Bjørn-Eivind Årtun e Venas Azules alla Torre Egger in Patagonia. L'intervista-incontro con Rolando Garibotti
Rolando Garibotti e l'intervista-incontro con Bjørn-Eivind Årtun, l'alpinista norvegese che nel dicembre 2011 assieme a Ole Lied ha aperto "Venas Azules", sulla parete sud della Torre Egger, Patagonia.
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Venas Azules, Torre Egger, Patagonia.
archivio Bjørn-Eivind Årtun
L'alpinista norvegese Bjørn-Eivind Årtun è stato recentemente catapultato agli onori delle news quando insieme ad Ole Lied ha salito "Venas Azules", una nuova fantastica via sulla parete sud della Torre Egger: un'improbabile linea di ghiaccio che molti avevano visto, ma che nessuno aveva osato tentare. Bjørn-Eivind, 45enne, fotografo e alpinista, vive a Oslo con la figlia 12enne Iben. E non è affatto un nome nuovo in Patagonia, visto che ha visitato queste montagne in cinque diverse occasioni.
La presenza di alpinisti norvegesi in Patagonia ha avuto uno sviluppo abbastanza recente. Dopo le visite degli anni '80 da parte di scalatori come Aslak Aastrop e Øivind Vadla ci fu una lunga pausa, fino a Trim Atle Saeland che alla fine degli anni '90 ha cominciato a venire regolarmente. Le spedizioni di Trim hanno spinto altri scalatori norvegesi a venire in Patagonia tanto che negli ultimi anni non solo sono diventati parte della "fauna locale" ma hanno anche firmato molte impressionanti ascensioni. Tra queste la prima salita di Trim e Ole della tanto discussa via del Corkscrew sul Cerro Torre, e la "Hvit linje" di Bjørn-Eivind e Marius Olsen, una cascata impressionante sotto il seracco appena ad est dell' Aguja Poincenot.
Anche se Bjørn-Eivind ha iniziato ad arrampicare nel 1987, solamente 6 anni fa ha iniziato a dedicarsi all'alpinismo. Per quasi due decenni, infatti, ha scalato prevalentemente su roccia, scalando la parete Troll nel 1991 per la prima volta e raccogliendo un buon numero di straordinarie ripetizioni e prime salite trad in tutta la Norvegia.
Bjørn-Eivind ha visitato per la prima volta la Patagonia nel 2007 e da allora ha fatto una serie di salite importanti, tra cui una ripetizione con Joakim Eide di Los Tiempos Perdidos sulla parete sud del Cerro Torre, la ripetizione della Supercanaleta sul Fitz Roy, del Pilastro Rosso sulla Mermoz, la Exocet sulla Standhardt e un'incredibile salita in 13 ore, dal Niponino alla vetta attraverso il colle Standhardt, della via dei Ragni sulla parete ovest del Cerro Torre.
Cominciamo da "Venas Azules" la via che con Ole Lied avete appena salito sulla Torre Egger. Di questa linea si è parlato per diversi anni, almeno dal 2005 quando Ermanno Salvaterra l'ha ipotizzata per prima volta. Tu quando l'hai vista?
L'ho vista nel 2008, quando ho salito la via dei Ragni. Quell'anno è stato eccezionalmente secco così ho potuto vedere che sotto la brina c'era ghiaccio blu, una serie di vene di ghiaccio che sembravano collegare tutta la via fino in cima. Appena l'ho notata ho capito che era scalabile. Pensavo di salire sul lato sinistro del fungo superiore, ma poi mi sono reso conto che sul lato destro c'era una sottile scanlatura. Nel 2010 sono arrivato in Patagonia con Robert Caspersen nella speranza di provarla direttamente dal lato ovest, tramite un evidente diedro che porta dal Colle della Torre Egger al "Colle della Verità" (n.d.r. Colle della Conquista), sperando di salire una via completamente indipendente, ma purtroppo non abbiamo mai avuto la finestra meteo di cui avevamo bisogno.
Provare a cercare quella linea incerta è stato il risultato di un entusiasmo puro. Durante la salita siamo arrivati in diversi punti in cui le vene di ghiaccio si arrestavano, eppure ogni volta con un'attraversata “alla cieca” abbiamo trovato un altro filone che continuava, con il ghiaccio più effimero e ripido che intonacava la roccia verticale. Solo dopo il quinto tiro abbiamo avuto la certezza che la via continuava: quando sono salito sulla pancia del fungo ho potuto vedere che c'era un altro filone di ghiaccio che collegava la parte superiore più facile. La salita del quinto tiro è stata molto atletico e di pompa, superare la pancia sporgente del fungo e allo stesso tempo essere costretti a pulire la brina che la copriva.
