Alpinismo Vagabondo #3: la magia dell'arrampicata a Piedra Parada

La terza puntata di Alpinismo Vagabondo, il libero viaggio in Sud America e Patagonia di Giovanni Zaccaria e Alice Lazzaro. Il diario di una settimana alla scoperta dell'arrampicata e della magia di Piedra Parada, il dedalo di guglie e canyon di roccia vulcanica nella Patagonia argentina. Intanto il viaggio di alpinismo vagabondo si dirige sempre più a sud, direzione Chile.
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Alpinismo vagabondo: giorno 2 - ci spingiamo ad arrampicare nei settori più lontani (Gallinero, 6b)
Giovanni Zaccaria, Alice Lazzaro

Giorno 0
È notte e viaggiamo nel mezzo del deserto su una strada sterrata. Abbiamo lasciato la Ruta 40 all’altezza di Esquel, dopo eterni chilometri di praterie sconfinate. In teoria dovremmo essere a Piedra Parada, in pratica.. chissà. L’unica illuminazione, data dalla luna piena più grande degli ultimi decenni, ci fa intuire solo sagome di grandi rocce che si stagliano nel cielo. Siamo troppo stanchi per mangiare, andiamo a letto. Speriamo domani di vederci più chiaro.

Giorno 1
Luce e vento. La luce ci porta la sorpresa di un fiume, l’insegna di un campeggio, e l’immagine nitida della grande pietra immaginata la notte prima. A Piedra Parada non c’è altro, oltre al vento che piega gli arbusti della pampa. Di fronte alla Piedra si apre un canyon di roccia rossa. Entriamo in punta dei piedi. Mentre camminiamo la testa guarda per aria meravigliata da tante fessure, guglie, canyon laterali..non si vede nemmeno la fine! Decidiamo di fermarci al sole, sotto una parete segnata da abbondanti tracce di magnesio. Facciamo amicizia con la roccia rossa e un gruppo di local argentini, che ci invitano a piantare la tenda vicino a loro. È strano il concetto di local, in mezzo al deserto, a 40 chilometri di sterrato dal più vicino centro abitato. Comunque i local, qui, le vie di riscaldamento le salgono scalzi.

Giorno 2
Siamo spaesati. A Piedra Parada i local non hanno fretta di svegliarsi, di scalare né di tornare a casa.. così passiamo ore in riva al fiume tra mate, pesca e giochi circensi. Il clima è rilassato e il tempo sembra scorrere ad un altro ritmo. La voglia di esplorare il canyon comunque è tanta, e, salutato chi purtroppo tornerà a casa, ci spingiamo ad arrampicare nei settori più lontani, circa un’oretta di cammino dall’ingresso. Torniamo all’accampamento quando è già buio. Ad accoglierci c’è Ariel, unico local rimasto. Ariel ha 35 anni, una folta chioma rasta e una voce profonda che ispira serenità. Maestro di sci d’inverno e tuttofare d’estate, è innamorato della vita all’aria aperta. Ha un grande rispetto per la natura, che riesce a trasmettere a chi lo circonda. Attorno al fuoco, con lui, siedono e suonano Lucas ed Hector. Lucas puzza di fumo e le sue scarpe rotte svelano il fulcro della sua vita: nato a Buenos Aires è ora vagamondo di professione e arrampicatore principiante. Si sposta inseguendo luoghi dove poter scalare, con la sua chitarra vissuta, un flauto di legno e quegli occhi da bambino che sanno stupirsi. Hector, sciatore ed arrampicatore cileno, intona con un buon accento romano qualche canzone di De Andrè. Ha vissuto dieci anni in Italia tra Roma ed Arco di Trento ed ora anche lui sta viaggiando verso Sud. Si fermerà qua un mese. È bello e strano scambiare qualche impressione su falesie, vie e montagne "di casa". Il fuoco cucina la cena, riscalda le membra intorpidite dal vento e colora le facce della stessa tonalità. Ci sentiamo compagni, un po’ fratelli.

