Roberto Vigiani: l'arrampicata, l'apertura e la chiodatura delle vie

Con la Guida alpina Roberto Vigiani, uno dei più competenti, prolifici e attiviti arrampicatori e chiodatori italiani, continua la serie di interviste di Maurizio Oviglia per esplorare il mondo e le idee dei chiodatori di arrampicata sportiva.
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Apertura dal basso con il trapano ‘Verso il mondo’, Apuane
archivio Roberto Vigiani
Roberto Vigiani è nato a La Spezia alla fine del 1961. Ha legato il suo nome a molte vie importanti, sia tradizionali che sportive, aprendo tra le altre la celeberrima Hotel Supramonte in Sardegna, in coppia con Rolando Larcher. Arrampicatore di alto livello, da sempre attrezzatore di siti di arrampicata sportiva, sue sono numerose falesie nei dintorni di Camaiore, Lunigiana, Garfagnana, Muzzerone, Sardegna. Ha viaggiato in tutto il mondo e svolge professione di Guida Alpina. Fa parte della Commissione Tecnica del Collegio Guide Alpine ed è stata la prima guida ad organizzare un corso per chiodatori di falesie in Italia.

Roberto, intervistando vari chiodatori di diversi paesi e associazioni stiamo cercando, con l’aiuto di PlanetMountain.com, di fare un po’ di chiarezza in questo mondo quasi un po’ “underground” dei chiodatori di arrampicata sportiva. Tu sei da sempre uno dei maggiori chiodatori italiani, ma dopo quasi 30 anni di attività hai ancora voglia di spenderti in favore della comunità “rampicante”. Cos’è, passione, necessità o soffri come me di iperattività?
Per dirti la verità ho superato i 40 anni di attività e non ho più tanta voglia di spendermi per la comunità o di fare crociate per sostenere le mie tesi o ideali di arrampicata, forse è l’età, una volta ero molto più combattivo e determinato nel sostenere le mie convinzioni e mi infervoravo in discussioni eterne sostenendo i miei punti di vista in maniera ferrea. Ora ho capito e mi sono convinto che ognuno parte dai propri punti di vista o convinzioni, li sostiene e difficilmente accetta i consigli di altri. In fondo siamo tutti alpinisti e di conseguenza individualisti e poco umili, crediamo che gli altri abbiano poco da insegnarci mentre in realtà c’è sempre qualcosa da imparare. Questo l’ho appreso a mie spese anche nelle cose in cui mi ritenevo un esperto e pensavo che veramente poco avessi da imparare. Certo la passione c’è ancora e anche l’iperattività non manca, ma il fisico ha già iniziato da tempo a presentare il conto; per cui devo mediare, la mente andrebbe sempre avanti, ma il fisico non lo permette più di tanto. Comunque la cosa eccezionale della nostra mente è che ci fa pensare sempre in positivo e ci fa credere che il “grande giorno” debba ancora arrivare, anche se abbiamo 90 anni... questa è la bellezza della vita!

Da tanti anni svolgi attivamente la professione di guida alpina, ma prima di sentire qual è la posizione delle guide a riguardo, vorremmo sapere se tu personalmente sei a favore di una regolamentazione della chiodatura nelle falesie italiane, ovvero a stilare delle regole che di fatto creerebbero una classificazione delle falesie.
Le regole fanno parte di tutti gli sport che meritano questo appellativo, l’arrampicata si è sempre sentita al di sopra delle altre attività perchè richiede una moltitudine di attitudini e la materia su cui ci muoviamo ha una varietà che non si riscontra in quasi nessun’altra. Se parliamo di libertà in arrampicata e in montagna in generale, io sono il primo ad essere allergico alle regole e ai divieti, ma in arrampicata sportiva, cioè nelle falesie, il pericolo ha poco senso perché lo scopo è superare le difficolta e non rischiare di farsi del male. Perché usare chiodi, corde, moschettoni che tengono 2000 kg e poi mettere i chiodi a distanze sbagliate che, in caso di caduta, ci facciano far male? Se si vuol rischiare in montagna non c’è che l’imbarazzo della scelta, l’arrampicata e l’alpinismo sono ancora sinonimo di avventura e per trovarla non servono neanche grandi pareti, basta un po' di fantasia, salire dal basso e accettare di mettersi in gioco con i minori mezzi tecnici possibili. Detto questo io sono a favore di una regolamentazione per i siti sportivi, mantenendo una giusta via di mezzo tra la sicurezza e la fluidità della scalata senza eccedere in chiodature “ascellari”.