Quando hai iniziato a venire in Patagonia?
Nel 2007, ero a riposo per un infortunio ad un gomito e ho pensato che fare alpinismo era una buona alternativa. Abbastanza velocemente mi sono sentito come a casa. Era così sorprendente salire nel vento, in una natura così stupefacente, una natura che, combinata con la scalata rendeva il quadro, per così dire, completo. Mi ha subito conquistato.
Da quando ti ho incontrato per la prima volta nel 2007, per me era naturale che tu fossi motivato e ispirato da linee di ghiaccio effimero, dalla salita di "Hvit linje", l'impressionante cascata sotto il seracco appena ad est dell' Aguja Poincenot, a Los Tiempos Perdidos. Forse è inevitabile che, essendo norvegese, tu venga attratto prevalentemente dal ghiaccio?
Anche se posso capire questa impressione mi considero uno scalatore trad e un alpinista, piuttosto che un ice climber. Non sono molto ispirato dalle cascate pure, ma piuttosto mi ispira l'arrampicata su ghiaccio con caratteristiche più estese, su grandi pareti alpine e su grandi muri, su vie come le due che ho salito in Kjerag, un muro di 900 metri, a picco su un fiordo norvegese che ha diverse vene di ghiaccio che lo ricoprono. Il vento schizza gli spruzzi dell'acqua trasformandoli in una serie di striature di ghiaccio, rendendo l'arrampicata molto delicata e aleatoria. E' una scalata sorprendente che richiede le competenze sia dell'arrampicata su ghiaccio sia di quella trad.
Come prova la salita di questi due vie a Kjerag, è evidente che hai una forte avversione per l'uso degli spit in ambienti alpini.
Nella scalata alpina, un'attività che ha poco a che fare con il fisico e con l'aspetto ginnico dell'arrampicata, e molto di più con la qualità psicologica dell'esperienza, mi sembra inutile e limitante prendere scorciatoie come quella di perforare la roccia.
I tempi in cui arrivare in cima con qualsiasi mezzo era OK, sono finiti. In un mondo sempre più piccolo non usare spit è la cosa più progressista, più futuristica e "moderna" da fare. Non c'è fretta per sviluppare il restante terreno vergine, bisogna imparare ad aspettare le giuste condizioni o aspettare fino a quando uno è all'altezza del compito. E' importante avere dei progetti fuori dalla propria portata perché aprono la possibilità di migliorare, per sognare. Utilizzando gli spit in alpinismo si limita la propria evoluzione, oltre che lo sviluppo generale di questo sport. Forare la roccia è riduttivo.
Noi abbiamo salito le nostre vie sul Kjerag all'incirca nello stesso periodo in cui Robert Jasper e Roger Schaeli sono arrivati in Norvegia per scalare alcune nuove cascate nelle nostre valli. Hanno usato un trapano e molti spit, e molti di noi sono rimasti molto dispiaciuti. Un certo numero di alpinisti locali aveva atteso le giuste condizioni per fare uno di quei percorsi in uno stile pulito. Questo ha portato ad una forte reazione in Norvegia contro l'uso degli spit in ambienti alpini che comprendeva la denuncia formale da parte del Club Alpino Norvegese nella speranza di fare una dichiarazione chiara che l'etica locale deve essere rispettata. Certo, c'è un posto per gli spit in arrampicata, ma in un ambiente alpino dovrebbero essere evitati il più possibile. Uno delle vie che hanno salito si chiama "Into the Wild", un nome che lascia perplesso considerando che era stato salito con un trapano.
Inoltre, più in generale e filosoficamente, c'è una certa bellezza nel terreno intatto ed è molto importante non lasciare alcuna traccia di passaggio. Le nostre azioni dovrebbero riflettere il rispetto per la grandezza della natura. Lasciare spit, corde fisse "spazzatura da parete", alle spalle non è OK.
Tu sei stato nominato al Piolet d'Or 2011 per "Dracula", il nuovo itinerario sul Mount Foraker, in Alaska, salito con Colin Haley. Dopo esserci stato, quali sono i tuoi pensieri sul Piolet d'Or?
