Sottoguda, La spada nella roccia e altre storie

Francesco Capellari, Beppe Ballico, Maurizio Pretto e Ezio Marlier nel canyon delle meraviglie di Sottoguda, tra La spada nella roccia, la Cascata nel sole, un po' di storia, suggestioni e scintillanti colate di ghiaccio...
Alpine Ice Tour

Francesco Capellari, Beppe Ballico, Maurizio Pretto e Ezio Marlier nel canyon delle meraviglie di Sottoguda, tra La spada nella roccia, la Cascata nel sole, un po' di storia, suggestioni e scintillanti colate di ghiaccio...

Sottoguda martedì 3 gennaio 2006

Mi sono sempre posto in posizione critica con Ezio. Per anni è stato impossibile scardinarlo (e non vale solo per lui ma anche per altri ghiacciatori dell'ovest) dalle sue valli. Non so chi ci sia riuscito un paio di anni fa. Fatto sta che ieri Ezio era a Sottoguda con me, Beppe e Maurizio. L'Alpine Ice Tour è una grandiosa idea del buon Ezio e sicuramente è uno dei pochi che poteva realizzarla.

Ma scalare con lui a Sottoguda non è solo tema di confronto, è soprattutto possibilità di ripercorrere la storia del luogo per spiegargli che anche qui da noi si è fatto tanto, si è girato in lungo e in largo per molte valli anguste e solitarie. Valli dove di ghiaccio, a volte, ce n'è tanto e bello.

Sottoguda non è sicuramente uno di quei luoghi dove le gambe ed il fisico faticano per raggiungere le cascate. Proprio per la sua vicinanza alla civiltà è stato uno dei primi siti frequentati nel nord est, assieme a Sappada e la val di Rabbi. Famosi per essere fino agli anni '70 l'unico passaggio automobilistico dal Veneto verso il Passo Fedaia, i Serrai di Sottoguda si presentano come uno stretto canyon con pareti laterali alte più di 100 metri.

A volte la valle è larga non più pochi metri e la strada, ora ridotta a puro passaggio pedonale, risale affiancata da un rumoroso torrente. In estate le ombrose pareti sono costantemente rivestite da una patina d'acqua che le rende nere e repulsive. In inverno il nero si trasforma in bianco. Il bianco del ghiaccio. Ed il canyon sembra più aperto per quanto risplende.

La storia arrampicatoria a Sottoguda inizia negli '80, come del resto nelle altre valli venete. Sono salite naturalmente le linee più semplici, anche se di semplice, ad onor del vero, si vede subito, non c'è molto. Le attrezzature per la progressione sono ancora quelle derivanti dall'alpinismo classico e quindi non adatte a pendenze verticali e a ghiaccio molto duro. Quindi vengono salite la parte destra della Cattedrale, la Baby, le Attraversate. Ci vuole qualche temerario per poter abbattere la soglia del puro verticale. Vengono così salite, verso la fine di quegli anni, Excalibur e, vero simbolo del luogo, la Spada nella Roccia.

Sono gli anni delle prime lame a banana e delle numerose “appensioni” ai “cordini” per infiggere a colpi di martello gli “snarg” o i durissimi “cavatappi”. Ma il cascatismo prende piede. I materiali si sviluppano soprattutto grazie agli studi di aziende che vengono dall'ovest. La fama di questo luogo si divulga grazie alla bellezza delle linee ma soprattutto alla strettissima vicinanza (forse eccessiva) alla strada. A Sottoguda si comincia a parlare tedesco, sloveno, inglese.

Gli anni '90 iniziano con l'apertura di altre vie, quelle più nascoste. Gli influssi occidentali portano anche qui gradualmente ad una nuova concezione dell'arrampicata. Spariscono i cordini, sostituiti da maggiore preparazione e consapevolezza (molte volte anche da spaventi più grandi). Gli arrampicatori della gola hanno poi la sensazione di essere come gli animali di uno zoo. Sempre più persone, durante i periodi di vacanza invernale, percorrono la stradina in passeggiata per ammirarne i fianchi ma anche per scrutare i matti che ci si inerpicano. Così il ghiacciatore diventa un essere strano, da ammirare ma soprattutto da evitare.

Il CAI inizia con i primi corsi di cascate e sono frequenti, vista la comodità, le uscite a Sottoguda. Per contro, proprio per questa benedetta/maledetta vicinanza, il luogo diventa una sorta di falesia di ghiaccio dove è facile confondersi e ritenere il luogo sicuro. Sappiamo che nulla è sicuro su ghiaccio. Ci può essere solo la comodità di avere già le soste attrezzate per poter scendere più agevolmente.

Arriviamo al 2000. Viene organizzato un simpatico evento che attira anche famosi arrampicatori dal Canada, dal Belgio e dalla Scozia. Il 1° (e per ora unico) Dolomeeting ha visto Will Gadd, poi vincitore della prima Coppa del Mondo, Stevie Haston ed altri salire le linee più ardite e le vie di misto moderno che già qualcuno aveva aperto. La scena è stata calcata anche alla sera quando, alla luce delle fotoelettriche dei Vigili del Fuoco di Rocca Pietore, si è svolta una notturna gara goliardica in parallelo tra i vari “campioni” della specialità. Il tutto imbevuto con un gustoso vin brulé e da un tifo da stadio. In quei pochi giorni si è potuto gustare la vera essenza dell'arrampicata sulle cascate di ghiaccio. Quella fatta di calore umano per combattere l'ambiente freddo, fatta di dolore e soddisfazione, tenacia e vigliaccheria.

Poi sono arrivate le gare. Anche qui si è organizzata una gara, più bonaria che veramente competitiva. Il dry tooling ormai imperversa da un po' di anni e quindi cosa c'è di meglio se non far arrampicare i giovani sulle pareti di Sottoguda appendendosi a fori e fessure della roccia per raggiungere fantomatiche candeline di ghiaccio? Purtroppo l'evento del 2004 ha finito per rovinare (forse irrimediabilmente) le pareti di roccia con antipatico colore per la tracciatura delle vie. I nostri pronipoti studieranno a fondo questi segni come geroglifici di un'era sconosciuta in cui l'uomo soleva raggiungere punti così alti con strani aggeggi tanto che i futuri scienziati tracceranno probabilmente una nuova tesi: “Dall'homo sapiens all'homo volante et stupidus”.

Francesco Capellari


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Tutte le cascate dell'Alpine Ice Tour
Tutto il diario dell'Alpine Ice Tour


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