Borderline, in Val Salarno la nuova via d’arrampicata di Matteo Rivadossi e Simone Monecchi
Lungo l’infinita mulattiera, non appena spuntata la sagoma del rifugio, ecco il Diamante, i tre Corni, la Quota 2900, l’Antecima, il Cornetto, il Triangolo, il Gioià, il Poia. Lo senti nella pancia il tornare dopo anni in una valle costellata di cime cercando con lo sguardo se quelle fughe di placche che portano il tuo nome sono davvero lì.
Almeno una via per ogni parete, ricordo di tante avventure sparse in 31 anni di ricordi. Manca giusto la struttura minore ma più blasonata, il superbo Avancorpo, visto che nel 1989 nell’unica apertura fui un freddoloso secondo in fuseaux e canottiera dietro al maestro Alberto Damioli.
Le velleità di aprire una via nuova, impegnativa ed elegante su questo placcone monolitico lungo mezzo chilometro ed alto dai 300 ai 150 metri, si esauriscono tra itinerari storici zigzaganti senza alcuna ripetizione, tentativi misteriosi sparsi un po’ dappertutto e specchi non scalabili.
Se la Val Salarno è la più alpinistica delle valli adamelline, l’Avancorpo del Cornetto ne è certo la fucina delle difficoltà. Il rispetto reverenziale per quei passi, per quei tiri firmati addirittura 35 anni fa da Mario e Massimo Roversi, Sandro Zizioli, Silvio Fieschi e Alberto Damioli, dei loro spaventosi VI+ dispensati con sufficienza ma che oggi sono oggettivamente dei comodi 6c, impone un confronto armi alla pari: piantaspit in mano e niente trapano! L’elettrodomestico qui sarebbe un sacrilegio ed i suoi eventuali sgrillettatori seriali condannati di conseguenza…
Mezza mattina per me e Simone Monecchi se ne va con il binocolo tra le mani alla ricerca di tacche e knobs per passare e di chiodi per non incrociare. Poi, esausti, la scelta migliore: partiamo sul magnifico Arco del Musico dell’amico Silvio Fieschi (1985), il diedro più bello dell’Avancorpo e forse di tutto il Salarno. Un’arrampicata assurdamente bella che ben meritava le 3 ore di pulizia! Poi ancora dubbi da cui pendolo andandomene a destra. Qui ahimè ancora tracce: sì, siamo sul diedro di L2 di Lancillotto Urlante (Mario Roversi e C. 1985), si vedono le boccole degli spit ma perché nessuna placchetta? Boh, sfrutto due millimetri di filetto arrugginito e, dopo un bel dinamico su un tettino, a questo punto mi butto nel nulla verticalmente lungo la placca più liscia della parete che, per lo meno, è vergine.
Sopra la sosta metto altri 3 spit lontani, chiudendo il primo giorno di scalata a 50 metri da terra. Che detto così, senza conoscere i respiri dei runout, le lacrime per gli alluci e le tendiniti da piantaspit, potrebbe anche far sorridere!
Una settimana dopo rieccoci alla base dell’Avancorpo, con l’entusiasmo maniacale subito bastonato perché le corde nascoste sotto i sassi, in uno zainetto dentro due sacchi neri, sono state rosicchiate da qualche animale bastardo, me lo concedano gli etologi: la gialla è accettabile, la blu no, ormai ridotta ad una 50 con 5 lesioni gravi. Teniamo qualche bestemmia anche per l’Arco del Musico che è fradicio, poi partiamo decisi. Al termine precedente la lavagna lucida mi obbliga a rispolverare un po’ di artificiale naif, giusto per non banalizzarla con una fila di spit. Una sequenza ariosa di rivetti da strozzare e cliff con cui parlare sempre sull’ultimo gradino delle staffe. Mentre Simone mi fa notare che forse quei passaggi con cui sto giocando potranno essere un filtro psicologico per gli aspiranti ripetitori…
Acciuffato il secondo grande arco, eccomi presto sulla familiare cengia erbosa dove ritrovo - uguale uguale - la buca tra l’erba isiga che nel 1989, ancora ragazzino sprovveduto, mi protesse dal freddo durante l’apertura di Vercingetorige, variante d’uscita di Morituri te Salutant. Sopra la solita fuga su placche embricate scovando nel Cassetto, un caratteristico masso incastrato, la maniera di passare in libera il gran tetto.
A rompere la monotonia del tic-tic-tac ipnotico degli spit dal lontano sentiero arrivano con la foschia i saluti urlati dalla gioia dell’amico Leo Gheza, incontrato al rifugio la mattina e già di ritorno dalla prima solitaria della mia Gotica: 5 ore e 35? Ma come diavolo hai fatto a far così presto? Complimenti davvero, furetto!
Alle 18 arriviamo al terminus di Vercingetorige tra le fredde nebbie bluastre di una giornata coperta e ventosa: a questo punto due persone non affette da disturbi della personalità, dopo 10 ore di scalata avrebbero potuto anche calarsi. Ma ovviamente no, c’erano ancora due tiri più corti da inventarsi (l’ultimo davvero entusiasmante) prima di vedere il terrazzo sommitale dandosi due pacche sulle spalle.
Prima di respirare leggeri, togliendosi finalmente, ma senza fretta, il piacevole peso di ogni apertura.
Matteo Pota Rivadossi
NB: Un ringraziamento particolare a Rino Ferri, guida alpina e gestore del Rifugio Prudenzini (tel. 0364634578) per l’accoglienza con pappa e birra a tutte le ore!
Matteo Rivadossi ringrazia: Camp - Cassin, CASSIN, Montura e Kayland
Per info si consiglia di consultare:
- la guida Le vie del Cielo di Paolo Amadio, edizioni Alpine Studio
- il sito adamellothehumantouch.it in cui trovate varie relazioni