiano ed uno non era neppure americano. A dispetto di ciò, la via è nota come "Californiana" o "Americana".
Aperta nel dicembre 1968, è la terza via sul Fitz Roy, dopo la Francese del 1952 (Guido Magnone e Lionel Terray) e la Supercanaleta del 1965 (José Luis Fonrouge e Carlos Comesaña). In realtà, l’idea di questa salita risale a molto tempo prima. Nel 1937 le tre guide italiane Ettore Castiglioni, Giovanni "Titta" Gilberti e Leo Dubosc, membri di una spedizione guidata da Aldo Bonacossa, raggiunsero la sella che da loro prese il nome di "Brecha de los Italianos", con l’intenzione di tentare proprio la scalata del pilastro SO. Tuttavia non proseguirono, non avendo con sé i ramponi necessari per effettuare il traverso di ghiaccio che porta all’attacco della parete, né ritentarono la via successivamente.
Per noi quattro, la salita inizia idealmente verso la mezzanotte di domenica 11. Sergio è già sotto le coperte, Damiano si sta consumando i polpastrelli sull’i–pad e io sono in "seduta–stretching", quando mi accorgo che qualcuno tenta di aprire dall’esterno la porta della nostra cabaña. "Chi diavolo può essere a quest’ora?" – mi chiedo, mentre cerco di allungare il quadricipite. Interrompo gli esercizi e, con un misto di curiosità e disappunto, vado ad aprire. È Christian, che aspettavamo per il giorno successivo. Arrivato in anticipo, ci ha fatto una sorpresa. Entra nella cabaña con una sorta di sguardo allucinato e ci racconta, nel suo divertente italiano dall’accento svedese–teutonico, di aver visto benissimo il Fitz Roy durante il viaggio, qualche chilometro prima di arrivare a El Chaltén. "L’ho visto! E’ stupendo!". Intanto si agita e spalanca gli occhi ancora di più. "Bisogna andare! Com’è il meteo?". Inizia a gesticolare come un napoletano e non smette di far domande. "Da dove si parte? Che via facciamo?". In realtà, noi siamo rientrati pochi giorni prima dalla Supercanaleta e quest’anno per quanto riguarda il Fitz Roy pensavamo di "aver dato". Infatti, per il mercoledì successivo era in programma una salita sul Cerro Poincenot – pur sempre severo, ma meno "ingaggioso". L’arrivo di Christian e un’insperata estensione a due giorni della "ventana" di bel tempo ci fanno cambiare i piani: dopo la via sulla Guillaumet, sarà di nuovo Fitz Roy!
A questo punto si tratta di scegliere la via. Invece della classica Franco–Argentina (un "mix" della Francese del 1952 e dell’Argentina del 1986), quest’anno un po’ inflazionata dalle ripetizioni (anche se il termine "inflazionata" va inteso in senso patagonico, cioè "qualche ripetizione"…), decidiamo di ricercare l’avventura sulla Californiana. Rolando "Rolo" Garibotti la presenta come "a worthy line, with good rock (far better than the Franco), fun free climbing, in a very dramatic position (it "hangs" above the Torre valley)". Inoltre scrive che "this once popular climb has seen very few ascents in recent years ". Il biglietto da visita è ottimo, si parte!
Lasciamo passare ancora un giorno di tempo incerto, poi martedì 13 saliamo a Rio Blanco, quindi a Laguna de Los Tres e infine al Paso Superior (un bel "mazzo", stile bivacco Eccles in giornata), dove bivacchiamo. Nella notte ci portiamo alla base della terminale e scaliamo il tratto di ghiaccio e misto che porta alla Brecha de los Italianos. Quest’anno la terminale che si trova sotto la direttrice della brecha è invalicabile; occorre passare a sinistra del grande seracco sospeso, per poi riportarsi a destra e uscire con alcune divertenti lunghezze di misto.