Giorno 3
Un gufo su un ramo guarda l’accampamento svegliarsi lentamente. Il vento non c’è più. È arrivato invece un branco di scalmanati brasiliani, atleti di arrampicata e highline che stanno girando un documentario. A qualche centinaio di metri da noi montano tende, amache, e persino un gazebo, mentre un generatore gli assicura musica reggae. Come cambia tutto velocemente qua. Ieri rabbrividivamo in balia del vento, mentre oggi il caldo ci costringe a scalare all’ombra. Ieri ci sentivamo due, italiani, soli. Oggi siamo in cinque, con un rasta in ciabatte, un musicista con penne di condor sulla chitarra, e un cileno dall’accento romano. Sembra una barzelletta. Noi proviamo a scalare il più possibile, loro dopo un paio di tiri si esercitano con le manovre di autosoccorso. Tra un sorso di mate e l’altro, ovviamente. Poi insegniamo a Lucas la discesa in corda doppia, mentre Hector suona la chitarra e le note echeggiano tra le pareti del canyon. Ariel invece torna per primo all’accampamento con la speranza di pescare al fiume e procurare la cena per tutti. Purtroppo è sfortunato, ma cuciniamo lo stesso insieme, al fuoco. Durante la cena proponiamo di salire in cima alla Piedra Parada l’indomani. A differenza che nel canyon, scalare là è pura avventura. Le vie non sono attrezzate, la roccia è marcia e si arrampica in camini sporchi di guano. Lucas è entusiasta, non ha mai fatto una via a più tiri. Hector invece è giustamente titubante per le premesse. Ariel, lo sciamano, si limita ad un enigmatico "Può essere". Pur essendo local non ci è ancora mai salito. Quanto a noi..quanto ci piace l’avventura, soli o in compagnia! Oggi abbiamo usato muscoli e forza, domani toccherà a testa ed esperienza..buonanotte.

Giorno 4
Lucas è emozionatissimo,ci sveglia tutti col gong (mestolo su padellone). Ariel annusa l’aria e mormora: "È il giorno, andiamo." Hector preferisce fare amicizia con i brasiliani. All’attacco Ariel costringe Lucas a lasciare giù un pesantissimo zaino dal contenuto ignoto. Lucas contratta di poter portare almeno il flauto di legno. Trecento metri più in alto, in cima alla Piedra, in mezzo al deserto, suona per noi e per il vento. Non trova parole e ci ringrazia così per averlo portato in una delle più belle avventure della sua vita. Alla fine per noi non era così marcia la via, ma siamo pur sempre dolomitisti. La sera ci accolgono all’accampamento due nuovi: Sol e Juan, del nord dell’Argentina, 20 anni lei, 32 lui. Hanno mollato tutto e ora scalano, viaggiano e vivono senza ulteriori programmi futuri. A Piedra Parada staranno almeno un mese. Decidiamo tutti insieme, tutti meno Lucas che distrutto già dorme, di scalare domani alla "Calavera" (la grotta del teschio) e andare a vedere, o forse mettere le mani, sulla "Flecha Perdida". La Freccia Perduta è una delle vie più famose del posto, nascosta in fondo ad un lontano canyon laterale.

Giorno 5
Anche oggi, come da almeno un paio di giorni, i brasiliani assicurano che domani monteranno l’highline tra le due pareti del canyon. Annuiamo dubbiosi, e ascoltiamo un eminente geologo venuto dal nulla che ci racconta l’origine del canyon: eruzioni magmatiche di un enorme vulcano. Ancora annuiamo dubbiosi. Alla grotta della Calavera si scala in tre dimensioni: è enorme e strapiombante, piena di buchi, canne e volumi scolpiti con fantasia dalla natura. Ariel, con qualche tentativo ha messo i rinvii per tutti sulla Flecha Perdida, e guarda Hector, Sol e Juan che uno dopo l’altro provano, scalano, volano, e si calano. In serata li raggiungiamo in fondo al canyon laterale. La Freccia è appuntita, rossa, leggermente strapiombante: Quaranta metri di 7b per 14 rinvii penzolanti. Ariel sorride e non mette pressione, se nessuno riesce a raggiungere la cima, tornerà il giorno dopo. Gio sale lentamente, mentre la luce del giorno se ne va, e i compagni lo guardano in un silenzio surreale. Solo un urlo liberatorio in cima e un sospiro unisono di chi dal basso lo seguiva emozionato. Sembra quasi che tutti abbiano liberato il tiro insieme a Gio. Le stelle ci guidano fuori dal canyon mantenendo quell’aura di magia che si è creata oggi. Le parole stasera sono di troppo.

