Blåmann Wall, l'arrampicata sull'isola di Kvaløya in Norvegia
Ogni tanto spunta fuori la parete Blåmann. Quella "piccola" big wall sull'isola di Kvaløya in Norvegia che da sempre attira fortissimi alpinisti norvegesi, ma anche fortissimi climbers internazionali come Didier Berthod, Giovanni Quirici, Hansjörg Auer, Much Mayr e Dave MacLeod, a percorre le sue linee sia in libera, sia in artificiale. Tutti hanno sempre elogiato questo monolito di granito. Un altro che ne è rimasto colpito è Diego Pezzoli che quest'estate è andato sull'isola di Kvaløya assieme ad alcuni amici russi incontrati, se ve lo ricordate, nella particolare Alpine Marathon a Svetogorsk del 2012 in Russia. La sua è un'esperienza interessante per capire le diverse forme dell'alpinismo.
BLAMANN WALL di Diego Pezzoli
Tromsø, 12 agosto 2013. In coda, al ritiro bagagli e con una notte insonne alle spalle, aspetto di vedere uscire dal nastro trasportatore il grosso sacco contenente la portaledge, ammetto di avere sempre un po' di ansia di non vederlo sbucare. Senza preavviso un abbraccio mi sorprende alle spalle, è Ivan Simonyuk che mi saluta e insieme a lui Maxim Torganov, so che mi aspettavano all'aeroporto e mi fa molto piacere rivederli. Finalmente il bagaglio arriva. Ci dirigiamo alla machina dove mi accoglieranno anche Aleksej Kiselev e Andrey Varvarkin.
Il cielo è di colore grigiastro e minaccia di piovere, attraversiamo Tromsø e seguiamo per Kvaloya, costeggiamo l'oceano e ci immettiamo in una stradina laterale che porta al sentiero per la parete del Blåmann. Finalmente raggiunta la nostra meta Ivan, eccellente e veloce cuoco, prepara una pietanza tipica russa, il kasha, accompagnata dall'immancabile tè. La brandina chiama il nostro nome e andiamo tutti a dormire, il risveglio non sarà dei migliori, il cielo non ha cambiato il suo colore.
Ci prepariamo per salire alla base della parete e visionare da vicino le vie scelte, Max e Ivan Arctandria (400m, A2+, 9-/9), Andrey, Alexey ed io Pichtaco. Non facciamo neanche cento metri che una fastidiosa pioggerella ci costringe a indossare la giacca in Gore-Tex; quarantacinque minuti di cammino, un piccolo nevaio e diverse placche bagnate dopo, siamo sotto la parete.
A prima vista notiamo che la via da noi scelta è percorsa, specialmente nel primo tiro, da un’abbondante colata di acqua alquanto sgradevole. Dopo un consulto ed essersi assicurato più volte che per Alexey e me non fosse un problema decidiamo di puntare ad Atlantis (400m, A1+/A2, 8-/8). La via dei nostri amici è invece ben asciutta e pronta per essere scalata.
È martedì mattina, il sole non si poserà sulla parete non prima delle 21.00, ma giusto per donarle un'oretta di luce che le darà un'immagine meno tetra di quanto lo sia in realtà. Bene, ormai ci siamo, scendiamo alle tende, ci infiliamo in esse per ripararci dal leggero piovasco e stendiamo i piani per l’indomani. Il pomeriggio trascorre velocemente tra gli insegnamenti relativi alle bacche commestibili, come la moroshka e il mirtillo delle quali ne ho fatto man bassa, e la preparazione del materiale necessario alla scalata. Dopo cena gioco il Jolly: tolgo dallo zaino una caffettiera da tre che illumina gli occhi di Maxim e mi fa guadagnare una posizione di tutto rispetto e doppia dose di Mars, snack indispensabile dopo l’ultima preparazione di tè della serata.
Mercoledì, ci svegliamo finalmente con un cielo azzurro e con il sole che scalda la tenda tanto da ritardare la nostra fuoriuscita. Io oggi non scalerò, sarà Andrey assicurato da Alexey ad aprire le danze. Si preparano indossando ordinatamente il materiale sull'imbrago e sulla pettorina, ammetto di essere meno meticoloso e infatti non trovo mai le cose. Completata questa fase, prima di partire, secondo una tradizione russa, ci si siede tutti una decina di secondi come in raccoglimento, dopo di che si parte, questo alla base di ogni via.
