Primo Levi, 100 anni per non dimenticare

Un ricordo di Primo Levi, grande uomo, chimico, scrittore, testimone dei lager nazisti, amante della montagna e alpinista, a cento anni dalla nascita.
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Lo scrittore, partigiano e chimico italiano Primo Levi
archivio Eredi Primo Levi

100 anni dalla nascita di Primo Levi. Sembra un tempo indicibile. Anzi, un'enormità, in tutti i sensi. Non solo perché ora nulla sembra uguale a prima, ma anche e soprattutto perché tutto pare dimenticato. Tanto che, a volte, può sembrare che tutto sia stato, e tuttora sia, inutile. Anzi, che tutto possa ritornare come prima, senza speranza. Eppure basta riprendere in mano ciò che Primo Levi ci ha lasciato. Basta riprendere in mano i suoi libri, per capire l'infinita, profonda testimonianza che ci ha donato. Per intuire quanto il suo fosse un atto di amore e insieme di dolore e di stupore di fronte all'umanità e a se stesso. E quanto profonda fosse la sua sensibilità e umanità unita ad un'immensa capacità di raccontare e mostrare il mondo e l'uomo in tutte le sue dimensioni, con una schiettezza e profondità - e poesia - che raramente si ha modo di incontrare.

Il chimico, il partigiano, il testimone di Auschwitz, lo scrittore e anche l'appassionato di montagna e d'avventura, Primo Levi è un compagno di viaggio che ci ha accompagnati fin da ragazzi. "Se questo è un uomo" e "La tregua", i suoi assoluti classici. Il capolavoro de “I sommersi e i salvati”, imprescindibile per capire le profondità dell'abisso in cui l'uomo può cadere. Lo straordinario “La chiave a stella”. E poi “Il sistema periodico”, un libro rivelazione. Anche perché – come già ricordavamo nel 30° anniversario della scomparsa di Levi – è lì che Primo Levi racconta il suo amore per le montagne eper l'alpinismo. Ed è lì che, nel capitolo “Ferro”, ricorda il suo compagno di università e di scalate Sandro Delmastro, alpinista e partigiano, ucciso dai fascisti nell'aprile 1944.

Così Primo Levi descrive Sandro e il suo alpinismo ne "Il sistema periodico": “Poteva camminare due giorni senza mangiare, o mangiare insieme tre pasti e poi partire. Per lui, tutte le stagioni erano buone. D’inverno a sciare, ma non nelle stazioni attrezzate e mondane, che lui fuggiva con scherno laconico: troppo poveri per comperarci le pelli di foca per le salite, mi aveva mostrato come ci si cuciono i teli di canapa ruvida, strumenti spartani che assorbono l’acqua e poi gelano come merluzzi, e in discesa bisogna legarseli intorno alla vita. Mi trascinava in estenuanti cavalcate nella neve fresca, lontano da ogni traccia umana, seguendo itinerari che sembrava intuire come un selvaggio. D’estate, di rifugio in rifugio, ad ubriacarci di sole, di fatica e di vento, ed a limarci la pelle dei polpastrelli su roccia mai prima toccata da mano d’uomo: ma non sulle cime famose, né alla ricerca dell’impresa memorabile; di questo non gli importava proprio niente. Gli importava conoscere i suoi limiti, misurarsi e migliorarsi; più oscuramente, sentiva il bisogno di prepararsi (e di prepararmi) per un avvenire di ferro, di mese in mese più vicino.”

Quel “sentiva il bisogno di prepararsi (e di prepararmi) per un avvenire di ferro” si collega direttamente al destino dei due. E riporta anche ad un valore della montagna e della natura più grande spesso (vanamente) inseguito dall'alpinismo moderno. Anche per questo resta immortale ciò che Primo Levi ci ha donato. Non può essere dimenticato. Come assolutamente non può e non deve essere mai dimenticato l'orrore che ha subito insieme a milioni di altre persone. Deve restare un assoluto monito, per sempre. Perché a Primo Levi e a quella moltitudine di uomini e donne noi tutti dobbiamo qualcosa.

>> Ferro, Il sistema periodico, Primo Levi

>> Gli ultimi giorni di Primo Levi - Il Post

http://centrostudi.primolevi.it




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