Non ero sicuro che valesse la pena di partecipare al Piolet d'Or, ma avevo la sensazione che le intenzioni fossero buone, così sono andato. Si tratta di un grande evento, ma penso che sarebbe importante sbarazzarsi del concetto di "vincitori" e di concentrarsi maggiormente sull'ispirazione che possono avere certe salite, sul fatto che prestare attenzione ad alcune salite può muovere lo sviluppo dello sport in una certa direzione. Potenzialmente può essere un evento molto stimolante, con buoni valori. Per me l'incontro con tutti gli altri alpinisti presenti è stato fonte d'ispirazione.
Dimmi di più su Dracula. So che era una vecchia idea di Steve House e un paio di altri scalatori. Eri già stato in Alaska?
Sì, c'ero stato l'anno prima, quando abbiamo salito sia la via francese sia la via Moonflower Buttress sul Monte Hunter. Senza questa esperienza precedente la salita di Dracula non sarebbe stata possibile.
Per me Dracula è stata una scalata importante per la sfida con il tempo incerto, in una finestra di tempo molto breve. Credo che dopo un po' si sviluppi un sesto senso per ciò che è possibile gestire e nonostante le brutte previsioni meteo ho pensato che dovevamo andare. Il fascino e le motivazioni erano forti.
Il mio approccio alla pianificazione ha molto più a che fare con questo sesto senso che con l'analisi dei dettagli di una salita. Quel "senso" inizia con un'idea stimolante che potrebbe essere un po' esagerato, un po' un sogno, il tipo di idea che quando ci pensi dici a te stesso: "sarebbe bello ma è possibile?"
Alcune persone pensano prima alle questioni pratiche e logistiche che circonda una salita, cose come "ho le competenze necessarie", “quanti giorni ci vogliono ", ecc. Per me è il contrario, il processo inizia quando mi ispira una certa linea, quando parte da una grande idea, poi plasmo la mia immaginazione e i miei sogni scendendo nel regno della possibilità. Il mio approccio non è pratico, ma ha dato i suoi frutti con una serie di avventurose grandi salite.
Abbiamo bisogno di lasciarci spazio per essere più audaci. Troppo spesso per un eccesso di analisi e sovra-intellettualizzazione delle salite confondiamo la paura per il pericolo reale. E' importante imparare a distinguere l'una dall'altro. C'è una grande differenza tra l'essere intimiditi dalla ripidezza, o dalla lunghezza di una salita, e i pericoli reali come valanghe, scariche di massi, possibilità limitate di ritirata, freddo, ecc... Venas Azules è un buon esempio, una linea intimidatoria che è ragionevolmente sicura, con un limitato pericolo oggettivo. Essere coraggiosi e di mentalità aperta, senza compromettere la sicurezza, è la sottile linea su cui camminiamo nella nostra fame di avventura.
Un grosso "in bocca di lupo" per la prossima finestra di bel tempo. Non vedo l'ora di essere sorpreso ancora una volta da un'altra delle tue fantastiche salite.
Bjørn-Eivind Årtun è supportato da Norrona, Petzl, Beal e Scarpa
La presenza di alpinisti norvegesi in Patagonia ha avuto uno sviluppo abbastanza recente. Dopo le visite degli anni '80 da parte di scalatori come Aslak Aastrop e Øivind Vadla ci fu una lunga pausa, fino a Trim Atle Saeland che alla fine degli anni '90 ha cominciato a venire regolarmente. Le spedizioni di Trim hanno spinto altri scalatori norvegesi a venire in Patagonia tanto che negli ultimi anni non solo sono diventati parte della "fauna locale" ma hanno anche firmato molte impressionanti ascensioni. Tra queste la prima salita di Trim e Ole della tanto discussa via del Corkscrew sul Cerro Torre, e la "Hvit linje" di Bjørn-Eivind e Marius Olsen, una cascata impressionante sotto il seracco appena ad est dell' Aguja Poincenot.
Anche se Bjørn-Eivind ha iniziato ad arrampicare nel 1987, solamente 6 anni fa ha iniziato a dedicarsi all'alpinismo. Per quasi due decenni, infatti, ha scalato prevalentemente su roccia, scalando la parete Troll nel 1991 per la prima volta e raccogliendo un buon numero di straordinarie ripetizioni e prime salite trad in tutta la Norvegia.
Bjørn-Eivind ha visitato per la prima volta la Patagonia nel 2007 e da allora ha fatto una serie di salite importanti, tra cui una ripetizione con Joakim Eide di Los Tiempos Perdidos sulla parete sud del Cerro Torre, la ripetizione della Supercanaleta sul Fitz Roy, del Pilastro Rosso sulla Mermoz, la Exocet sulla Standhardt e un'incredibile salita in 13 ore, dal Niponino alla vetta attraverso il colle Standhardt, della via dei Ragni sulla parete ovest del Cerro Torre.