Dalla brecha iniziamo a spostarci verso il pilastro sud–ovest: lasciamo a destra la parete sud–est, dove sale la Franco–Argentina, per addentrarci nel mondo remoto della Californiana. La via, infatti, si svolge in un ambiente di totale solitudine. Anche per questo, dopo che nel 1986 gli Argentini aprirono la variante alla via Francese – segnando di fatto la nascita della Franco–Argentina – la Californiana conta ben poche ripetizioni. Insomma, è un ulteriore viaggio nell’isolamento delle selvagge montagne patagoniche.
Il traverso su ghiaccio (spesso problematico a stagione inoltrata) che porta alla sella tra Fitz Roy e Aguja de la Silla (nota come "Col de la Silla" o "Collado de los Americanos") è in buone condizioni e ci porta agevolmente all’attacco.
Inaugura la via un 3° che di terzo grado sa poco – complice anche la roccia fredda. Dopo divertenti tratti di 5° arriva una 6a+ in fessura a incastro di mano, a dir poco "da urlo" (urlo di piacere, non di dolore). Meno potabile sarà invece, più in alto, un tiro in fessura "off–width" – a parte il grado, per la difficoltà di piazzare protezioni.
Sbuchiamo su una zona più abbattuta e qui la scarsa chiarezza dello schizzo che abbiamo a disposizione e la bassa qualità della foto – malamente fotocopiata in bianco e nero – ci complicano la lettura dell’itinerario, già di per sé complesso in questo tratto di parete. Come conseguenza, perderemo parecchio tempo percorrendo in lungo e in largo il pilastro sud–ovest del Fitz…
Finalmente, una linea di fessure ci consente di arrivare all’ultimo tratto prima della cresta, lungo la quale la via si ricongiunge con la Supercanaleta e ne condivide i quattro tiri finali. Soltanto al rientro a El Chaltén ci renderemo conto – anche grazie ad una foto a colori e a un paio di birre – che ci troviamo troppo a sinistra rispetto all’itinerario originale e che ci stiamo complicando la via con alcune varianti.
Dopo una serie di tentativi individuiamo un altro sistema di fessure, che dovrebbe rappresentare la chiave di questo tratto finale. Unico neo: si parte con un diabolico "off–width", difficilmente proteggibile (per non dire improteggibile) con i friends che abbiamo portato e non previsto dalla relazione… ma non ci sono alternative. L’incitamento di Sergio ("Dài, fai come se fossimo in Valle dell’Orco") non mi tranquillizza per niente, mentre con la coda dell’occhio guardo preoccupato il Camalot #4 che, infilato per calmare la psiche nel posto in cui andrebbe un #5, va inesorabilmente fuori corsa. Un incastro di ginocchio e poi di coscia sono risolutivi. La seconda parte del tiro offre un’arrampicata molto estetica, che soltanto l’incertezza dell’uscita rende meno godibile di quanto meriterebbe. Dopo quasi 60 metri, finalmente spunta la cima della torre finale e nella radiolina risuona il grido: "Sosta! Ancora un tiro e siamo in cresta!". Le ultime lunghezze in comune con la Supercanaleta sono un "déjà vu" e non ci preoccupano.
Non possiamo lamentarci: per Damiano, per Sergio e per me è la seconda salita al Fitz Roy in due settimane, per Christian è "cumbre" dopo una manciata di giorni dall’arrivo a El Chaltén…
In discesa ci aspettano le 26 doppie della Franco–Argentina e della Brecha de los Italianos. Nell’euforia della vetta e avendo alle spalle le 36 della Supercanaleta, non ci preoccupiamo più di tanto. Ovviamente ci sbagliamo: l’ultima doppia ci depositerà frullati per benino sotto la Brecha de los Italianos, da dove inizierà la lunga scarpinata su ghiacciai e sentieri fino a El Chaltén.
Christian, Damiano, Marcello e Sergio
Si ringraziano Trango World, Grivel e Alpstation Montura di Aosta
E' la trama del film di Lito Tejada Flores ("Fitz Roy, the first ascent of the south–west buttress"), Genziana d’Oro al Trento Film Festival del 1969, che racconta l’apertura della via Californiana al Fitz. I cinque alpinisti sono gli americani Yvon Chouinard, Richard Dorworth, Lito Tejada Flores stesso e Doug Tompkins, insieme al britannico Chris Jones. Nessuno dei membri della spedizione era californiano ed uno non era neppure americano. A dispetto di ciò, la via è nota come "Californiana" o "Americana".
