Giornalismo, educazione e valanghe: 10 cose da sapere. Di Giulio Caresio
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Pomeriggio introduttivo e serata di benvenuto, poi mattinata successiva sulla neve suddivisi tra gruppi freeride, scialpinismo e ciaspole, e infine pomeriggio in sala conferenze: una giornata e mezza che ha permesso ai giornalisti di toccare con mano la professionalità delle guide alpine (in Italia sono circa 1200) e alle guide stesse di fornire ai giornalisti molti spunti e informazioni.
Si è partiti dalla pratica: la preparazione dei materiali per un’uscita e il check funzionamento artva, ma anche le valutazioni sul campo del manto nevoso tra canali, pendii e cornici, per afferrare la complessità delle situazioni, le influenze degli agenti atmosferici (come il vento) e l’importanza su certi terreni e in certe condizioni di muoversi con un professionista ben preparato a leggere i segnali del territorio.
Per arrivare alla teoria, rimasta su piano molto concreto grazie all’intervento di Alfredo Praolini dell’Arpa Lombardia, e poi a quello illuminante e denso di informazioni di Fabiano Monti, maestro di snowboard e ricercatore in Scienze Ambientali per Università dell’Insubria che lavora al progetto "Freeride Livigno - Feel the powder".
Non sono ovviamente mancati i momenti ludici e conviviali, dalla cena di benvenuto alle birre "late night", che al solito forniscono irrinunciabili occasioni meno formali di confrontarsi.
Un grazie di cuore a tutte le persone che si sono spese per organizzare queste due giornate (e in particolare all’entusiasmo contagioso di Giuliano Bordoni e Alberto Marazzi di Whiteline che hanno guidato il gruppo freeride in cui mi trovavo), perché da incontri come questo si torna a casa felici e carichi di nuove energie, e con alcune consapevolezze assolutamente da condividere:
1) Le guide non sono né maestri di montagna estrema, né accompagnatori per timorosi. Nel pubblico sono piuttosto diffuse due convinzioni opposte, da sfatare entrambe, e chi scrive o comunica di montagna è importante che lo sappia.
Da un lato si pensa che le guide siano da interpellare solo se il nostro livello tecnico è molto elevato, in pratica se desideriamo cercare l’estremo, e non semplicemente imparare o farci guidare in situazioni più "normali". Sbagliato, le guide sono dei formatori e come tali si adattano volentieri al livello delle persone che accompagnano, sono felici di lavorare e spesso hanno grande disponibilità.
Dall’altro chi già si muove abbastanza bene in montagna, ma non è un professionista, concepisce il rivolgersi alla guida come un atto di codardia o, meglio, ammissione di non capacità. Anche questa percezione è completamene sbagliata: talvolta sono gli stessi atleti di punta a consultarsi e farsi accompagnare dalle migliori guide alpine locali. L’umiltà è segno di intelligenza, di preparazione, di bravura, e non del contrario.
2) La neve è molto disomogenea e difficile da leggere anche per un occhio esperto ed è altrettanto complicato quindi prevederne il comportamento: la cautela è d’obbligo. Persino in Antartide - come ci ha mostrato Fabiano Monti - dove il manto è quanto mai omogeneo alla vista, un’analisi più dettagliata (radiometrica e tramite foto all’infrarosso) compiuta a fine 2012 presso la base italo-francese di Concordia (sito Dome C, 3233 m) lungo una trincea di 20 metri di lunghezza e 2 metri di altezza ha messo in luce ampie variabilità di densità, tipologia dei cristalli, ecc… sia stratigrafiche (ovvero verticali) che laterali (ovvero orizzontali). È quindi ovvio che essendo i fenomeni di distacco strettamente legati a tali discontinuità, sia molto difficile prevederli, ancor più nelle Alpi la cui morfologia e il cui clima risultano assai più complessi e variegati.
3) Esperienza e conoscenza del luogo sono fondamentali: il fatto che nella mattinata passata insieme sulla neve le stesse guide ascoltassero con molta attenzione i pareri dei colleghi di Madesimo, la dice lunga sull’importanza dell’esperienza specifica di un luogo. Quando vivi o frequenti versanti e pendii di una stazione quasi tutti i giorni sai bene con quali condizioni possa scaricare più facilmente, le eventuali dimensioni delle valanghe, ecc… Non abbiate quindi timore o reticenza e in caso di anche minimo dubbio rivolgetevi alle guide alpine locali per chiedere loro un parere sulle vostre escursioni.
4) Il grado di pericolo è una stima e non una misura. Chi si sia sporcato le meningi con un po’ di scienza, conosce bene l’utilità ma al tempo stesso i limiti di entrambe.