Da qualche anno le amministrazioni pubbliche si sono incaricate di finanziare la richiodatura di settori storici di arrampicata. Questo lavoro, spesso, è stato affidato di preferenza a guide alpine quali unici professionisti nel campo dell’arrampicata. Ritieni sia giusto che sia così o sarebbe meglio creare, prima o poi, una figura di chiodatore patentato come ad esempio c’è in Francia?
Intanto questo voler essere come i Francesi non mi piace per niente... che facciano ciò che vogliono, noi siamo italiani e come tali è giusto che ci comportiamo. Da noi non esiste e penso esisterà mai una figura del “chiodatore professionista” perché nessuno ha interesse a crearlo, il Ministero del Lavoro ha ben altri problemi. Le Guide Alpine sono gli unici professionisti della montagna finora riconosciuti e come tali è giusto che le amministrazioni locali, che decidono di sovvenzionare degli impianti sportivi d’arrampicata (perchè così devono essere chiamati), si affidino a dei professionisti che possano certificare il lavoro fatto e manlevare le stesse da responsabilità in caso di incidenti dovuti ad errori di chiodatura o cedimento di ancoraggi.

Ho sentito che le guide alpine si stanno muovendo per prime a questo riguardo, puoi anticiparci qualcosa di ufficiale se puoi parlare a nome del Collegio?
Io faccio parte della Commissione Tecnica Nazionale e sono uno dei maggiori sostenitori della causa che all’interno delle guide si debbano creare delle figure specializzate per l’attrezzatura dei siti naturali di arrampicata. Chi meglio di noi professionisti può dettare delle regole che riguardino sicurezza, rispetto etico e della montagna? Noi di montagna ci viviamo e non vogliamo che tutto diventi banale e alla portata di tutti ma nello stesso tempo pensiamo che con un po' di buon senso si possa raggiungere una “via di mezzo” che nella vita è sempre la strada migliore da percorrere.

Gli scorsi anni sei stato il primo a promuovere un corso per chiodatori, ci puoi dire di che si tratta e quali sono i suoi obiettivi? E’ stata un’esperienza positiva? Che tipo di formazione avete dato agli allievi?
Si è trattato di un primo tentativo di insegnare quell’arte di “Chiodatore” che sembra così banale ma che richiede una moltitudine di capacità. Se devo dirti la verità c’è stato più riscontro da parte di chiodatori principianti che di quelli esperti. Alcuni di loro mi hanno chiamato, ma la presunzione di non aver niente da imparare e il costo li ha fatti desistere dal partecipare. Il Corso lo abbiamo organizzato io e Stefano Perrone e ci siamo fatti carico anche del lavoro di scrivere un manuale tecnico che riguarda tutti gli aspetti della chiodatura: dalle rocce, ai materiali, alla distanza delle chiodatura, alla sicurezza e alle regole da rispettare rispetto alla natura dei siti. Alcune cose però non si possono scrivere: riattrezzare una via è un conto, vedere una linea nuova e attrezzarla comporta capacità poco insegnabili. L’arte difficilmente si spiega mentre facilmente si apprende con la pratica assidua...

Con la rottura di alcuni ancoraggi inox in zone marine, molto frequentate dai turisti, si è profilato all’orizzonte un nuovo e complesso problema. Si può garantire una sufficiente sicurezza in zone definite sportive quali Kalymnos, San Vito lo Capo o Cala Gonone che sollevi il Comune (ma anche i chiodatori) da eventuali responsabilità negli incidenti?
Ho seguito con interesse i vari fatti successi e i dibattiti successivi tra gli “esperti” e devo dirti che fino a prima di queste rotture scalavo sugli spit più sereno! Ho messo degli spit roc da 8 mm non inox più di 30 anni fa vicino al mare e ancora oggi, anche se arrugginiti, sono in condizioni accettabili, non è possibile che dei fix inox da 10 mm si spezzino solo appendendosi dopo pochi anni dalla loro infissione. C’è qualcosa che non quadra, le ditte che producono materiale per la chiodatura devono fare attenzione a dove acquistano l’acciaio con cui producono i chiodi. Probabilmente quello che proviene dal far est, anche se certificato, non è cosi affidabile come quello prodotto da paesi più seri e risparmiare sulla qualità in questo caso vuol dire compromettere la sicurezza. La sicurezza degli ancoraggi deve essere assoluta e per perseguire questo fine, se i Comuni e i chiodatori vogliono dormire sonni tranquilli devono attrezzare usando materiali di prima qualità, utilizzando le tecniche migliori a seconda del tipo di roccia. È meglio fare un po' meno ma farlo bene, che chiodare tanto ma male o insicuro!

