Ambiente marino: arrampicata sportiva o terreno di avventura?
Qualche giorno fa ho letto su un profilo facebook di una persona che conosco la seguente frase: “molti oggi amano farsi male direttamente sul mare”. In queste parole, per quanto sarcastiche, c’è un fondo di verità. Arrampicare sul mare ci piace e dà sensazioni forti, ma nessuno ha mai classificato le scogliere come terreno sportivo, anzi è sempre stato considerato terreno di avventura. Potremmo addirittura dire che, paradossalmente, pur trovandoci al mare, scalare le scogliere è sempre stato alpinismo, non arrampicata sportiva.
Negli ultimi decenni però anche le scogliere hanno conosciuto lo sviluppo dell’arrampicata sportiva e sono state attrezzate a spit. Ciò nonostante, scalare in una falesia sportiva lontana dal mare, è indubbiamente molto più sicuro, ammesso che esista una quasi totale “sicurezza”. Come tutti sanno la roccia delle scogliere quando non è strapiombante è molto aggressiva e fragile. Pur ravvicinando gli spit, cadere equivale quanto meno a sbucciarsi. La roccia, anche se appare solida, può spezzarsi e fratturarsi anche nelle zone più impensabili. Questo è dovuto all’azione del vento, delle mareggiate, della salsedine. Ad esempio mi è capitato, su scogliere di granito, che delle prese apparentemente sicurissime improvvisamente si siano fratturate. Ciò normalmente non capita lontano dal mare. Sui tratti di calcare strapiombanti la roccia è compatta, quindi “sicura". In compenso l’umidità marina e la salsedine rendono le prese spesso scivolose ed intenibili, rendendo la scalata assai poco piacevole.
Ma il problema più importante, di cui solo ultimamente ci si sta rendendo conto, è senza dubbio quello dei materiali. Il materiale zincato utilizzato per tanti anni è ormai arrugginito e terrorizza gli scalatori, in compenso anche l’acciaio inox ha iniziato a spezzarsi, corrodendosi internamente, senza che esternamente appaia deteriorato. Scegliere il materiale più adatto per chiodare sul mare è diventato oggi complicato oltre che una bella responsabilità. L'esperienza ha col tempo chiarito ai chiodatori, che non esistono scelte univoche ma ogni scogliera è un caso a sè: va tenuto conto del tipo di roccia, dell'inclinazione, della sensibilità di quella roccia all'umidità, della latitudine. Persino dell'esposizione ai venti ed alle mareggiate. Tutti questi fattori vanno poi combinati con ciò che offre oggi il mercato. I vari produttori hanno cambiato in questi ultimi anni i loro prodotti ma non sempre, anzi quasi mai, è facile capire la qualità degli stessi per sapere se fidarsi o meno. Di fatto i chiodatori sono diventati l'anello di giunzione tra il produttore ed il "consumatore" e man mano che gli anni passano la loro scelta ha un peso e una responsabilità sempre più rilevante.
Quando ci si è resi conto del grosso problema dei materiali in ambiente marino c’è chi ha subito concluso: basta non scalare al mare! Basta con le falesie marine! Peccato che l’arrampicata sospesi sulle onde e sul blu continui, oggi come ieri, ad esercitare una grossa attrazione sui climbers. Occorre però cambiare il nostro punto di vista e rendersi conto che una scogliera non è una qualunque parete di arrampicata sportiva, ma è un ambiente differente, quasi vivo, che ci domanda di alzare il nostro livello di guardia. Per tanti anni abbiamo ripetuto agli arrampicatori sportivi che arrampicare in montagna è molto diverso, che esistono dei pericoli oggettivi ineliminabili, anche se ci sono gli spit. Lo stesso dovremmo fare per le scogliere. Chi non se la sente di accettare questi rischi sarebbe meglio rinunciasse già da subito a scalare sulle scogliere, senza pretendere una sicurezza che questo ambiente non è in grado di dare. Che resti pure a scalare nelle falesie dove gli appigli non fan male, dove la roccia è super testata dai passaggi e dove i chiodi non dovrebbero spezzarsi mai. Ma lasci il mare agli alpinisti.