Cominciamo da "Venas Azules" la via che con Ole Lied avete appena salito sulla Torre Egger. Di questa linea si è parlato per diversi anni, almeno dal 2005 quando Ermanno Salvaterra l'ha ipotizzata per prima volta. Tu quando l'hai vista?
L'ho vista nel 2008, quando ho salito la via dei Ragni. Quell'anno è stato eccezionalmente secco così ho potuto vedere che sotto la brina c'era ghiaccio blu, una serie di vene di ghiaccio che sembravano collegare tutta la via fino in cima. Appena l'ho notata ho capito che era scalabile. Pensavo di salire sul lato sinistro del fungo superiore, ma poi mi sono reso conto che sul lato destro c'era una sottile scanlatura. Nel 2010 sono arrivato in Patagonia con Robert Caspersen nella speranza di provarla direttamente dal lato ovest, tramite un evidente diedro che porta dal Colle della Torre Egger al "Colle della Verità" (n.d.r. Colle della Conquista), sperando di salire una via completamente indipendente, ma purtroppo non abbiamo mai avuto la finestra meteo di cui avevamo bisogno.
Provare a cercare quella linea incerta è stato il risultato di un entusiasmo puro. Durante la salita siamo arrivati in diversi punti in cui le vene di ghiaccio si arrestavano, eppure ogni volta con un'attraversata “alla cieca” abbiamo trovato un altro filone che continuava, con il ghiaccio più effimero e ripido che intonacava la roccia verticale. Solo dopo il quinto tiro abbiamo avuto la certezza che la via continuava: quando sono salito sulla pancia del fungo ho potuto vedere che c'era un altro filone di ghiaccio che collegava la parte superiore più facile. La salita del quinto tiro è stata molto atletico e di pompa, superare la pancia sporgente del fungo e allo stesso tempo essere costretti a pulire la brina che la copriva.
Quando hai iniziato a venire in Patagonia?
Nel 2007, ero a riposo per un infortunio ad un gomito e ho pensato che fare alpinismo era una buona alternativa. Abbastanza velocemente mi sono sentito come a casa. Era così sorprendente salire nel vento, in una natura così stupefacente, una natura che, combinata con la scalata rendeva il quadro, per così dire, completo. Mi ha subito conquistato.
Da quando ti ho incontrato per la prima volta nel 2007, per me era naturale che tu fossi motivato e ispirato da linee di ghiaccio effimero, dalla salita di "Hvit linje", l'impressionante cascata sotto il seracco appena ad est dell' Aguja Poincenot, a Los Tiempos Perdidos. Forse è inevitabile che, essendo norvegese, tu venga attratto prevalentemente dal ghiaccio?
Anche se posso capire questa impressione mi considero uno scalatore trad e un alpinista, piuttosto che un ice climber. Non sono molto ispirato dalle cascate pure, ma piuttosto mi ispira l'arrampicata su ghiaccio con caratteristiche più estese, su grandi pareti alpine e su grandi muri, su vie come le due che ho salito in Kjerag, un muro di 900 metri, a picco su un fiordo norvegese che ha diverse vene di ghiaccio che lo ricoprono. Il vento schizza gli spruzzi dell'acqua trasformandoli in una serie di striature di ghiaccio, rendendo l'arrampicata molto delicata e aleatoria. E' una scalata sorprendente che richiede le competenze sia dell'arrampicata su ghiaccio sia di quella trad.
Come prova la salita di questi due vie a Kjerag, è evidente che hai una forte avversione per l'uso degli spit in ambienti alpini.
Nella scalata alpina, un'attività che ha poco a che fare con il fisico e con l'aspetto ginnico dell'arrampicata, e molto di più con la qualità psicologica dell'esperienza, mi sembra inutile e limitante prendere scorciatoie come quella di perforare la roccia.
I tempi in cui arrivare in cima con qualsiasi mezzo era OK, sono finiti. In un mondo sempre più piccolo non usare spit è la cosa più progressista, più futuristica e "moderna" da fare. Non c'è fretta per sviluppare il restante terreno vergine, bisogna imparare ad aspettare le giuste condizioni o aspettare fino a quando uno è all'altezza del compito. E' importante avere dei progetti fuori dalla propria portata perché aprono la possibilità di migliorare, per sognare. Utilizzando gli spit in alpinismo si limita la propria evoluzione, oltre che lo sviluppo generale di questo sport. Forare la roccia è riduttivo.