Aperta nel dicembre 1968, è la terza via sul Fitz Roy, dopo la Francese del 1952 (Guido Magnone e Lionel Terray) e la Supercanaleta del 1965 (José Luis Fonrouge e Carlos Comesaña). In realtà, l’idea di questa salita risale a molto tempo prima. Nel 1937 le tre guide italiane Ettore Castiglioni, Giovanni "Titta" Gilberti e Leo Dubosc, membri di una spedizione guidata da Aldo Bonacossa, raggiunsero la sella che da loro prese il nome di "Brecha de los Italianos", con l’intenzione di tentare proprio la scalata del pilastro SO. Tuttavia non proseguirono, non avendo con sé i ramponi necessari per effettuare il traverso di ghiaccio che porta all’attacco della parete, né ritentarono la via successivamente.
Per noi quattro, la salita inizia idealmente verso la mezzanotte di domenica 11. Sergio è già sotto le coperte, Damiano si sta consumando i polpastrelli sull’i–pad e io sono in "seduta–stretching", quando mi accorgo che qualcuno tenta di aprire dall’esterno la porta della nostra cabaña. "Chi diavolo può essere a quest’ora?" – mi chiedo, mentre cerco di allungare il quadricipite. Interrompo gli esercizi e, con un misto di curiosità e disappunto, vado ad aprire. È Christian, che aspettavamo per il giorno successivo. Arrivato in anticipo, ci ha fatto una sorpresa. Entra nella cabaña con una sorta di sguardo allucinato e ci racconta, nel suo divertente italiano dall’accento svedese–teutonico, di aver visto benissimo il Fitz Roy durante il viaggio, qualche chilometro prima di arrivare a El Chaltén. "L’ho visto! E’ stupendo!". Intanto si agita e spalanca gli occhi ancora di più. "Bisogna andare! Com’è il meteo?". Inizia a gesticolare come un napoletano e non smette di far domande. "Da dove si parte? Che via facciamo?". In realtà, noi siamo rientrati pochi giorni prima dalla Supercanaleta e quest’anno per quanto riguarda il Fitz Roy pensavamo di "aver dato". Infatti, per il mercoledì successivo era in programma una salita sul Cerro Poincenot – pur sempre severo, ma meno "ingaggioso". L’arrivo di Christian e un’insperata estensione a due giorni della "ventana" di bel tempo ci fanno cambiare i piani: dopo la via sulla Guillaumet, sarà di nuovo Fitz Roy!
A questo punto si tratta di scegliere la via. Invece della classica Franco–Argentina (un "mix" della Francese del 1952 e dell’Argentina del 1986), quest’anno un po’ inflazionata dalle ripetizioni (anche se il termine "inflazionata" va inteso in senso patagonico, cioè "qualche ripetizione"…), decidiamo di ricercare l’avventura sulla Californiana. Rolando "Rolo" Garibotti la presenta come "a worthy line, with good rock (far better than the Franco), fun free climbing, in a very dramatic position (it "hangs" above the Torre valley)". Inoltre scrive che "this once popular climb has seen very few ascents in recent years ". Il biglietto da visita è ottimo, si parte!
Lasciamo passare ancora un giorno di tempo incerto, poi martedì 13 saliamo a Rio Blanco, quindi a Laguna de Los Tres e infine al Paso Superior (un bel "mazzo", stile bivacco Eccles in giornata), dove bivacchiamo. Nella notte ci portiamo alla base della terminale e scaliamo il tratto di ghiaccio e misto che porta alla Brecha de los Italianos. Quest’anno la terminale che si trova sotto la direttrice della brecha è invalicabile; occorre passare a sinistra del grande seracco sospeso, per poi riportarsi a destra e uscire con alcune divertenti lunghezze di misto.
