Choquequirao - trekking al fratello maggiore del Machu Picchu in Perù
La prima volta che sono stato in Perù ci sono rimasto per sei mesi, attraversandolo da nord a sud in un cammino di 3000km. Era l’estate del 2021 e la gente ricominciava a muoversi, chi veniva qui si dava appuntamento a Lima. Quando vi giunsi, un problema al ginocchio mi tenne fermo per due settimane, così ne approfittai per sondare le mete del turismo mordi e fuggi. Da Lima partivano praticamente tutti per un circuito in senso orario che toccava Ica, famosa per una scenografica oasi in mezzo alle dune, Nazca e le sue linee, Arequipa, Puno e il lago Titicaca, e finalmente Cuzco e Machu Picchu. Poi il ritorno a Lima e l’aereo verso casa. Chi aveva meno giorni a disposizione saltava Ica o il lago Titicaca ma nessuno, naturalmente, era disposto a sacrificare la cittadella inca di Machu Picchu, una delle sette meraviglie del mondo moderno. Rappresentava per tutti il culmine della vacanza, l’ultimo tassello fotografico nell’album dei ricordi e la cartolina perfetta da mandare agli amici a casa. Ma nessuno, veramente nessuno, era a conoscenza di suo fratello maggiore.
A pochi km da Machu Picchu sorge un secondo sito archeologico, portato alla luce appena 50 anni fa e ancora largamente nascosto dalla vegetazione. Quando ci sono arrivato il custode, unica persona presente oltre a me, mi ha riferito che appena il 30% degli edifici ha visto la luce; tutto il resto - abitazioni, magazzini, templi, terrazzamenti, mura - è ancora sepolto sotto la ceja de selva, quella parte di foresta amazzonica che si arrampica sui rilievi occidentali delle Ande. Non esistono strade per arrivarci, solo un trekking di due giorni su e giù per il canyon scavato dal fiume Urubamba - 1000 metri a scendere e altrettanti per risalire. Questo è il motivo per cui il turismo non è ancora arrivato. In cantiere c’è un progetto di teleferica che porti direttamente al sito, ma litigi tra comunità e amministrazione locale hanno bloccato i lavori. L’unica via rimane dunque il tortuoso cammino; e mentre a Machu Picchu decine di migliaia di visitatori affollano quotidianamente le rovine, qui una media di dieci persone al giorno giunge a visitare il santuario, mantenendo sacra e silenziosa l’atmosfera che si respira. Ancora non vi voglio rivelare il suo nome… Prima dobbiamo arrivarci! Siete pronti?
Siamo a Cuzco, punto di partenza del nostro viaggio. Prima di cominciare a camminare bisogna arrangiare un colectivo e arrivare a Capuliyoc, la starting line del trekking. Se non volete spendere una cifra esorbitante sarà meglio trovare qualcuno con cui dividere le spese: il passaggio costa 250 soles (60€) e dura tre ore. Il percorso integrale si snoda per 90km attraverso canyon e passi a 4700m, da Capuliyoc a Machu Picchu, per un totale di otto giorni. In caso contrario ci sono due opzioni: si può arrivare fino al sito e tornare indietro (40km in totale) oppure da Capuliyoc al sito e poi proseguire fino a Collpapampa, un minuscolo centro poblado dove sarà possibile prendere un minibus che coprirà la distanza rimanente verso Machu Picchu; in questo caso, il trekking sarà di 65km. Io ho scelto di fare il percorso lungo, ma al contrario. Venivo da un altro cammino, quello del Salkantay, anch’esso con termine a Machu Picchu; così, una volta arrivatovi, mi sono girato di 180 gradi e sono tornato sui miei passi.
La prima parte è in comune con il trekking del Salkantay, è quella che va da Collpapampa a Machu Picchu. Niente di particolarmente emozionante, si tratta di una lunga ascesa lungo il canyon del fiume Santa Teresa con qualche cascata ad animare la visuale. La pendenza è costante e si sale per un migliaio di metri fino all’imbocco del fiume. La parte interessante ricomincia al centro poblado di Collpapampa.