Qualche tempo fa sono stato bacchettato da un chiodatore svizzero che mi ha detto, piuttosto bruscamente, che invece di pensare ad aprire nuove vie avrei fatto meglio ad occuparmi di rinchiodare le vie vecchie. Cosa ne pensi al riguardo? Si è responsabili di una propria via che “invecchia” o dovrebbe piuttosto esserlo la comunità, o eventualmente il comune su cui ricade quella via?
Noi siamo responsabili della chiodatura di una nuova via specialmente quando questa avviene dall’alto e in una falesia. E’ nostro dovere cercare di farlo nel modo più corretto possibile e, bada bene, ho detto corretto non ravvicinato! Una volta fatto, il nostro dovere di apritori è finito, con il tempo come tutte le cose anche le vie e i chiodi invecchiano e quando si ritengono insicure si dovrebbe intervenire per restaurarle. A chi tocca non sta scritto da nessuna parte, spetta solo agli uomini di buona volontà!

Nella tua carriera ti sei occupato di aprire vie in tutti gli stili, dallo stile tradizionale a quello sportivo ma molto expo, sino alle vie plaisir. C’è per quanto ti riguarda uno stile, un modo di fare le cose che accomuna questi stili così differenti, o semplicemente vuoi rivolgerti a varie fasce di praticanti?
Per anni ho aperto vie solo per il mio piacere personale spingendo sempre più in là i miei limiti fisici e psicologici non pensando a eventuali ripetitori... anzi dopo certi rischi che mi sono preso godevo quasi a pensare ad un altro che in futuro si sarebbe trovato nelle stesse situazioni! Non so se è capitato anche a te! Poi sono diventato Guida Alpina ed ho cominciato ad aprire vie con clienti che in alcuni casi hanno sponsorizzato il materiale. Mi è sembrato giusto rispettarli creando delle vie che premiassero la loro generosità, chiodandole in maniera sicura senza mai esagerare nella vicinanza delle protezioni. Tra le vie che ho aperto queste ultime sono sicuramente quelle più ripetute, quelle più esposte e pericolose invece rimangono riservate a chi ha ancora voglia di mettersi in gioco in un alpinismo più avventuroso.

Da qualcuno è stato sollevato il problema degli spazi vergini. Si può continuare a chiodare all’infinito o, secondo te, dovremmo cominciare a pensare a gestire (e regolamentare) gli spazi bianchi? Se sì, come secondo te dovremmo farlo? Imponendo delle regole etiche (le aree clean) oppure di divieto assoluto di chiodatura?
Esplorare è nella natura dell’uomo, le rocce disponibili non sono infinite ma sono sicuramente ancora tante. Oggi abbiamo a disposizione dei materiali per proteggerci che fino a pochi anni fa erano impensabili ed è giusto che, per quando possibile, li utilizziamo. Piantare del ferro nella roccia che sia a fessura o ad espansione vuol dire fargli violenza è nostro dovere andare sempre di più verso un’arrampicata “pulita” anche se in alcuni casi resterà impossibile. In ogni caso l’uomo continuerà imperterrito la conquista di tutto ciò che gli piace e non si fermerà davanti a niente finchè un giorno...

Sei un viaggiatore, per passione e per lavoro. Nel visitare altri paesi, quali sono quelli che ti hanno più favorevolmente impressionato per l’etica e l’atteggiamento in generale nei confronti dell’arrampicata?
L’etica è una barzelletta, siamo noi che creiamo le regole e quindi l’etica da rispettare. Come dicevo sopra è nostro dovere andare sempre di più verso un’arrampicata clean. Per questo penso che Yosemite sia stata e sia ancora oggi uno dei posti dove la parola “rispetto per la natura” abbia ancora un grande significato. Certo anche lì non è tutto perfetto, ma quando sei sotto ad una fessura di 50 metri pulita e parti con attaccati all’imbrago due serie di friends, il cuore ti batte ancora come al primo salitore che l’ha affrontata.

Intervista di Maurizio Oviglia

Tutte le interviste di Maurizio Oviglia ai chiodatori di arrampicata sportiva:
>> Marco Pukli e l'arte di attrezzare una falesia



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