Jacopo Larcher e Tribe, la sua via d'arrampicata trad più difficile a Cadarese / Intervista

Intervista a Jacopo Larcher che venerdì 22 marzo a Cadarese ha liberato Tribe, descrivendo la via di arrampicata trad come 'sicuramente la cosa più difficile che abbia mai fatto.'
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Jacopo Larcher su Tribe, la sua difficilissima via d'arrampicata trad a Cadarese
Paolo Sartori

Venerdì scorso Jacopo Larcher è venuto a capo di Tribe, il suo mega progetto di arrampicata trad a Cadarese in Val d'Ossola. Per il 29enne sudtirolese questa via rappresenta 'la cosa più difficile che abbia mai fatto’, ma soprattutto la fine di un’odissea iniziata 6 anni fa, quando dopo vie dure in falesia - leggi 9a+ rotpunkt e 8b+ a-vista - stava iniziando a dedicarsi all’arrampicata con i nuts e i friends per diventare uno dei climber più poliedrici al mondo.

Jacopo complimenti ancora! Ci racconti un po’ com’è nata questa via?
Allora, l’ho vista proprio la prima volta che sono andato a Caderese. Vedi la linea mentre sali in falesia, è sotto gli occhi di tutti, una prua molto evidente e Riky Federer mi ha detto "Questa la dovresti provare." All’epoca mi stavo avvicinando all’arrampicata trad, ero appena tornato da un viaggio all’Isola Reunion e avevo capito che volevo dedicarmi anche a questo aspetto dell’arrampicata e quindi quella sera stessa ho pulito la linea e ho provato i movimenti.

E?
Non ho capito niente! I movimenti mi sembravano impossibili, perlopiù mi sembrava una cosa pericolosissima. Col tempo e con l’esperienza maturata su altre vie trad in giro per il mondo mi sono reso conto che non era poi così pericoloso come pensavo inizialmente.

Per chi non mastica l’arrampicata trad quotidianamente, ci spieghi un po’ di più?
Secondo me, le vie trad si dividono grosso modo in due categorie: non troppo difficili tecnicamente ma con protezioni brutte e quindi pericolose, molto difficili tecnicamente ma con protezioni abbastanza sicure. Tribe fa parte della seconda categoria.

Cioè?
La prima parte è un po’ pericolosa, con movimenti e protezioni aleatorie, sul 7a+ magari dove è meglio non cadere. Poi in alto ci sono le due sezioni chiave, entrambe con protezioni bomba. Sul primo tetto rischi di cadere storto, infatti sono caduto alcune volte con la corda dietro alla gamba e ho sbattuto il polso, mentre sul secondo tetto fai un volo lungo ma tranquillo. Per questo io la definisco difficile tecnicamente ma abbastanza sicura. Soltanto per arrivare alla cengia in alto rischi di volare veramente lungo, se le protezioni non dovessero tenere. Fortunatamente non l’ho testato però.

L’avevi definita un’odissea?
Sì, allora la prima visita risale a 6 anni fa. Ho però iniziato a provarla seriamente 3 anni fa, dopo La Rambla a Siurana in Spagna e Gondo Crack a Cippo in Svizzera. Prima la tentavo in estate o durante le mezze stagioni, ma mi sono reso conto che avevo bisogno di temperature basse, ma d’inverno la parete è spesso bagnata. Facevo dei progressi, poi finiva bruscamente la stagione e dovevo aspettare quella successiva. Un inverno mi ero allenato molto bene, poi però mi sono infortunato e ho dovuto aspettare ulteriormente. L’autunno scorso è arrivato dopo una stagione di vie in montagna e quando mi sono rimesso in forma ha iniziato a piovere… Ma prima della pioggia ho fatto il mio primo tentativo dal basso, e questo mi ha dato la carica giusta per allenarmi ed aspettare questo periodo di buonissime condizioni.

Com’è andato quel primo tentativo dal basso?
Non ero ancora riuscito a fare il singolo finale, quindi sapevo che non sarei riuscito, ma il tentativo è andato molto bene. Pensavo di avere molta paura ad andare da primo, invece mi sono subito accorto che mi sentivo a mio agio. Provarla dal basso era un modo per cambiare qualcosa nella maniera in cui progettavo il tiro, perché provare un via trad dal basso, rispetto a provarla con la corda dall’alto, cambia ovviamente tutto. Il fatto che mi sentissi subito bene era una bella fonte di motivazione. Quel momento ha rappresentato la prima chiave di svolta.

Mentre la seconda…
È arrivata quando sono riuscito a decifrare la sezione chiave in alto. Ho capito che da quel momento in poi potevo provare la via dal basso, e anche se non ero mai riuscito a fare tutta la via pulita con la corda dall’alto, ho subito iniziato i tentativi dal basso. Avrò fatto una quindicina di tentativi in tutto, uno la scorsa stagione, tutti gli altri adesso.

Dopo il durissimo singolo finale c’è un ribaltamento delicato, poi in puro stile Cadarese una bella fessura.
Sì. All’inizio pensavo di finire la via a metà parete alla comoda cengia dove ti potresti persino sdraiare, per certi versi è questa la logica fine. Sopra però c’è una fessura bellissima di 7b che all’inizio dei miei tentativi era spittata, e visto che a Cadarese in passato ci sono state delle diatribe, non volevo assolutamente riaccendere delle vecchie polemiche. Invece ho trovato molto bello, quasi commovente, il fatto che il primo salitore Maurizio Pellizzon di iniziativa sua abbia schiodato la fessura per fare in modo che la mia via potesse diventare tutta trad. Non è una cosa scontata, anzi, e a Pelli devo i miei ringraziamenti.

Subito sceso dalla via ci avevi raccontato che in quel momento, non avresti nemmeno saputo darle un grado. Adesso sono passati tre giorni, hai avuto tempo per riflettere e hai deciso di non dare un grado. Ci spieghi come mai?
Premetto che per me chiudere il tiro è stata una grandissima soddisfazione a livello personale, la via rappresenta per certi versi tutta la mia trasformazione e evoluzione come climber in questi ultimi anni. È indubbiamente un sogno che si realizza. Visto in quest’ottica, magari si capisce perché mi abbia dato un po’ fastidio il fatto che la prima domanda di molti sia stata ‘quanto è difficile la via?’. Non vorrei che il valore di questa linea venisse rappresentato - e per certi versi sminuito - dal grado. Così si perderebbero di vista cose più importanti, come la sua bellezza, oppure l’esperienza che uno può vivere provando a salirla, cose che rischierebbero di passare in secondo piano. Non vorrei passare per quello che non sono, è ovvio che anche il grado ha la sua importanza, ma non è l’unica cosa che conta. Su questa via ho dato tutto di me, è la cosa più difficile che io abbia mai fatto ed è una via bellissima, tutta naturale. Sinceramente non avrei potuto chiedere di più.

Ultima domanda allora: perché il nome Tribe?
Perché questa via mi ha davvero fatto sentire parte di un gruppo. Del gruppo di arrampicatori del cadarese, una ristretta cerchia di climbers che condividono la stessa visione. Devo ringraziare tutti loro. E a dire il vero devo anche ringraziare i moltissimi climbers che da tutte le parti del mondo mi hanno scritto per congratularsi. Mi ha fatto molto piacere questa partecipazione, non me l’aspettavo, credo sia una delle cose veramente belle del nostro sport. Alla fine dei conti siamo una bella tribù. A prescindere dal grado.

Link: jacopo-larcher.comFB Jacopo Larcher, La Sportiva, The North Face




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