Noi abbiamo salito le nostre vie sul Kjerag all'incirca nello stesso periodo in cui Robert Jasper e Roger Schaeli sono arrivati in Norvegia per scalare alcune nuove cascate nelle nostre valli. Hanno usato un trapano e molti spit, e molti di noi sono rimasti molto dispiaciuti. Un certo numero di alpinisti locali aveva atteso le giuste condizioni per fare uno di quei percorsi in uno stile pulito. Questo ha portato ad una forte reazione in Norvegia contro l'uso degli spit in ambienti alpini che comprendeva la denuncia formale da parte del Club Alpino Norvegese nella speranza di fare una dichiarazione chiara che l'etica locale deve essere rispettata. Certo, c'è un posto per gli spit in arrampicata, ma in un ambiente alpino dovrebbero essere evitati il più possibile. Uno delle vie che hanno salito si chiama "Into the Wild", un nome che lascia perplesso considerando che era stato salito con un trapano.
Inoltre, più in generale e filosoficamente, c'è una certa bellezza nel terreno intatto ed è molto importante non lasciare alcuna traccia di passaggio. Le nostre azioni dovrebbero riflettere il rispetto per la grandezza della natura. Lasciare spit, corde fisse "spazzatura da parete", alle spalle non è OK.
Tu sei stato nominato al Piolet d'Or 2011 per "Dracula", il nuovo itinerario sul Mount Foraker, in Alaska, salito con Colin Haley. Dopo esserci stato, quali sono i tuoi pensieri sul Piolet d'Or?
Non ero sicuro che valesse la pena di partecipare al Piolet d'Or, ma avevo la sensazione che le intenzioni fossero buone, così sono andato. Si tratta di un grande evento, ma penso che sarebbe importante sbarazzarsi del concetto di "vincitori" e di concentrarsi maggiormente sull'ispirazione che possono avere certe salite, sul fatto che prestare attenzione ad alcune salite può muovere lo sviluppo dello sport in una certa direzione. Potenzialmente può essere un evento molto stimolante, con buoni valori. Per me l'incontro con tutti gli altri alpinisti presenti è stato fonte d'ispirazione.
Dimmi di più su Dracula. So che era una vecchia idea di Steve House e un paio di altri scalatori. Eri già stato in Alaska?
Sì, c'ero stato l'anno prima, quando abbiamo salito sia la via francese sia la via Moonflower Buttress sul Monte Hunter. Senza questa esperienza precedente la salita di Dracula non sarebbe stata possibile.
Per me Dracula è stata una scalata importante per la sfida con il tempo incerto, in una finestra di tempo molto breve. Credo che dopo un po' si sviluppi un sesto senso per ciò che è possibile gestire e nonostante le brutte previsioni meteo ho pensato che dovevamo andare. Il fascino e le motivazioni erano forti.
Il mio approccio alla pianificazione ha molto più a che fare con questo sesto senso che con l'analisi dei dettagli di una salita. Quel "senso" inizia con un'idea stimolante che potrebbe essere un po' esagerato, un po' un sogno, il tipo di idea che quando ci pensi dici a te stesso: "sarebbe bello ma è possibile?"
Alcune persone pensano prima alle questioni pratiche e logistiche che circonda una salita, cose come "ho le competenze necessarie", “quanti giorni ci vogliono ", ecc. Per me è il contrario, il processo inizia quando mi ispira una certa linea, quando parte da una grande idea, poi plasmo la mia immaginazione e i miei sogni scendendo nel regno della possibilità. Il mio approccio non è pratico, ma ha dato i suoi frutti con una serie di avventurose grandi salite.
Abbiamo bisogno di lasciarci spazio per essere più audaci. Troppo spesso per un eccesso di analisi e sovra-intellettualizzazione delle salite confondiamo la paura per il pericolo reale. E' importante imparare a distinguere l'una dall'altro. C'è una grande differenza tra l'essere intimiditi dalla ripidezza, o dalla lunghezza di una salita, e i pericoli reali come valanghe, scariche di massi, possibilità limitate di ritirata, freddo, ecc... Venas Azules è un buon esempio, una linea intimidatoria che è ragionevolmente sicura, con un limitato pericolo oggettivo. Essere coraggiosi e di mentalità aperta, senza compromettere la sicurezza, è la sottile linea su cui camminiamo nella nostra fame di avventura.
Un grosso "in bocca di lupo" per la prossima finestra di bel tempo. Non vedo l'ora di essere sorpreso ancora una volta da un'altra delle tue fantastiche salite.
Bjørn-Eivind Årtun è supportato da Norrona, Petzl, Beal e Scarpa
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