Cordata femminile apre 'Apollo 13' a Rio Turbio IV (Patagonia)

Una cordata di solo donne composta da Julia Cassou, Rocío Rodríguez Guiñazú, Fay Manners, Caroline North e Belén Prados ha trascorso cinque settimane nella valle Río Turbio IV in Patagonia settentrionale aprendo 'Apollo 13' sull'inviolata El Cohete peak. Il report di Manners.
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Rocío Rodríguez Guiñazú apre il primo tiro di 'Apollo 13' su El Cohete, Rio Turbio IV (Patagonia), insieme a Julia Cassou, Fay Manners, Caroline North, Belén Prados, febbraio 2025
Julia Cassou

La Patagonia è nota per le sue montagne maestose e il clima selvaggio. All'ombra di icone come il Cerro Torre e il Fitz Roy, si nascondono però valli remote ricche di perle tutte da scoprire.

Dopo aver ascoltato i racconti dei primi esploratori – Leo Viamonte, Seba de la Cruz e altri climber del posto che negli anni '80 si avventurarono nella Valle del Turbio IV nel nord della Patagonia – eravamo elettrizzate all'idea di scoprire questa zona dell'Argentina.

Eravamo un team di cinque donne con background e nazionalità diverse, ma unite dalla stessa passione per l'arrampicata e l'esplorazione: Belén Prados, Caro North, Fay Manners, Julia Cassou e Rocío Rodríguez Guiñazú.

Alla fine di gennaio è iniziata la nostra spedizione. Due giorni di trekking e cavalcate, con l'attraversamento di diversi fiumi insidiosi, ci hanno portato a "La Horqueta", il punto d'incontro dei fiumi Turbio II, III e IV.

Poco più in alto, nel cuore della foresta, sorge il rifugio Don Ropo, una struttura rudimentale in legno gestita da Osvaldo e Gabriel Rapoport. Da qui abbiamo iniziato ad entrare nella Valle del Turbio IV.

Da lì in poi, abbiamo dovuto trasferire tutto il carico dai cavalli alle nostre spalle, e camminare per un altro giorno per raggiungere il rifugio più in alto, Don Chule. Dopo aver seguito sentieri impervi ed attraversato due teleferiche, siamo finalmente arrivate a questo accogliente rifugio. Costruito dalla comunità locale di climber, incluso il leggendario Sebastián de la Cruz, è diventato il nostro campo base per il mese successivo. Nei giorni di tempesta, quando la pioggia martellava la valle, eravamo grate a questo riparo "di lusso".

Nei primi giorni abbiamo esplorato la valle, osservato le pareti, salito alcuni tiri esistenti e testato il granito. Poi abbiamo deciso di posizione il nostro campo base avanzato presso la laguna Mariposa per aprire una nuova via sull’inesplorata cima "El Cohete".

Abbiamo iniziato ad aprire la via dal basso, fissando alcuni tiri, ma le piogge intense ci hanno spesso costrette a rientrare al rifugio. Fortunatamente, gli acquazzoni non duravano mai più di due giorni, e abbiamo sfruttato ogni finestra di bel tempo per progredire. Tra una tempesta e l'altra, scendevamo anche a Don Ropo per rifornirci, approfittando delle mitiche "tortas fritas" di Osvaldo e della doccia calda che lui e Fede preparavano per noi. Quell'atmosfera calorosa rendeva ogni partenza un addio difficile.

Il nostro obiettivo era creare una via ripetibile – il che significava estenuanti ore di pulizia. Fessure ostruite da radici, placche coperte di licheni: mentre avanzavamo verso l'ignoto, pulivamo anche i tiri più in basso per garantire un'arrampicate piacevole. Un lavoro di squadra intenso! Sebbene la prima salita abbia richiesto qualche passaggio in artificiale, i tiri ripuliti oggi offrono un'arrampicata in libera sostenuta e varia, fino al 7b+. La qualità della roccia e la varietà di fessure, spigoli e placche ci hanno lasciate a bocca aperta. Un sogno che si svelava tiro dopo tiro.

La maggior parte della via è 6c/7a su protezioni trad. Abbiamo messo spit solo dove necessario, evitando di avere tratti troppo esposti. 600 metri di via, divisa per 13 tiri (per lo più da 50 metri) ci hanno portate alla vetta del Pilastro di Cohete. Da lì, altri 650 m di AD 4a lungo una cresta nevosa ci hanno condotte alla prima vetta innevata. Dopo un mese di duro lavoro e sudore, abbiamo completato "Apollo 13" (7b+, 600 m).

La via è attrezzata con spit in acciaio inox da 10 mm (due per sosta) e attrezzata per le calate. Come accennato, abbiamo aggiunto spit solo su alcuni tiri per renderli sicuri e l'arrampicata divertimento.

Il nome Apollo 13 si ispira alla navicella spaziale il cui serbatoio d'ossigeno esplose... ma che riuscì a tornare sulla Terra. Come la nostra spedizione: nonostante le nostre "esplosioni", siamo tornate tutte sane e salve.

Ma l'avventura non finì lì. Dopo aver smontato il campo e trasportato tutto il materiale a valle, ci aspettava un’ultima sfida: scendere in canoa in piccoli gommoni gonfiabili tutto il Río Turbio fino a Lago Puelo. Navigare attraverso quel paesaggio incontaminato è stato impegnativo, ma dopo una lunga giornata, l'ultimo traghetto ci ha riportate alla civiltà.

di Fay Manners




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