Gran parte della scienza della neve si basa su stime derivanti dall’analisi dei profili della neve e prove empiriche di stabilità. A differenza di una misura, che è un valore oggettivo (a meno di un errore) riferito a un parametro, una stima è un valore indicativo (parzialmente soggettivo) che può essere influenzato dall’interpretazione dell’osservatore. Da queste stime si deriva il grado di pericolo valanghe che è l’indicazione della probabilità che si verifichi una valanga, espressa tramite la relativa scala europea che va dall’1 (debole) al 5 (molto forte) ed è solo l’apice accessibile a tutti di una piramide di informazioni che ritroviamo all’interno del bollettino stesso (in ultimo anche alcune misure disponibili). Con un po’ di esperienza e buona volontà possiamo imparare a leggerlo più accuratamente.
5) Assestamento, consolidamento e sovraccarico: tre concetti da sapere per leggere al meglio bollettino e territorio. L’assestamento del manto nevoso si riferisce alla sua riduzione di volume, mentre più importante per la stabilità è il consolidamento che ritroviamo spesso sul bollettino e si riferisce alla forza dei legami tra gli strati differenti di neve. Infine la probabilità di distacco di una valanga al nostro passaggio è spesso legata al sovraccarico (ovvero l’aggiunta di carico da "sopportare") che costituiamo per il pendio in questione. Saranno sovraccarichi forti: due o più sciatori o snowboarder che non rispettino le distanze opportune, un mezzo battipista, un’esplosione, ecc… Saranno invece sovraccarichi deboli: sciatori e snowboarder che disegnino linee pulite senza cadere (singoli o in gruppi che rispettano le distanze opportune), un escursionista "delicato", ecc..
Il discorso sulle distanze da tenere dal compagno è complesso: è bene ricordare che esistono quella di "alleggerimento" (per non sovraccaricare appunto) che è di minimo 10 m in salita e deve essere maggiore in discesa, e quella di "sicurezza" per evitare di scontrarsi o essere coinvolti insieme in una valanga che può essere anche molto ampia: sui pendii a rischio meglio procedere uno per volta da un punto relativamente sicuro a un altro punto relativamente sicuro.
Per non aumentare le probabilità di distacco è sempre bene inoltre ricordarsi di evitare il più possibile i tagli trasversali di un pendio, optando per tracce lineari, o a curve dolci e non troppo ampie, che seguano le linee di massima pendenza.
6) In Italia oltre l’80% degli incidenti in valanga avviene con pericolo 2 e 3 (rispettivamente 24,4% e 59,4% nel 2012 secondo i dati del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico). Dobbiamo smetterla di scrivere che le persone muoiono solo con indice di pericolo elevato (sopra il grado 4 per intenderci), perché oltre a non essere vero, cosa ben più grave, è un modo per inviare al pubblico un messaggio indiretto estremamente sbagliato: "con grado inferiore al 4, stai tranquillo, puoi fare ciò che vuoi".
7) Molti incidenti avvengono a causa di piccole e medie valanghe, ben più puntuali e difficili da prevedere dei grandi distacchi catastrofici che spesso vengono maggiormente mediatizzati e che oggi sono anche relativamente più prevedibili e quindi meno pericolosi di un tempo.
8) Il grado 3 non significa pericolo medio: anche se si colloca a metà della scala, sottolinea un pericolo marcato che richiede la massima attenzione e cautela da parte di chi si avventura sulla neve. Teniamo infatti presente che il bollettino valanghe è fatto per un’utenza eterogenea e quindi anche per chi resta a casa o si muove sulle strade che con il grado 3 non corre particolari rischi. Il grado 4 indica condizioni di pericolo che possono coinvolgere le vie di comunicazione e il grado 5 può anche prevedere l’evacuazione delle abitazioni (in casi di elevata criticità quindi questi due livelli presuppongono l’allerta della Protezione Civile).
Peraltro anche il grado 1 non significa sicurezza totale, motivo per cui non siamo mai autorizzati ad abbassare la guardia: quando siamo in ambiente naturale e non protetto sono sempre fondamentali una buona preparazione e la conoscenza delle tecniche di autosoccorso.
