Diretta dei Cecoslovacchi alla Punta Ferrario in Val Masino liberata da Marazzi e Regallo
La Punta Ferrario, una di quelle cime del Masino mai prese in considerazione più di tanto, troppo lontana e ripida, almeno per me. L’ho sempre guardata con una sorta di rispetto e timore reverenziale, soprattutto la parte centrale della parete, quella ripida, solcata solo da due vie: Via del centenario CAI, una fessura perfetta che solca il lato destro del muro giallo aperta da Vasco Taldo, Josve Aiazzi e Angelo Pizzocolo nel 1963 e, alla sua sinistra, un diedro enorme con uscita strapiombante, la Diretta dei Cecoslovacchi, aperta nel 1980 da B. Ciernik, J. Hyuny, M. Marek e F. Piacek che disegnarono una linea dritta e perfetta con i loro gradi severi VI A2.
Già qualche anno fa Simone Pedeferri aveva liberato parte dei tiri, prima in estate poi tornando in inverno da solo nel 2003, ma non quello ad uscire dal diedrone strapiombante molto spesso bagnato.
Ok, dopo questa breve prefazione fatta di cenni più o meno storici torniamo al presente, a domenica pomeriggio, quando ho aperto la guida del Masino e, quasi per caso, sono finito sulla relazione dei cecoslovacchi. Volevo andare, avevo martedì e mercoledì liberi dal lavoro, però nella mia testa c’era anche l’idea di salire una cresta, forse nuova, un’altra bella idea. Chiamo subito Jack Regallo, il quale immediatamente accetta la mia proposta di scalare.
La sera prima di partire i piani però saltano, cambiamo idea e puntiamo alla Punta Ferrario. Non so perché, forse la cresta proposta ci sembrava troppo lunga e faticosa o, forse, questa volta eravamo fiduciosi di trovare tutto il diedro della Diretta finalmente asciutto. O, più sinceramente, non avevamo nessuna voglia di alzarci così presto il giorno dopo... troppo sbattimento!
Martedì mattina dopo una prima colazione in furgone, alle 9 eravamo ancora al bar, caffè, quattro chiacchere, dividiamo il materiale e partiamo intorno alle 11. La salita al Bivacco Manzi la facciamo con estrema calma, una calma che non ho mai avuto salendo in val Torrone. La pausa all’Hotel Meridiana dove incontriamo Luchino (Luca Schiera ndr) è di più di un’ora.
Nel primo pomeriggio però siamo su; la nostra idea è proprio quella di arrivare un po’ prima e guardare la parete, capire se fradicia e nel caso farsi venire altre idee. Ovviamente come può essere la parete (escludendo il fradicio)? Ricoperta da mille nuvole che non ci permettono di vederla a parte pochi secondi al tramonto. Potevamo partire più tardi e dormire di più…
Al mattino la sveglia è la solita da alpinisti, prima delle otto non si inizia a scalare che fa freddo e gli occhi hanno su le bagoline da sonno.
Parte Jack, sulla prima parte ci alterniamo piuttosto velocemente, fino al diedro i gradi sono abbastanza facili. Il primo tiro di VI sul diedro già fa capire come gradavano ‘sti cecoslovacchi: diciamo che non sono di manica larga. Jack parte sul primo tiro duro liberato dal Simo, una Dulfer, non delle più semplici da proteggere. Pulito, a-vista, io lo seguo e va bene anche a me. Arriviamo sotto il tiro da liberare ed è il mio turno. Lo vedo quasi asciutto ma estremamente aggettante. Decido di riposare un attimo mentre Jack si fuma una sigaretta.
Parto, qualcosa è bagnato ma non troppo, più che altro sono troppo ghisato per riuscire a proteggermi decentemente. La questione è la solita: “fermati e proteggi” o “vai e spera”. Be, per grazia ricevuta libero il tiro a vista. La scelta di fermarmi e proteggere non l’ho presa così tanto in considerazione. Dietro di me anche Giacomo lo sale in libera. Siamo super felici. Pochi tiri ci collegano alla Taldo e da lì ancora un tiro impegnativo prima di arrivare in cima.
Alle 14 siamo in cima. Alle 21, dovendo riattrezzare quasi tutte le doppie, siamo davanti ad una birra in paese, con la felicità di aver salito e liberato a vista una linea così logica, dritta e perfetta.
di Paolo Marazzi