Individuato il giusto attacco, Andrey, progredisce con destrezza e supera i tratti chiave aiutato dall’insostituibile fi-fi rock, una simil piccozza che adopera anche nelle fessure larghe un paio di centimetri. E’ sorprendente vedere con quale astuzia gioca ad incastrare e trazionare quell’attrezzo. Giunto alla presunta sosta comincia a martellare e ad attrezzarla a dovere, infatti in Norvegia l’etica impone di non posizionare fix ma lasciare ad ognuno la briga di montarsi la propria sosta. Due corde, una fissata al vertice e l’altra usata per recuperare e garantire sicurezza al secondo che risale. Alexey pulisce la lunghezza appena salita di ogni protezione utilizzata tranne un chiodo in titanio che servirà per le risalite il giorno seguente; si ritrova così in sosta con Andrey e lo assicura anche per il prossimo tiro di corda.
Alle tende vedo il sole ma io indosso una maglietta a maniche lunghe, il pile e la giacca a vento; li aspetterò fino a che non termineranno anche il secondo tiro. Toccata terra ritorniamo al nostro angolo di paradiso, siamo ancora in cinque e mangeremo per l’ultima volta insieme, Maxim e Ivan hanno infatti preparato la portaledge e domani la passeranno in parete.
Come un disco che si ripete ci svegliamo con il cielo grigio. Risaliamo velocemente i due tiri di corda, mi sistemo tutto il materiale sull’imbrago e comincio a scalare, in poco tempo arrivo alla giusta sosta, sempre da attrezzare, ma decido di proseguire oltre. Risalgo così una fessurina che supero utilizzando pecker, piccoli friend e un micro nut, proseguo per una sezione un po' rotta e arrivo ad una piccola cengia, tiro le corde ma faccio fatica a recuperarle. Decido allora di fermarmi qua. Non dirò ai miei amici russi che questa sosta è la prima che attrezzo da zero, con due pecker, un friend in una fessura expanding e uno ben piazzato... Pronti via continuo per il secondo mio tiro, un diedro fessura stupendo a piccoli friend, nut e continui passaggi sul fi-fi rock che da quel momento si è guadagnato un posto d’onore sul mio imbrago. Ci caliamo dopo il mio tiro e verso le cinque e mezza siamo alla base. Essendo stati veloci possiamo goderci in serenità l’ultima serata alle tende dove osserviamo i nostri compagni montare la portaledge in parete e tramite le walkie talkie ci teniamo in contatto.
Il nuovo giorno comincia con un buon caffè è una ricca colazione, ne avremo bisogno perché sarà una lunga e faticosa giornata. Dopo il solito raccoglimento di qualche secondo, muniti di jumar ripercorriamo le quattro lunghezze finora attrezzate. Non nascondo la fatica nella comprensione delle manovre di risalita ma dopo un calvario durato diverse ore ci ritroviamo all'ultima sosta. È ora il turno di Alexey che si districa tra diedri e fessure raggiungendo comodamente il termine del tiro.
Io e Andrey abbiamo così il tempo di chiacchierare di qualsiasi argomento, inglese permettendo, di progetti futuri, della casa che sto per costruire, di sua moglie e del suo cane, del fatto che in Russia si sposino presto, di molte cose insomma. Non ci accorgiamo che nel frattempo la sera cominciava ad apparire e decidiamo di montare la portaledge. Per prima cosa cerchiamo di creare una sosta il più sicuro possibile, piantiamo due pecker, un chiodo molto buono e uno un po' meno e uniamo tutto con dei cordini, siamo soddisfatti del risultato e appendiamo al vertice la grande portaledge.
Siamo in tre e l’unico modo per dormire un po' comodi è far si che chi sta al centro abbia i piedi nella nostra direzione coprendo tutto lo spazio utile. Quando cominciavo ad addormentarmi, dall’alto, un rumore tonfo seguito da una scarica di sassi si faceva sempre più vicino. Mi ero preparato al peggio, mani attorno alla testa come per ripararmi e la paura di essere investito da un momento all'altro, ma poi ho sentito il rumore allontanarsi fino a spegnersi e il mio cuore ha rallentato il suo battere...
Ci svegliamo. Cuciniamo la solita gustosa pietanza a base di cereali servita a mo' di sbobba, e ci prepariamo per affrontare la lunga e dura giornata. Andrey sale il primo tiro, è veloce. Mentre Andrey sale anche il secondo tiro del giorno, Alexey mi chiede se voglio scalare e ovviamente la risposta è positiva. Stavolta cambiamo strategia e risalgo prima io la corda con un solo saccone legato a me, arrivo in sosta, e Andrey mi passa il materiale per il tiro successivo.