9) A.S.P. non è una sigla qualsiasi, definisce i tre strumenti Artva, Sonda e Pala che tutti dovremmo sapere usare se ci inoltriamo fuori dal battuto. Sono questi tre strumenti e la cultura del loro utilizzo che spiegano 3 ottimi risultati (vedi grafici) che in Svizzera di recente alcuni studi hanno messo in luce:
a) pur essendo aumentato drasticamente il numero di valanghe che coinvolgono persone (un dato che è sicuramente correlato all’aumento delle persone che vanno in montagna) il tasso di infortuni gravi da valanga sembra in calo negli ultimi anni;
b) nonostante il sopracitato aumento, il numero medio annuale di morti per valanga negli ultimi 20 anni è addirittura diminuito rispetto a quello calcolabile sull’intero intervallo dei dati disponibili: 76 anni;
c) il tempo medio calcolato dell’autosoccorso è notevolmente minore rispetto a quello del soccorso alpino tradizionale, e per questo ha molte più chance di andare a buon fine.
10) Dobbiamo diffondere progetti educativi, come "Freeride Livigno - Feel the powder", che vanno incontro alla domanda di freeride - comunque in crescita sulle nostre montagne - creando però la giusta consapevolezza del pericolo: bollettino nivologico locale tutte le mattine (lo trovate qui: www.livigno.eu), incontri formativi ogni domenica pomeriggio, prezzo unico di affitto del kit autosoccorso, ecc…
Per concludere due interrogativi e una citazione.
Ma siamo sicuri che si muoia così tanto per causa valanghe in montagna?
In questa stagione di sicuro le morti sono state molte (ad oggi in Italia 12 persone), e speriamo davvero che la dolorosa lista si arresti qui. Tuttavia guardando ai dati stupisce rilevare che gli incidenti causati da valanga in cui sia intervenuto il Soccorso Alpino nel 2012 rappresentino appena lo 0,67% del totale (dati CNSAS).
Manca però, nei dati che ho a disposizione, la possibilità di correlare queste percentuali con quella dei decessi, correlazione che sarebbe molto utile a capire meglio la situazione. È sicuro che negli incidenti la facciano da padrone le cadute (31,5%) fenomeno trasversale a tutte le discipline estive e invernali. Ma è altrettanto certo che le cadute, se non eclatanti, non facciano notizia.
Come ci si può regolare per i divieti, quando sono opportuni?
Una cosa è certa: se i divieti non rispondono a un criterio di senso collettivo sono controproducenti e alimentano fortemente la trasgressione. È ciò che accade su alcune strade cittadine il cui limite della velocità rimane fissato a 50 km/h, ma il risultato è che il 95% delle vetture viaggia sopra i 70 km/h, peraltro senza grandi differenze di rischio. Credo che un divieto generalizzato del fuoripista produrrebbe simili risultati. Viceversa un divieto puntuale, nello spazio e nel tempo, ove e quando opportuno, può aver senso per scongiurare episodi ad alto rischio per la collettività (tenendo però sempre presente il rischio opposto, quello di abbassare la percezione del pericolo quando il divieto verrà rimosso o quando si sceglierà di non adottarlo).
Tra l’altro il divario tra regola collettiva e percezione sociale del problema è proprio ciò che accade per le valanghe in tema di responsabilità: a fronte di un’elevata responsabilità legale civile e penale (con possibilità di arrivare persino al reato penale di strage) corrisponde una bassa percezione nella responsabilità collettiva di chi frequenta i pendii innevati. Motivo in più per dire: regole sensate e soprattutto cultura.
Infine una citazione di Warren Miller, grande filmmaker americano di sci e snowboard - con cui si apre tra l’altro il capitolo sulla sicurezza del bel libro sul freeride di Martino Colonna (ed. Hoepli) - che è più che altro un’esortazione la cui validità in ogni situazione giornalistica e/o montana è stata ampiamente confermata da questa occasione di formazione: "usa il cervello, è la parte più importante del tuo equipaggiamento".
di Giulio Caresio
Bibliografia essenziale
- Il Soccorso Alpino Speleococcorso - Notizie CNSAS - febbraio 2013, n.1 (55)
- Techel, F. and Zweifel, B., 2013. Recreational avalanche accidents in Switzerland: Trends and patterns with an emphasis on burial, rescue methods and avalanche danger. In: F. Naaim-Bouvet, Y. Durand and R. Lambert (Editors), Proceedings ISSW 2013. International Snow Science Workshop, Grenoble, France, 7-11 October 2013. ANENA, IRSTEA, Météo-France, Grenoble, France, pp. 1106-1112.
- Zweifel, B., Techel, F. and Björk, C., 2012. Who is involved in avalanche accidents? In: International Snow Science Workshop 2012, Proceedings. September 17-21, 2012. Anchorage AK, U.S.A., pp. 234-239.
29/01/2014 -
Torniamo a sorridere dicendo freeride. Di Giulio Caresio
Prendendo spunto della tappa di Courmayeur dello Swatch Freeride World Tour by The North Face, Giulio Caresio esplora il mondo freeride intervistando Nicolas Hale-Woods.