Ad Heinz Mariacher il Premio Paul Preuss 2020

L'alpinista austriaco Heinz Mariacher è il nuovo vincitore del Premio Paul Preuss 2020. Mariacher è l'ottavo alpinista a ricevere il prestigioso premio dopo Reinhold Messner, Hanspeter Eisendle, Albert Precht, Hansjörg Auer, Alexander Huber, Beat Kammerlander e Bernd Arnold.
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Heinz Mariacher sotto il Sass dla Crusc in Dolomiti
archivio Heinz Mariacher

Dunque, il Premio Paul Preuss 2020 va ad Heinz Mariacher. E, forse mai come questa volta, abbiamo la sensazione che un riconoscimento, prestigioso come questo, vada all'uomo - alpinista e arrampicatore - giusto. Sì, perché se Paul Preuss nell'immaginario degli alpinisti ha sempre rappresentato il cavaliere senza macchia, il visionario e il solitario che affronta con mezzi leali la montagna, senza compromessi ma anche senza sottovalutarla, Heinz Mariacher ha saputo interpretarlo in chiave moderna mantenendo una sua unicità e una visione personale che si è evoluta nel tempo.

E' un libero pensatore, Heinz, e insieme una sorta di anarchico dell'arrampicata. Lo è stato fin da piccolo. Fin da quella prima volta quando, ignaro di tutto, partì da casa da solo con la bici per raggiungere una parete lontana e scalare una via di 5° grado sul Rofan. Di quella via, friabile e difficile, non conosceva nulla. D'altra parte lui era un autodidatta, e poi aveva la bellezza di 11 anni! Nessuno poteva saperlo, ma evidentemente era un predestinato. Un destino che all'inizio interpretò, guarda caso, da perfetto solitario.

Così, nei primi anni '70, poco più che 18enne, questo giovane austriaco - con l'aria un po' intellettuale e un po' da figlio dei fiori – ha ripetuto in solitaria molte delle vie più difficili. Dalla Rebitsch sul Fleischbankpfeiler alla Schmuck sulla Fleischbank. Per continuare in Dolomiti con la Cassin, la Comici, la Egger sulle Tre Cime di Lavaredo fino alla Vinatzer sulla Sud della Marmolada e la Lacedelli alla Scotoni. Nel contesto di allora si tratta di qualcosa di assolutamente non usuale quanto rilevante. Anche per lo stile.

Come quella volta sulla già citata Lacedelli alla Scotoni, una delle solitarie di quegli anni che Heinz ricorda più intensamente, per spirito e per ambiente. "All'epoca si sapeva poco o nulla di quella via. Giusto che era molto difficile e che c'era stato bisogno di una piramide di tre persone per superare il passaggio chiave. Tentarlo da solo rappresentava per me una sfida irresistibile, e in quel weekend evitai i miei soliti compagni di cordata e partii da solo per le Dolomiti. Mi sono autoassicurato con la corda sul primo tiro... poi basta." Era il 1974. Una, o meglio tre ere alpinistiche fa. Ma lui già pensava all'arrampicata libera, rifiutava l'artificiale e, come Preuss, immaginava che si dovesse poter gestire la difficoltà con le proprie forze, senza mezzi artificiali, sia in salita che in discesa.

Inoltre, per completare il quadro, è un ribelle. Va oltre gli schemi usuali. E vive l'arrampicata "Non solo come sfida o competizione ma anche come divertimento". Poi, non crede in nessuna "lotta con l'Alpe" né vuole conquistare alcunché. Quindi, è fuori dagli schemi precostituiti. Anzi, cerca di interpretare quella voglia di libertà, quel bisogno di andare e guardare oltre che è proprio di quegli anni '70. Come nel 1979, per esempio, sulla via Conforto - Bertoldi. Sicuramente una delle sue più importanti solitarie per mentalità e concezione, anche per come è nata.

Quel giorno, racconta Heinz "Ero andato a fare boulder sopra al Rifugio Falier ma dopo un po', saranno state le 14:00, mi sono stufato. Così ho deciso di salire la fessura Conforto. Non la conoscevo, anzi avevo letto la descrizione sulla Guida del Pellegrinon. Ero in maglietta, pantaloncini corti e basta.". Insomma, non aveva nulla, né chiodi, né corda e, in pieno spirito Preuss, avrebbe dovuto “saper scendere da dove era salito”. Va da sé che tutto ciò, anche quella scelta estemporanea e d'istinto, presuppone capacità e preparazione non comuni, proprio come affermava Preuss. Quella volta, racconta Heinz: "Oltre il punto di non ritorno, ho dovuto fare un po' di numeri per superare i camini ghiacciati...".

Forse però si rischia di non comprendere appieno il "senso per l'arrampicata" di Mariacher, se non si racconta che è stato uno dei profeti ed esploratori del nuovo modo di vivere la scalata in parete. Quello che esplorò e stravolse, negli anni '70 e per tutti gli anni '80, il mondo della verticale, della difficoltà e soprattutto del concetto di scalata (in) libera. Fu un vero viaggio "collettivo" che Heinz fece suo e interpretò con una buona dose di inventiva e di visioni che hanno lasciato un segno indelebile.

Basti pensare a Tempi Moderni la via aperta con Luisa Iovane, altra caposcuola e sua compagna di cordata e nella vita, sulla parete sud della Marmolada. Un vero manifesto programmatico della nuova arrampicata: salita in libera dal basso rappresentava in quel momento uno dei punti massimi per stile, "by fair means" e bellezza. E' questa visione e ricerca che ha sempre guidato Mariacher. Dalla scoperta delle pareti di Arco a quelle della Valle San Nicolò, alle grandi pareti delle Dolomiti. E' questa arrampicata che l'ha sempre interessato veramente. Un'arrampicata immersa nella natura e che ricerca i suoi spazi, anche di solitudine, lontano dalla folla. Un'arrampicata libera e felice come quella che forse sognava anche Paul Preuss.

di Vinicio Stefanello

Albo d'oro Premio Paul Preuss:
2013: Reinhold Messner
2014: Hanspeter Eisendle
2015: Albert Precht (✝)
2016: Hansjörg Auer (✝)
2017: Alexander Huber
2018: Beat Kammerlander
2019: Bernd Arnold
2020: Heinz Mariacher

Link: www.paulpreuss-gesellschaft.at, SCARPA




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