Aiguille Noire, Pilastro Rosso del Brouillard e Monte Bianco. L'Integrale 2.0
Dopo un finale di primavera gelido, il caldo si è presentato all’improvviso e con gli interessi. Le temperature prossime ai 40 gradi nei fondovalle e la tanta neve presente ancora sulle montagne ha reso molto complicate le condizioni del misto in alta quota.
L’alpinista degli anni 2020 deve però essere pronto a cogliere i nuovi segnali dettati dal global warming e soprattutto deve sapersi reinventare, se vuole portare avanti la propria attività preferita.
Da questo tipo di situazione possono nascere anche delle proposte interessanti, come il concatenare l’attraversata sud-nord dell’Aiguille Noire con la salita al Bianco per il pilastro Rosso del Brouillard e l’omonima cresta.
Questa sorta di integrale ad S che unisce due delle salite più belle dei bacini del Freney e del Brouillard ha il vantaggio di essere prevalentemente rocciosa nei tratti tecnici e quindi piuttosto sicura nei periodi di caldo.
Oltre a ciò, a differenza delle salite integrali delle creste che delimitano i due bacini, può contare su un punto d’appoggio d’eccezione, il rifugio Monzino.
Lo scorso week end Marco Farina, guida alpina e navigato alpinista della SMAM, in team con Gabriele Carrara, promettente alpinista e allievo quasi a fine corso aspiranti, hanno salito la Noire partendo dal campeggio La Sorgente in Val Veny, nello strabiliante tempo di 7 ore e 15. Dopodiché sono scesi sul versante nord, per giungere al rifugio Monzino prima della chiusura della cucina, in tempo per rifocillarsi con le tagliatelle dello chef/gardien Mauro.
Il secondo giorno la sveglia dei due alpinisti è suonata come d’abitudine molto presto, mentre per il sottoscritto non c’è nemmeno stato bisogno di impostarla, visto che a mezzanotte e mezza ero già in marcia per raggiungere al rifugio i miei due soci. Dopo una veloce colazione, alle due e mezza il nostro terzetto era già lanciato verso il Pilastro Rosso del Brouillard.
L’essere legati in 3 ha reso un po’ meno fluida la parte di arrampicata, ma una volta ingranata la marcia, in 4 orette eravamo fuori dalle difficoltà, ma ancora ben lontani dalla cima del Monte Bianco. Proprio 60 anni giusti dopo la prima salita di Walter Bonatti e Andrea Oggioni, effettuata con un bivacco in parete dal 5 al 6 luglio del 1959.
Nonostante non sia la prima volta che frequentavamo la zona, stupisce sempre come nell’arco di pochi metri si possa passare dal più bel granito del Bianco alla peggior roccia del creato.
600 metri di sgrebani rotanti più tardi ci troviamo a complimentarci a vicenda in cima alla montagna più alta delle Alpi.
Come al solito una volta calata l’adrenalina della salita, la discesa a valle sulla via normale italiana diventa una battaglia mentale con fatica, sonno e noia. Tutti noi però sappiamo bene che i 3300 metri che ci separano dalla macchina, presto o tardi sono destinati ad azzerarsi.
Personalmente tornare a legarmi con buoni amici (e sopratutto forti alpinisti) per fare una salita di livello è stato un modo per riassaporare sensazioni che avevo un po’ perso, visto che negli ultimi anni avevo declinato l’alpinismo più che altro in chiave sciistica o fast and light.
Per Marco è stato un altro passo verso il suo obiettivo di stagione, la spedizione al Nemjung, una montagna in Nepal di 7000m, dove in compagnia di Marco Majori tenterà di aprire una nuova via.
Per Gabriele invece questa due giorni è stata soltanto un bel warm up, visto che dal giorno dopo era impegnato col corso aspiranti nel modulo di alta montagna.
di Denis Trento
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