Ricordate che sto facendo il sentiero inverso, quindi il mio giorno 1 è in realtà il giorno 5 del cammino percorso in senso “classico”. Gli altri due sono quelli per arrivare a Machu Picchu, che qui non descrivo (li trovate in questo articolo). Parto dunque da Collpapampa per la tappa più breve del trekking, appena otto km fino al successivo centro poblado, quello di Totora. Poco più avanti ci sarebbe un accampamento, Hornopampa, ma guadagnerei solo un km a prezzo di una sistemazione meno comoda. A Totora infatti sono riuscito a mettere la tenda nel giardino di una casa e nel giro di mezz’ora ho le gambe distese sotto al tavolo e le mani che avvolgono una tazza di mate bollente. A cena va anche meglio: due piatti di riso chaufa con salsa di soia, uova, pollo ed erba cipollina. La famiglia parla spagnolo (anche se di lingua madre è Quechua) così riusciamo a intavolare una conversazione sulle nostre vite. Loro hanno pascoli e vacche, ma arrotondano prestando ospitalità agli escursionisti. Si lamentano che negli ultimi tempi sono passate poche persone, sia a causa del Covid ma anche e soprattutto perché il cammino non è pubblicizzato. Quando dico loro che ci scriverò un articolo, gli si illuminano gli occhi. Porta gente qui da noi, per favore! Facci conoscere! Non so se per convincermi o semplicemente per gentilezza, tra cena e posto tenda mi chiedono appena 5 soles (1€).
Il giorno 2 mi incammino verso il passo più alto del trekking, l’abra Mariano Llamocca, a 4600 metri. L’ascesa è lunga perché mi fermo diverse volte ad ammirare il paesaggio: ci sono diversi scorci sui ghiacciai che si alzano dalle valli adiacenti ma purtroppo la foschia ne lascia appena indovinare le sagome. È fine aprile e la stagione delle piogge (ottobre - marzo) volge al termine, tuttavia strascichi di umidità si annidano tra le montagne e con le escursioni termiche tra giorno e notte si formano cappe di foschia che tappano i panorami. Rimango amareggiato, dal poco che riesco a intravedere la vista dev’essere superba. Proseguo verso il passo, sono nove km da Totora e 1200 metri di salita. Una volta giunto mi concedo diversi minuti di riposo nella speranza che il cielo si apra su qualche cima innevata. Mangio qualche boccone per ingannare l’attesa però questa volta non sono fortunato, le nubi rimangono lì ad appesantire la mattina. Mi decido a scendere, la strada per Yanama è ancora lunga e nel mezzo non ci sono villaggi. Percorro altri dieci km e torno a quota 3500, la stessa di questa mattina. Il pomeriggio va un po’ meglio e riesco a vedere qualcosa: lungo la discesa il percorso si affianca al massiccio del Saksarayuq, un bestione gigantesco dal quale sgorgano diversi fiotti d’acqua. Il trekking segue la strada sterrata che conduce al pueblo di Yanama, tagliando le curve a serpentina e accorciando la camminata. Una volta giunti c’è l’imbarazzo della scelta: al villaggio sembra che tutti abbiano sistemato il cortile di casa per poterci piantare qualche tenda. Mi dirigo verso il “camping” del fratello di Cindy, la signora che mi ha ospitato ieri. Stavolta non gli dico nulla dell’articolo che sto scrivendo, voglio vedere se mi fa lo stesso prezzo. Casco in piedi: me la cavo con cinque soles anche stavolta! Di fianco al bagno (c’è pure una doccia) un modesto lavabo permette di lavare i vestiti e darmi una sciacquata veloce. L’acqua è gelida e docciarsi a 3500 metri non è in programma. A Yanama c’è anche un negozio microscopico, in caso voleste fare rifornimento di provviste.
