Al cospetto del Rosa: in Valle di Gressoney per Alpentzu e P.ta Jolanda

"Ora siamo giù dalle pareti, mettiamo le mani in tasca, dove non c'è nulla in più, ma abbiamo il cuore pieno." Bruno Arrigo, Corrado Gontier, Sebastien Bumbolo, Rinaldo Roetti, Elio Bonfanti ed Ezio Marlier nella Valle di Gressoney, al cospetto del Monte Rosa per salire le cascate di Alpentzu e della Punta Jolanda..
Alpine Ice Tour

"Ora siamo giù dalle pareti, mettiamo le mani in tasca, dove non c'è nulla in più, ma abbiamo il cuore pieno." Bruno Arrigo, Corrado Gontier, Sebastien Bumbolo, Rinaldo Roetti, Elio Bonfanti ed Ezio Marlier nella Valle di Gressoney, al cospetto del Monte Rosa per salire le cascate di Alpentzu e della Punta Jolanda...

Notte fra Sabato 10 e Domenica 11 dicembre 2005, verso le 1.30 a.m. Autostrada fra Aosta e Roma, verso Roma.

Il contachilometri del fuoristrada procede regolare nel segnare la distanza percorsa. Tanta distanza. Circa 800 chilometri. No, non ho anticipato una mia "settimana bianca", allora perché fare tanta strada? Per il ghiaccio! Per la precisione per le cascate di ghiaccio. Ma soprattutto per quello che le circondano, i cari amici, l'ambiente dei ghiacciatori, lo stile di festa attorno ad un "attività" a meta strada fra lo sport e l'arte. Ma torniamo tre giorni indietro.

Mercoledì sera il mio telefono squilla. Corrado Gontier, il mio amico guida alpina mi chiede "Ti va di anticipare di un giorno il tuo arrivo? potremmo fare qualcosa di particolare". Conoscendo il personaggio avevo già un sorriso da un orecchio all'altro. "Cosa devo portare con me?" - "Ma niente.. 2 picche cattive, 2 moschettoni, l'imbrago, i ramponi e il casco. Andiamo con Ezio. Ti ricordi?". Mi ricordavo, andando a scalare l'Aiguille d'Entrèves, d'aver incontrato Ezio sulla funivia di La Palud. "Non mi dire…", "Si, andiamo con lui a fare qualche cascata.

Non sono un "vero" ghiacciatore (perché restringerei la definizione solo agli specialisti del ghiaccio verticale), prima avevo scalato i salti di qualche torrente ghiacciato nel Friuli, ho fatto parecchio montagna, belle goulotte, ma una "vera" bella cascata mai. Cosa fare? L'alpinismo, in tutti i suoi aspetti, è il riflesso del nostro modo di porsi nei confronti della vita. Avevo questa occasione per iniziare alla grande le "vere" cascate, Corrado è per me una sorta di guru della montagna, ha una fenomenale capacità di empatia al punto di sapere meglio di te fino a dove puoi arrivare - e cosi superi te stesso - e mi trovo in sintonia con lui. La pressione psicologica è alta, il gioco (perché è sempre un gioco) si farà duro. Ma perché no?

Scalare montagne (e lo scalare cascate di ghiaccio non sfugge allo stesso identico pensiero, anzi lo rende ancora più veritiero) crea una strana dipendenza. Suscita emozioni opposte fra loro. Ti trovi a correre col respiro di un pesce fuori acqua a quota 4500m su un ripido pendio sotto traballanti seracchi, o attaccato a 20 metri di altezza ad una parete di ghiaccio verticale con l'acqua gelata che ti scorre dal collo fino alle mutande, le braccia che urlano di dolore ed in equilibrio su quattro (al meglio otto) punte di molibdeno lunghe 3 cm, hai ancora 30 metri di tiro da compiere e ti chiedi: "Ma che [censurato] ci faccio qui?". Poi, per una strana alchimia tutta umana, al bar con gli amici scalatori, l'incubo di prima si trasforma in sogno realizzato. Forse gli alpinisti (e gli ice climber ne sono una delle specie più evolute) sono i primi ad essere riusciti a trasformare il piombo in oro.

