Hansjörg Auer e Simon Anthamatten, l'intervista dopo il Kunyang Chhish East
Hansjörg e Simon, innanzitutto complimenti per questa grande salita! Partiamo dall'inizio: come mai questa montagna in particolare?
Hansjörg: Abbiamo semplicemente cercato un obiettivo impegnativo e che rappresentasse una sfida. Inoltre volevamo stare il più possibile da soli, senza altre spedizioni. Quando ho incontrato Steve House lo scorso dicembre a Cracovia mi ha davvero ispirato con questo progetto. Diceva che sarebbe stato molto bello riuscire finalmente a salire in cima. Poi quando abbiamo iniziato a parlare con Simon, il Kungyang Chhish East faceva già parte delle sua lista ristretta. Già da tempo stava pensando a questo progetto.
Simon: Sì, dopo essere stato diverse volte in Nepal ed in India era da tempo che volevo andare in Pakistan. Bisogna anche dire che le montagne più selvagge della terra si trovano nel Karakorum, ed è anche questo il motivo per cui qui è ancora possibile trovare progetti come il Kungyang Chhish East. Avevo salvato una foto di questa montagna nel mio computer dal tentativo dei Polacchi del 2003. Una montagna di 7000m, inviolata, difficile da ogni versante – senza una discesa facile – cosa si potrebbe chiedere di più? Era il sogno di ogni alpinista!
Allora com'era questo sogno?
Hansjörg: Direi una delle montagne più belle del Karakorum. Formosa, con un'enorme parete sud-ovest. Quando l'ho vista per la prima volta ho preso paura e mi sentivo molto, molto piccolo.
Simon: Secondo Himalaya Alpine-Style, con le sue cinque cime, l'intero massiccio del Kungyang Chhish East copre quattro volte l'area del K2! La parete sud-ovest ha un dislivello di circa 2500m dalla terminale fino in vetta. Le dimensioni sono enormi. A questi bisogna aggiungere il tempo imprevedibile, il supporto non sempre cooperativo dei portatori, e l'instabilità politica del paese. Sono tutti fattori che non la rendono una salita facile e per i quali coloro che ci hanno preceduti hanno fallito.
Parlateci della via
Simon: La nostra via è la linea più semplice su questo colosso di granito. Tecnicamente non è mai molto difficile. La difficoltà sta nel trovare il tempismo giusto. Bisogna approfittare di una finestra di buon tempo, non bisogna iniziare nè troppo presto nè troppo tardi. Servono dai 4 a 6 giorni per salire e scendere, e non è facile valutare il momento giusto.
Hansjörg: la nostra era la linea più logica e anche quella più facile, ovviamente, per avere la maggiore possibilità di successo. E' la forma più pura dell'alpinismo: davanti ad una montagna inviolata si cerca la miglior via per salire in vetta, e questa già di per sè non era facile. Cosa si può chiedere di più?
Detto cosi, con il senno del poi, sembra facile. Ma anche voi siete partiti male...
Simon: Sì, abbiamo avuto un inizio infelice. Avevo problemi con il visto e questo può succedere, sì, ma poi un'ora dopo averlo ricevuto Matthias si è tagliato 5 millimetri del suo pollice e questo ci ha tolto un bel po' di vento in poppa... Durante il nostro primo tentativo, molto buono tra l'altro, ci mancava soltanto una mezza giornata per andare in cima. Stavamo salendo durante la fine della finestra di bel tempo che è durato 9 giorni – se non avessimo dovuto posticipare i voli, chissà... In ogni caso, alla fine le cose sono andate per il meglio.
Hansjörg: E' stato un duro colpo per Matthias, tagliarsi così il pollice era l'ultima cosa di cui avevamo bisogno. Non era per niente chiaro se ci avrebbe potuto raggiungere, ma soprattutto era chiaro che, se così fosse, sarebbe stato molto indietro con il suo acclimatamento.