Seguo il ritmo del giorno, quindi alle sette sono già in tenda perché fa buio; sono ancora piuttosto vicino all’equatore, il che significa che il sole sorge verso le sei e tramonta grossomodo dodici ore dopo, qualsiasi sia la stagione. Fa strano andare a dormire così presto, mi trovo a fissare il soffitto della tenda aspettando di prendere sonno; ma si dorme bene, c’è un silenzio favoloso e nessun tipo di inquinamento luminoso. L’indomani è la tappa di avvicinamento al sito archeologico che dà il nome al trekking. Mentre macino i primi km ragiono se sia possibile arrivarci già oggi, tuttavia le condizioni meteo mi fanno desistere. Verso le nove si alza una gran nebbia dal fondo della valle, facendo scomparire qualsiasi elemento si trovi a più di dieci metri da me. Intanto è ripartita la salita, stavolta il passo si chiama San Juan e giace a 4150m (3km +600m da Yanama). Cammino sperando che l’altro versante sia libero dalla foschia ma anche stavolta vengo deluso. Scendo la lunghissima parete del canyon scavato dal Rio Bianco e in dieci km mi abbasso di oltre 2000m, con tanto di ringraziamento da parte delle ginocchia. C’è solo un posto per accampare lungo il tragitto, verso i due terzi della discesa, a Maizal. Per il resto del tempo esistono solo il sentiero e la foresta, che si infittisce mano a mano che scendo. Comincia a fare caldo, arrotolo le maniche accorgendomi ben presto che la pelle esposta è diventata il banchetto preferito di decine di zanzare. Quando me l’hanno raccontato, prima di partire, non ci avevo dato molto peso; invece appena mi fermo gli insetti diventano talmente fastidiosi da preferire il caldo soffocante della giacca alle loro punture. Per le gambe è anche peggio, sembra che i zancudos abbiano un amore incondizionato per le mie caviglie. A distanza di due settimane (non scherzo) si notano ancora i segni lasciati dai loro baci. Il tracciato è privo di qualsiasi tipo di indicazione e ogni tanto si perde in giri che allungano la camminata. Alla fine mi ci vogliono quattro ore per scendere la parete e arrivare al guado del fiume. Riempio la borraccia - questo è l’unico punto acqua di tutta la giornata - e risalgo una ripida costa, su e su per altri tre km fino alle rovine di Pinchaunuyoc, una serie di terrazzamenti inca in cui una manciata di cavalli ha stabilito la propria dimora. C’è giusto uno spiazzo per piantare la tenda e crollare addormentato: oggi ho macinato 3000 metri di dislivello. Niente acqua, nessuna persona. L’alternativa sarebbe stata piantare la tenda in un piccolo spazio nei pressi del fiume, tuttavia in cambio dell’acqua sarei stato divorato vivo dalle zanzare.
Giorno 4, finalmente! Oggi si arriva al sito. L’ultimo passo del trekking è l’abra Choquequirao a 3300m, 3.5 km da dove mi trovo e 6 dal fondo della valle, dove scorre il Rio Blanco. Da lì al sito sono venti minuti di morbida discesa. Attenzione perché non c’è acqua in questa sezione e nemmeno al sito troverete rifornimento. Per bere dovrete proseguire per qualche altro km fino a trovare le prime cascatelle, oppure fino al villaggio di Marampata, 4km dal sito. Il tratto senza rifornimento d’acqua è dunque lungo 11km (Rio Blanco - Marampata) e siccome fa piuttosto caldo (siamo intorno ai 3000m) è bene portare una riserva extra di acqua per questo tratto. Dopo tutta questa fatica, non vorrete affrettare la visita! Intanto sono finalmente arrivato all’entrata (il gate è aperto dalle sette di mattina alle cinque di pomeriggio) ma non c’è nessuno. Proseguo per qualche centinaio di metri e mi trovo a camminare su un terrazzamento con i bordi in pietra e l’erba tagliata. Salgo di qualche livello e intravedo quella che potrebbe essere la cittadella, in fondo alla visuale. Mentre mi ci dirigo, appare una sagoma sulla sommità della collina: è il guardiano e con un grido mi fa cenno di avanzare da quella parte. La sua accoglienza è quasi calorosa. Ha un gran sorriso stampato in faccia e quando siamo a portata di voce mi dice “Complimenti. Benvenuto al fratello maggiore di Machu Picchu. Benvenuto al Choquequirao”