Giorno 6
Stanotte, ad un’ora indefinita, nei sogni sono entrate luci, rumori e voci spagnole: quattro ragazzi di Santiago del Cile si sono insediati nell’accampamento. Portano allegria, attrezzatura da campeggio pesante e cibo per un esercito. Li attende un mese di festeggiamenti post lauream e scalate prima di cominciare un altro capitolo della vita. A colazione notizie fresche: Lucas se ne va altrove, e Hector, che aveva già lo zaino pronto per la giornata, cambia i programmi e in un lampo decide di aggregarsi. Sfrutteranno un passaggio del guardiafauna nel pomeriggio. Li salutiamo emozionati e un po’ tristi. Le amicizie di viaggio sono così intense, ma così fugaci. Oggi quindi si scala in tre. Ariel ci porta agli "Ojos de Buda" (Occhi di Buddha), un settore di vie corte e bulderose, che mettono a dura prova i nostri corpi ormai stanchi. I viveri scarseggiano e stasera finisce anche il gas. Per fortuna Ariel cucina una grande zucca alla brace. Intanto i cileni discutono animatamente tra loro riguardo un lavoro propostogli da Mario, il proprietario del campeggio vicino: potatura di tre alberi in cambio di un capretto. Non si capisce bene se ancora vivo o "listo para comer" (pronto da mangiare).

Giorno 7
La pelle delle mani, i tendini, i muscoli, persino il gas e le scorte alimentari parlano chiaro: è quasi ora di andare. Sfruttiamo le ultime energie per salire le vie lunghe del canyon: con due mezze corde e 25 rinvii possiamo goderci sessanta metri di arrampicata senza interruzione..uno spettacolo! Per ultimi saliamo i quattro tiri del "Sexto Elemento" (6c+), una delle poche vie che sbuca in cima al canyon. I brasiliani ci incitano dall’alto: "Ciao Italia!". Finalmente stanno fissando gli ancoraggi per l’highline. Ariel ha pescato due pesci, ma troppo piccoli per sfamarci tutti, quindi li ha rigettati in fiume. Ci aspetta per andare da Mario a bere la birra dell’ultima sera. Convinciamo ad unirsi anche Sol e Juan, i quattro cileni e due ragazze brasiliane. Purtroppo Mario non ha cibo, e la cena a base di sola birra di porta a raccontare storie, a fare gare di corsa al buio, e a guardare le stelle cadenti distesi sulla strada.

Giorno 8
Ore 11. Avevamo deciso di partire presto..prima delle birre. Condividiamo un ultimo mate e la colazione tutti insieme. I cileni offrono pappa di avena, le brasiliane il loro caffè con cacao, Ariel fa comparire una ciotola di cereali e frutta fresca, mentre noi apriamo le ultime due scatolette rimaste: ceci e fagioli. L’highline è montata, noi facciamo un ultimo tuffo nel fiume e compattiamo i bagagli nella jeep per farci stare anche Ariel, che sfrutterà un nostro passaggio fino ad Esquel. Salutiamo lentamente Piedra Parada e tutti i suoi abitanti. È stata una settimana incredibile: sette giorni di scalata sempre diversi, sempre sorprendenti. Di Piedra Parada non ci resteranno solo la roccia rossa, il piacere dell’arrampicata e la luce magica del canyon, ma anche e soprattutto il sapore unico delle spezie di Ariel, le note di rari strumenti di strada, la parlata allegra del Cile e le risate in lontananza dei brasiliani. Questo accampamento, per un po’, è stata una vera casa. Ma non possiamo andarcene dicendo semplicemente "Ciao!", e quando giriamo la chiave, la macchina non parte! Serve la spinta motrice di quattro cileni e una piccola magia di Ariel, lo sciamano, per convincere la jeep ad accendersi e rimettersi sulla strada polverosa. Grazie Piedra Parada!

di Giovanni Zaccaria e Alice Lazzaro

Ringraziamo per il supporto: S.C.A.R.P.A. - Climbing Technology - Beal

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Note:
Expo.Planetmountain
Climbing Technology
S.C.A.R.P.A.
www
FB Giovanni Zaccaria



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