Nadir Maguet - Maneggiare la velocità con cura

A Sestriere con La Sportiva e Nadir Maguet per provare i nuovi scarponi da scialpinismo Kilo. Di Federico Ravassard.

Sino a qualche anno fa, Nadir Maguet lo si sarebbe semplicemente definito un atleta, un corridore. Perché quello che ha sempre fatto è stato mettersi un pettorale addosso. Poi, poco alla volta, ha iniziato a portare in alta montagna quello che aveva imparato a fare sui campi di gara. Sotto le scarpe sono comparsi un paio di ramponi, i bastoncini sono stati sostituiti da una piccozza. Si è impratichito nel loro uso, grazie ad un maestro come François Cazzanelli, e ha iniziato ad andare forte, come sulle Grandes Jorasses, l’Ortles o il Bernina, montagne di cui detiene il Fastest Known Time. Per il nuovo capitolo, ancora work-in-progress, è arrivata l’iscrizione al corso guide valdostano, un paragrafo professionale da scrivere in parallelo a quello di atleta.

Sembra strano a dirlo, ma per imparare a maneggiare la velocità bisogna procedere con calma: combinare insieme tutta una serie di componenti, tecniche e mentali, per far sì che ogni piccolo dettaglio si traduca in un vantaggio pratico. La stessa operazione che ha svolto il team R&D di La Sportiva per tirare fuori dal cappello Kilo, il nuovo scarpone da light-touring di cui Nadir è stato uno dei tester nella fase finale. Un progetto completamente nuovo, in cui il marchio di Ziano ha voluto rimarcare un’idea di design volta a semplificare un oggetto per renderlo amico all’utilizzatore: meno chiacchiere, meno costruzioni astruse e leveraggi esotici, più praticità quando si è sulla neve.

Proprio in occasione della sua presentazione, al The Pill Basecamp di Sestriere, ho avuto modo di condividere un’uscita sulle pelli con Nadir e i product manager dell’azienda trentina, chiacchierando di alpinismo e attrezzatura, trovando analogie che danno l’idea di come la collaborazione tra atleta e azienda possa andare al di là della firma di un contratto o un logo da indossare.

Prima di tutto c’è l’idea di performance umana: se in La Sportiva si denota dal focus sulle attività a piedi, svincolate dagli impianti di risalita, nell’alpinismo di Nadir è parte di una prerogativa fondamentale figlia dagli anni passati a correre in montagna. Mi spiega come, secondo lui, l’agonista conosca meglio il suo corpo e riesca a spremerlo quando si tratta di stringere i denti e soffrire; qualcosa che il normale alpinista fatica maggiormente ad accettare. C’è una struttura alla base, che può essere il "motore" forgiato dagli allenamenti oppure, come nel caso del Kilo, il progetto di uno scafo nuovo, in cui, dopo aver ridotto il più possibile i materiali (Grilamid Bio-sourced, per i più pignoli), si è proceduto a rinforzare le nervature attraverso cui vengono trasmessi gli impulsi dal piede allo sci.

Il comfort, che per un alpinista significa essere consapevole delle proprie capacità, ma anche dei propri limiti, per Nadir si traduce, ad esempio, nell’esprimersi in velocità su itinerari di media tecnicità, quelle che per i comuni mortali sono le grandi classiche dell’alpinismo: l’Innominata al Bianco oppure la Cresta del Leone sul Cervino. Su di uno scarpone, il tutto si conduce a tanti piccoli accorgimenti che spesso ne rendono l’utilizzo più immediato: il gambetto del Kilo, ad esempio, è in grado di ribaltarsi di 90° all’indietro per facilitarne la calzata, pressoché al livello di una normale scarpa da passeggio. La chiusura, invece, è delegata a semplicissime leve con cremagliera, al posto di sistemi più elaborati come rotori o fasce a cricchetto, sicuramente più tecnologici ma non sempre funzionali allo scopo. Hanno la particolarità di essere costruite in tecnopolimero, anziché in lega metallica: una scelta motivata dal peso ma anche dal fatto di poter lavorare su una migliore ergonomia. La calzata, poi, è avvolgente ma non costrittiva: l’idea alla base era di progettare uno scarpone che potesse essere tenuto nei piedi per parecchie ore (e migliaia di metri di dislivello) senza punti di pressione, nell’ottica di un utilizzo votato alle salite in velocità, qualche gara ma anche lunghe gite in ambiente.

Vedere Nadir spostarsi sulla neve è sintesi di estrema naturalezza, come se gli sci fossero un’estensione delle sue gambe. Gli faccio qualche domanda sul corso guide, sulla polivalenza richiesta per prenderne parte. Con un sorriso che lo rende quasi umano, mi racconta delle sue difficoltà nell’arrampicata, una disciplina che richiede una gestualità ben differente rispetto a quanto ha fatto finora nella sua carriera da atleta. Il cambio d’assetto in cima alla salita è veloce ma non affrettato, con una serie di movimenti che potrebbe eseguire ad occhi chiusi, come effettivamente gli è dovuto in gara. Le prime curve col Kilo ai piedi le eseguo con tranquillità, voglio prendere confidenza con un prodotto che solitamente non apprezzo, in quanto utilizzatore di calzature più pesanti e strutturate. Poi, inaspettatamente, inizio a prenderci gusto: il gambetto e lo scafo si deformano "nel modo giusto", senza cedere inaspettatamente e senza nemmeno “murare”, quello che dei buoni scarponi devono fare: lasciare che le forze in gioco li facciano flettere, per poi restituire a chi ci sta sopra una reazione elastica.

A metà discesa Stefano Frati, product marketing manager di La Sportiva, mi chiede come stia andando. Ridacchio, rispondendogli “pensavo peggio”. Perché se sei uno sciatore, sai che quello dello scarpone da un chilo è un progetto critico, dove la difficoltà non sta tanto nel renderlo efficiente in salita, caratteristica intrinseca nella tipologia del prodotto, ma nel renderlo efficiente e non penalizzante in tutte le altre situazioni, a partire dalla discesa. Bastano pochi errori, insomma, per trasformarlo in qualcosa di inutilizzabile: una struttura che possa spanciare eccessivamente alla più piccola sollecitazione, delle leve scomode e dolorose da maneggiare, una scarpetta così magra da sentire le borchie sfregare sui malleoli. Bisogna eliminare il superfluo e allo stesso tempo capire cosa e quanto lasciare, come quando si prepara il materiale per una salita alpinistica in velocità, consci dei limiti del materiale che si è deciso di avere con sé.

Questo gioco è stato fatto con il Kilo: su una nuova piattaforma, che diventerà la base di altri progetti per le prossime stagioni, tutto è stato alleggerito ma non troppo, senza sacrificare la funzionalità per una cinquantina di grammi in meno. Uno scarpone leggero che in discesa non fa rimpiangere la scelta fatta, tanto che lo scialpinista "normale", non il garista o il freerider, potrebbe decisamente farci un pensiero per la primavera, la stagione delle gite lunghe, della neve trasformata da sciare con gentilezza e delle giornate "grandi", che cominciano prima dell’alba e che verranno ricordate anche negli anni successivi, come quelle che Nadir potrà raccontare ai suoi futuri allievi.

di Federico Ravassard

Info: www.lasportiva.com




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