Choquequirao è un sito inca scoperto nel 1972, simile per struttura e architettura a Machu Picchu ma molto più grande. Il complesso risale al XV secolo e si estende attorno a una collina la cui cima è stata livellata artificialmente a formare una piattaforma dalla quale è possibile ammirare Choquequirao nel suo immortale splendore. Si presume fosse un centro amministrativo, con case della élite inca, magazzini per lo stoccaggio di provviste e naturalmente templi per le divinità. L’architettura è fortemente permeata da trame religiose, con luoghi dedicati al Inti (il dio-sole, la divinità più importante), la Pachamama (madre terra), l’acqua, gli antenati e altri dei. Un esempio sono i bellissimi terrazzamenti scavati nella parete della collina e usati per coltivare mais, patate, cebada e yuca. Sulle pareti sono incastonati dei llama, disegnati usando pietre bianche su uno sfondo più scuro. Gli animali hanno il volto rivolto verso il sorgere del sole, come a darne il benvenuto in nome del raccolto che custodiscono.
Il sito ruota attorno a una piazza principale ed è diviso in ben dodici sezioni (!). Per visitarle tutte vi ci vorranno diverse ore ma il bello è che nessuno vi correrà dietro. Niente code, niente foto affollate di gente e niente rumore, è come se avessero riscoperto questa meraviglia qualche giorno fa e voi foste i primi a entrarci. Essere in questo santuario prima che il turismo lo rovini è un privilegio unico, conquistato con il sudore del cammino di questi giorni. Machu Picchu è scenografico e la sua figura è impressionante ma quando ci sono stato non ho sentito la stessa emozione che avverto guardando Choquequirao dall’alto della collina che domina il complesso. In cuor mio spero che la teleferica per arrivarci non venga mai costruita e lasci a chi ha voglia di raggiungerlo la possibilità di goderselo in tutto il suo splendore intatto. É come fosse l’ultimo baluardo Inca nascosto al turismo di massa e la sua storia odierna va di pari passo con quella più antica: fu qui infatti che si rifugiò il Figlio del Sole, il sovrano Inca Manco Yupanqui, dopo che il suo assedio per riprendere Cuzco agli Spagnoli fallì. Oggi come allora Choquequirao è un sito per pochi, in fuga dal caos e dai tumulti di gente.
Dedico alla visita un’intera mattinata poi la sete, purtroppo, mi richiama alla realtà. Scendo verso Marampata, il primo villaggio dopo il sito, pranzo, e continuo a camminare fino a Chiquisca, un piccolo accampamento dove passo la notte. Se mi fossi organizzato meglio avrei potuto persino accampare al Choquequirao, c’è un accampamento appena fuori dal complesso archeologico - basta essere muniti di tenda. Prima di terminare la lunga giornata percorro l’ultimo saliscendi, il canyon disegnato dal Rio Apurimac in milioni di anni. Stavolta sono 1400m a scendere e 400 a salire per un complessivo di 8km da Marampata, il pueblo subito dopo Choquequirao, a Chiquisca.
Il quinto giorno termino il cammino ultimando la salita iniziata ieri: 7km e 1000 metri di dislivello chiudono il trekking di Choquequirao suggellando l’arrivo a Capuliyoc, dove mi concedo qualche barretta di cioccolata presso l’unico negozio del posto. Ho finito di camminare, per ora. Ma so che un giorno tornerò a vedere cosa è rimasto dell’aura magica di Choquequirao, il fratello maggiore di Machu Picchu.
di Nicolò Guarrera
Link: IG Nicolò Guarrera, Ferrino