Dalla brecha iniziamo a spostarci verso il pilastro sud–ovest: lasciamo a destra la parete sud–est, dove sale la Franco–Argentina, per addentrarci nel mondo remoto della Californiana. La via, infatti, si svolge in un ambiente di totale solitudine. Anche per questo, dopo che nel 1986 gli Argentini aprirono la variante alla via Francese – segnando di fatto la nascita della Franco–Argentina – la Californiana conta ben poche ripetizioni. Insomma, è un ulteriore viaggio nell’isolamento delle selvagge montagne patagoniche.
Il traverso su ghiaccio (spesso problematico a stagione inoltrata) che porta alla sella tra Fitz Roy e Aguja de la Silla (nota come "Col de la Silla" o "Collado de los Americanos") è in buone condizioni e ci porta agevolmente all’attacco.
Inaugura la via un 3° che di terzo grado sa poco – complice anche la roccia fredda. Dopo divertenti tratti di 5° arriva una 6a+ in fessura a incastro di mano, a dir poco "da urlo" (urlo di piacere, non di dolore). Meno potabile sarà invece, più in alto, un tiro in fessura "off–width" – a parte il grado, per la difficoltà di piazzare protezioni.
Sbuchiamo su una zona più abbattuta e qui la scarsa chiarezza dello schizzo che abbiamo a disposizione e la bassa qualità della foto – malamente fotocopiata in bianco e nero – ci complicano la lettura dell’itinerario, già di per sé complesso in questo tratto di parete. Come conseguenza, perderemo parecchio tempo percorrendo in lungo e in largo il pilastro sud–ovest del Fitz…
Finalmente, una linea di fessure ci consente di arrivare all’ultimo tratto prima della cresta, lungo la quale la via si ricongiunge con la Supercanaleta e ne condivide i quattro tiri finali. Soltanto al rientro a El Chaltén ci renderemo conto – anche grazie ad una foto a colori e a un paio di birre – che ci troviamo troppo a sinistra rispetto all’itinerario originale e che ci stiamo complicando la via con alcune varianti.
Dopo una serie di tentativi individuiamo un altro sistema di fessure, che dovrebbe rappresentare la chiave di questo tratto finale. Unico neo: si parte con un diabolico "off–width", difficilmente proteggibile (per non dire improteggibile) con i friends che abbiamo portato e non previsto dalla relazione… ma non ci sono alternative. L’incitamento di Sergio ("Dài, fai come se fossimo in Valle dell’Orco") non mi tranquillizza per niente, mentre con la coda dell’occhio guardo preoccupato il Camalot #4 che, infilato per calmare la psiche nel posto in cui andrebbe un #5, va inesorabilmente fuori corsa. Un incastro di ginocchio e poi di coscia sono risolutivi. La seconda parte del tiro offre un’arrampicata molto estetica, che soltanto l’incertezza dell’uscita rende meno godibile di quanto meriterebbe. Dopo quasi 60 metri, finalmente spunta la cima della torre finale e nella radiolina risuona il grido: "Sosta! Ancora un tiro e siamo in cresta!". Le ultime lunghezze in comune con la Supercanaleta sono un "déjà vu" e non ci preoccupano.
Non possiamo lamentarci: per Damiano, per Sergio e per me è la seconda salita al Fitz Roy in due settimane, per Christian è "cumbre" dopo una manciata di giorni dall’arrivo a El Chaltén…
In discesa ci aspettano le 26 doppie della Franco–Argentina e della Brecha de los Italianos. Nell’euforia della vetta e avendo alle spalle le 36 della Supercanaleta, non ci preoccupiamo più di tanto. Ovviamente ci sbagliamo: l’ultima doppia ci depositerà frullati per benino sotto la Brecha de los Italianos, da dove inizierà la lunga scarpinata su ghiacciai e sentieri fino a El Chaltén.
Christian, Damiano, Marcello e Sergio
Si ringraziano Trango World, Grivel e Alpstation Montura di Aosta
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