Venerdì mattina andiamo con Ezio, Rudi Bucella nella valle di Ollomont, ma questa è già storia di ieri, e sabato Ezio ci propone di andare a Gressoney; con noi anche Bruno Arrigo. Avevo già scalato sul Monte Bianco del Tacul con Bruno. Che dire? è un vero trattore (il suo fisico aiuta le metafore) ossia qualsiasi sia la via lui passa, non importa come, lui passa! Non dico che non ha stile, anzi. Però quando lo guardi scalare il primo pensiero che ti viene in mente è: è pura potenza, non si fermerà.

Ci raggiungono anche Rinaldo Roetti e Elio Bonfanti. Con tutte queste "brave picche", la pressione non cala. Con Bruno e Corrado andiamo a scalare "Punta Jolanda", una delle prime cascate aperte a Greyssoney. Ezio, Rinaldo ed Elio vanno a piantare picche e ramponi su "Alpenzu". Andare a "Punta Jolanda" è quasi un pellegrinaggio. Non ha l'apparenza goffa di quelle cascate che si siedono tranquillamente sul fondo valle, no, "Punta Jolanda", in questo periodo, è un elegante e largo schizzo che fuoriesce in diagonale dalla montagna. La Natura è proprio il più bravo designer che ci sia.

La temperatura si aggira fra i meno 5 e meno 10. Scaliamo in tre, Corrado si diverte sui cavolfiori e poi il ghiaccio verticale dei 40 metri del primo tiro. A volte mi chiedo se non dia consigli sulle leggi della gravità alle gocce d'acqua che scendono dall'alto. Ci tocca ora raggiungerlo in sosta. Avvertivo già da un po' i segni di un mio brutale raffreddamento. Bruno parte prima di me, lo seguo a distanza di qualche metro prestando attenzione ai pezzi di ghiaccio che si staccano dall'alto. A volte, cadendo, i pezzi più grossi mi passano cosi vicino che sento il loro particolare fischio. Purtroppo scalando non riesco a rilassarmi, a liberarmi la mente. Arrivo in sosta, ho lo stomaco piegato e una forte nausea. Diagnosi: congestione dovuta al freddo. Non mi era mai capitato. Cosa fare? Abbandonare qui? Continuare la scalata in questo stato?

Certo che chiedendo aiuto (una sosta di riposo ogni 4 passi per esempio), man mano Corrado (o Bruno) mi avrebbero "tirato" fino alla fine della cascata. Così avrei potuto segnarla tutt'intera sul mio curriculum di ghiacciatore. Ma ho deciso per il no. Non sarebbe stato etico, non sarebbe stato giusto nei confronti dei miei amici ghiacciatori. Voglio giocare con loro, con le stesse regole (da secondo). Poi, nonostante tutto, avevo fatto il primo tiro. Posso, senza rischio, aspettare Corrado e Bruno sulla comoda sosta ed auguro loro di divertirsi sull'ultima lunghezza di circa 30 metri (e si sono divertiti. Mentre io rosicavo d'invidia).

Ci troviamo tutti al bar a raccontarci le nostre avventure di oggi, di ieri e del passato. Tutti, cosi diversi ma cosi simili attorno ad uno stesso tavolo. Ecco lo spirito dell'Ice Tour. Passiamo dal fotografo di Gressoney Davide Camisasca per recuperare le foto delle varie macchine. Ci salutiamo augurandoci di ritrovarci al più presto. Ed Ezio? Sarà paradossale ma l'ho conosciuto più giù dalle cascate che sulle cascate. Non farò il panegirico del personaggio, ma mi avventurerei a dire che nei nostri viaggi incontriamo così tante persone, e dimentichiamo così facilmente tante persone, lui, invece, cosi carico di vita, è impossibile dimenticarlo. Come non l'avevo dimenticato dopo il nostro primo incontro su una funivia traballante.

Com'è Ezio sul ghiaccio? Qualcuno diceva che il comune mortale non può né valutare né giudicare la perfezione, ed io sono un comune mortale, in particolare sul ghiaccio. Caro Ezio, ora mi rivolgo direttamente a te, ti prendo in prestito una citazione, sì, abbiamo cosi tanto cazzeggiato che ne ho il diritto. E' quella di Gian Carlo Grassi - che vorrei dedicare soprattutto a Corrado, poi a te, a Bruno e agli altri - diceva più o meno così: Ora siamo giù dalle pareti, mettiamo le mani in tasca, dove non c'è nulla in più, ma abbiamo il cuore pieno. La mia macchina rallenta. C'è il casello autostradale di Roma Nord, è notte fonda. Torno nella mia città d'adozione.

P.S. Quando ricominciamo?

Sébastien Bumbolo


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