Poi sono arrivati i vostri primi tentativi
Simon: Il primo tentativo è stato grandioso. Abbiamo bivaccato a 7000m ed eravamo sicuri di raggiungere la vetta il giorno successivo. Ma durante la notte il tempo è peggiorato e lì ci siamo resi conto della situazione in cui ci trovavamo. Arrivati in fondo eravamo contenti di essere “fuggiti” dalla montagna.
Hansjörg: come ha detto Simon, il primo tentativo è stato davvero buono. Ci sentivamo molto forti ed eravamo quasi sicurI di potercela fare. Ma poi è arrivata una tempesta terribile. "Possiamo farcela!", ci ripetevamo. A dire il vero eravamo un po' debilitati fisicamente, e a quel punto si era aggiunto lo stress mentale dell'essere così in alto col cattivo tempo: eravamo a 7000m ed era pericoloso. Matthias era sollevato quando ci ha visti scendere sani e salvi dopo 14 ore. Per il nostro secondo tentativo invece siamo partiti troppo presto, c'erano ancora molte valanghe ed c'era semplicemente troppa neve fresca. Siamo stati costretti a tornare indietro a 5600m. Con un progetto come questo tutto deve funzionare alla perfezione. C'è una linea sottile tra successo e fallimento e nemmeno il minimo errore viene perdonato.
Hansjörg, tu e Matthias non eravate mai saliti così in quota, giusto?
Giusto. Per me l'acclimatamento è stato molto difficile. E' stata una tortura e non riuscivo ad immaginare di salire a 7400 metri. Ma ci vuole soltanto molta pazienza, e per me era una novità andare in spedizione e non iniziare subito con il progetto principale. Bisogna dire poi che il Ice Cake Peak non è la montagna ideale per acclimatarsi e per salirla bisogna avere delle condizioni perfette. In generale credo che mio corpo si adatti bene alla quota, ma non si sa mai. Era la prima volta che salivo così in alto.
Quindi due tentativi andati storti, poi il rush finale
Hansjörg: abbiamo dovuto aspettare per due giorni a 6700m perchè il fortissimo vento aveva reso la salita impossibile. Per fortuna abbiamo trovato un tunnel in un crepaccio, altrimenti non saremmo potuti rimanere per via di tutta la neve che cadeva giù dall'alto. Poi il tempo è migliorato. Ma il giorno della cima è stato durissimo. Siamo partiti soltanto alle 6.00, abbiamo dovuto aspettare il sole, era freddissimo. Simon ed io stavamo bene, mentre Matthias sentiva la quota. Non era acclimatato quanto noi. Ma posso onestamente dire che ha combattuto in maniera incredibile – grande rispetto! Il misto presto di mattina era impegnativo, ma la cresta sommitale era più facile di quello che sospettavamo. Il salto di roccia dove Steve è stato costretto a tornare indietro l'ho superato salendo del ghiaccio. Da lì il terreno è diventato sempre più facile.
E la cima?
Simon: Essere in cima è stato molto emozionante. Il sole splendeva e dall'infinito mare di nebbia venivano fuori soltanto il K2, Gasherbrum, Chogolisa, Masherbrum, Ogre, Rakaposhi e Nanga Parbat. Non eravamo troppo preoccupati per la discesa dato che eravamo già scesi da 7000m in pessime condizioni.
Hansjörg: in realtà non abbiamo fatto altro che piangere quando, in cima, ci siamo abbracciati. Non riuscivo a credere che ce l'avevamo fatta. Verso le sei di sera siamo rientrati nella nostra tenda a 6700m, poi il giorno successivo siamo scesi ulteriormente. Verso la fine è stato pericoloso perchè era diventato caldo e cadevano enormi pezzi di ghiaccio. Verso le sei ci sono sono venuti incontro il nostro cuoco e la guida pakistana con biscotti e coca cola.