La pioggia aumenta, tre diverse linee di salita si pongono di fronte a noi, ed io che comincio a dubitare di voler scalare. "Bad rain!" ripeterò in continuazione come a voler fargli capire che non me la sento di salire. Non capisco dove vada la via, la relazione indica a destra e la descrizione a sinistra, nel bel mezzo un camino strapiombante. Decido che andrò a sinistra, eliminando così tutti i miei dubbi. Risalgo la fessura e percorro il tetto, raggiungo una nicchia e proseguo per un diedro, e ancora su per una fessura fino ad un grosso blocco appoggiato. Pianto un chiodo e un pecker e collego il tutto con un friend rosso. Sosta costruita.
Ormai abbiamo delle frasi collaudate per comunicare tra noi: "I make a belay", per indicare che sto attrezzando la sosta; "I fixed the yellow rope" che è la corda sulla quale dovrà risalire con le jumar; "you belay on blue rope" che invece è la corda di sicurezza che userò per recuperare anche i sacconi. La squadra funziona alla perfezione, sono stato veloce e Andrey, che nel frattempo mi aveva raggiunto con il materiale recuperato, mi dice di salire anche il prossimo nonché ultimo tiro.
Preso dalla foga di arrivare in cima parto come un razzo prima che arrivi Alexey. Pochi metri ci separano dalla cima, sento il profumo di vetta. Il tiro finale mi divertirà pure scalarlo, così che non mi accorgo che sono ormai arrivato e la parete si è fatta orizzontale. Un grosso masso, avvolto da un paio di lunghi cordini, farà da sosta, e una volta ripetuto il lavoro precedente vedrò spuntare Andrey, soddisfatto, che mi dirà due parole che mi fanno sentire fiero: "you are a strong guy."
Scattiamo un immancabile foto ricordo, dopodiché ceniamo ancora a cracker e salame, mars e tè. Sono le undici e mezza e uno spettacolo impensabile ci si offre davanti a noi, le nebbie si diradano e le luci dipingono in veste notturna la città di Tromsø. Allo scoccare della mezzanotte facciamo gli auguri ad Alexey che compie trent'anni e ci mettiamo a dormire, ancora nella portaledge, stavolta adagiata su quattro sassi. Io non chiuderò occhio per il continuo dolore alle dita e aspetterò pazientemente il mattino. Esso giunge finalmente in compagnia del sole che scalda amorevolmente i nostri umidi corpi, si prospetta una bellissima giornata di sereno.
Con le walkie talkie sentiamo i nostri compagni, dato che avevamo degli orari prestabiliti di chiamate, e ci dicono che gli mancano ancora due tiri. Noi decidiamo di scendere dato che ci vorranno tre orette di cammino, ma ormai non importa la fatica, il peggio è passato. Giunti alla macchina, dopo un tè con i mirtilli freschi e una buona pausa, risaliamo a recuperare tende e quant'altro lasciato al campo base. Alexey mi stupirà correndo ancora fino allo zoccolo della parete per recuperare il poco materiale lasciato.
La pioggia e il vento avevano spazzato le tende ovunque e bagnato gran parte delle cose abbandonate, ancora una volta il sole ci aiuterà asciugando quasi tutto. Con un ultima fatica torniamo in un'oretta alla macchina e incontriamo sulla strada Maxim e Ivan. Ci congratuliamo a vicenda e discutiamo un po' delle vie affrontate, poi andiamo a festeggiare insieme in una pizzeria norvegese, dove gli amici russi mi chiederanno un consiglio su quale pizza scegliere. Poi ci spostiamo in un campeggio dove la sola cosa che voglio è un letto comodo, non prima però di aver brindato al compleanno di Alexey con una bottiglia di bianco e il mio tanto amato liquore finlandese. Passata la mezzanotte berremo anche alla salute di Maxim che invece ne compie ventisei.
L'ultimo giorno in loro compagnia lo passiamo a sistemare il materiale e a visionare, io e Andrey, nuovi e stimolanti progetti per il futuro. Ci lasceremo infine all'aeroporto con questa frase che mi accompagnerà nel viaggio di ritorno "do not forget our dreams!"
Un ringraziamento speciale a: www.krukonogi.com e www.totemcams.com e Salewa
Grazie anche agli amici Davide Grimoldi e Alberto Villa.
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