Qual è stata la parte più difficile di questa esperienza?
Hansjörg: La via non è difficile tecnicamente, ma la combinazione dell'altezza della parete e naturalmente la quota rendono questa montagna una grandissima sfida. Salire del misto a 7000m non è una cosa facile. Non a caso è stata tentata da oltre 10 anni.
Simon: La cosa più difficile è stata che avevamo fatto un eccellente primo tentativo. Pensavamo di avercela fatto. Il secondo tentativo è andato storto. E' come quando, nell'arrampicata sportiva, voli proprio davanti alla catena poi non arrivi mai più così in alto e stai per rinunciare. Tre settimane dopo il primo tentativo la finestra di bel tempo continuava a spostarsi sempre più in là e i nostri nervi cominciavano ed essere tesi. Poi finalmente 5 giorni di bel tempo previsto... Ma dopo due giorni di salita siamo stati costretti a bivaccare con vento forte e nevicate a 6600m. Il giorno successivo siamo riusciti a salire soltanto 100m, abbiamo piantato la tenda in un crepaccio e abbiamo sopportato per quasi 48 ore. Fisicamente è stato difficile. Avevamo deciso di partire dopo la seconda notte brutta: con bel tempo verso la cima, con brutto tempo verso basso. Il tempo però si è rivelato buono e l'attesa è finita.
E allora qual è stata la cosa più bella?
Hansjörg: Che Matthias ce l'abbia fatta.
Simon: La cosa più bella per me era essere su una torre a circa 200m dalla cima, e realizzare che ce l'avevamo fatta. Potevamo veramente godere questi ultimi 200m, nonostante la stanchezza. La sfida di una prima salita è l'incertezza, soltanto la cima dà la certezza.
Simon, come lo paragoni ad altre salita, per esempio il Jasemba?
La fascia rocciosa a 7000m sul Jasemba aveva due tiri difficili che ho gradato M5. Sicuramente due dei tiri più difficili che io abbia mai salito. La linea al Kungyang Chhish è tecnicamente più facile, stimerei qualcosa attorno al M4/M5, come alcuni tiri sulla nord del Cervino. Ma quando prendi in considerazione anche l'impegno globale, allora il Kungyang Chhish è molto più selvaggio, più alto e con un clima peggiore. La parete è alta quasi il doppio. Credo comunque che i gradi in Himalaya siano stretti: sul Tengkangpoche con Ueli Steck abbiamo salito alcuni tiri di M7. Ogni tiro ha richiesto al capocordata almeno 90 minuti, a circa 5500m. Non credo che ci sia già un alpinista in grado di salire un M6 a vista a 7000m. Almeno, io sicuramente non lo sono.
Ultima domanda: eravate in Pakistan proprio durante il periodo del massacro sul Nanga Parbat. Come avete sentito ed interpretato la notizia?
Simon: La notizia ci ha sconvolto e ci ha fatto riflettere sul senso della nostra spedizione. I nostri pensieri erano con le vittime e le loro famiglie. Ci sembrava impossibile che questa tragedia fosse accaduta soltanto 120 chilometri da noi. Tuttavia, è stato ancora più difficile per le nostre famiglie a casa, visto che avevamo assicurato loro di essere andati in una zona tranquilla. Sulla via del ritorno siamo volati da Gilgit ad Islamabad per evitare la zona intorno al Nanga Parbat.
Hansjörg: la notizia ci ha colpito tremendamente. All'aeroporto di Islamabad avevamo incontrato degli alpinisti rumeni che volevano salire il Nanga Parbat. Pensavamo che fossero morti tutti, finchè non li abbiamo incontrati al termine della nostra spedizione a Gilgit. Eravamo così felici di vederli di nuovo. Ovviamente questo non è un problema di facile risoluzione. Ha la sua lunga storia, non possiamo che sperare che in futuro si possa tornare in Pakistan e che eventi di questo genere non si ripetano.
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