Hans Kammerlander
Intervista a Hans Kammerlander prima della partenza per il K2.
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Hans Kammerlander in cima al Kangchenjunga
Planetmountain.com
Incontriamo Hans Kammerlander, nel suo ufficio guide, mentre è impegnato nella proiezione di una bella serie di diapositive sul trekking al campo base dell'Everest. Ci invita subito a partecipare alla normale conclusione di una giornata di un corso di cascate della sua scuola di alpinismo.
Hans è conosciuto da tutti per le sue salite in Himalaya e nel resto del mondo. E' l'uomo che ha salito più velocemente l'Everest, il più veloce a discenderlo, e, proprio in quell'ascensione solitaria, il primo ad effettuarne la discesa con gli sci. Era il 1996 e Kammerlander aveva alle spalle una carriera alpinistica da sogno.
Non è possibile dimenticare, infatti, le sue salite sulle Alpi, in Patagonia e in Himalaya dove, per lungo tempo, è stato compagno d'avventura (su sette ottomila) di Reinhold Messner. Da come s'intrattiene con quel gruppo di clienti nulla di tutto questo traspare. Dimostra una semplicità e una cordialità lontanissime dal cliché del super alpinista. Ciò non significa che abbia abbandonato la sua passione per i grandi progetti, o che sia 'guarito' da quella 'malattia - dipendenza' per la montagna che ha ispirato il titolo del suo ultimo libro Malato di montagna.
Lui, semplicemente, è così, è uno che fa le cose, le sue salite parlano per lui. La salita e, poi, la discesa con gli sci dal K2, il nuovo progetto che tenterà di realizzare nei prossimi mesi, bastano per inquadrarne la forza.
Nel tuo libro 'Malato di montagna' fai risalire la passione per la montagna a quando avevi otto anni e hai seguito due turisti in vetta al Moosstock…
Li ho seguiti perchè ero curioso, ed in cima ho sentito una delle emozioni piu’ forti della mia vita. Per me quello è stato veramente il giorno più importante ed insieme una rivelazione.
Hai mai sentito un’emozione simile dopo quell’esperienza?
Si, ma molto tempo dopo, è stato all’Everest nel 1996, quando finalmente ho realizzato un sogno che inseguivo da moltissimo tempo.
A proposito dell'Everest, volevi veramente fare la salita e la discesa più veloci?
No, è successo per caso. Durante il bivacco avevo paura, per quello sono partito la sera ed ho arrampicato durante la notte. Non volevo fare un record di velocità, ma soltanto la prima discesa con gli sci.
Che cosa resta di queste emozioni?
E' molto difficile rispondere ad una domanda di questo genere, perché, come al solito, un'emozione non si puo descrivere, mancano le parole.
E' come chiedere perché arrampichi? L’emozione è dentro, non si puo spiegare. Un mio collega, a questa domanda, ha risposto che è come l’amore: non si puo spiegare, si deve fare.
E’ la famosa 'malattia' per la montagna, il richiamo della foresta o per l’avventura?
Questa 'malattia', è anche una dipendenza. Non pensavo d'essere dipendente dalla montagna. L’ho capito negli ultimi metri dell'Everest, quella volta ero stremato, ma ho sentito che se non avessi raggiunto la cima sarei dovuto tornare lassù, dentro di me ne avevo troppo bisogno.
E' questa dipendenza dalla montagna che ti spinge sempre avanti.
Se fai tutti i 14 ottomila, rimarrà questa malattia?
Quello che desidero e mi attira ora è salire il K2 e discenderlo con gli sci. Se ci riuscirò avrò raggiunto tutto quello che volevo. Poi potrò godermi… il lento ritorno per il sentiero.
Dopo m'immagino che resterò sempre in montagna, come Guida Alpina e magari scalerò montagne meno difficili.
Mi piacerebbe anche, ad ottant'anni, continuare a salire ancora in cima al Moosstock, quella stessa vetta salita per la prima volta ad otto anni.
Continui a tornare sul Moosstock?
Si, e sempre con piacere. Lì riesco a misurare il livello della mia preparazione. Capisco esattamente quanto veloce sono e se sono pronto per le grandi montagne.
Mi piace correre lì in cima, sedermi e tornare indietro con la memoria. Rivedo quel lungo sentiero iniziato da bambino e mi rendo conto quanto, a volte, sia stato lungo e difficile. Ma devo dire che il ricordo è sempre bello, anche nei momenti più duri e dolorosi.
Il K2 è il tuo 'problema'. Perché lo vuoi fare nella maniera più difficile, perché scenderlo con gli sci?
Sciare è da sempre una mia grande passione, l’arrampicata è arrivata dopo ed è diventata subito importantissima. Combinare queste due discipline è un'emozione fortissima e metterle insieme su montagne come l'Everest, o altri 8000 come il K2, è un sogno incredibile.
C'è da dire anche che salire per una via normale non mi soddisfa, le probabiltà di arrivare in cima sarebbero così alte che mi mancherebbe l'incertezza. Mi toglierebbe quella tensione che mi stimola e spinge.
Negli ultimi anni ho sempre cercato soprattutto quest'avventura e queste esperienze, quindi non una collezione di vette ma proprio la ricerca dello sconosciuto, dell'esplorazione. Raggiungere la vetta non è molto importante, conta molto di più l'intensità dell'esperienza, soprattutto se la condividi con un buon compagno.
Insomma, resti quel bambino di 8 anni che butta via la cartella e segue quei due turisti… Tu sei stato iniziato all'Himalaya da Reinhold Messner, con lui hai salito sette 8000, che cosa ti ricordi?
L'inizio è sempre speciale, così è stato il mio primo 8000m, il Cho Oyu. C'erano talmente tante domande senza risposta: non sapevo se sarei riuscito a reggere la quota e non sapevo che cosa mi aspettava, in quel momento era un grossimo vantaggio essere al fianco di uno così esperto che mi ha aiutato ad evitare gli errori che sicuramente avrei fatto.
Una delle cose che mi è rimasta dentro di quel periodo è la traversata dei due Gasherbrum, una storia meravigliosa e pulita, durata 8 giorni e fatta in puro stile alpino.
E' stata tra le salite più difficili della mia vita. Quel livello di difficolta’ potrebbe essere aumentato solo con la traversata Everest - Lhotse.
La traversata Everest-Lhotse è un tuo sogno?
Sarebbe il prossimo passo, buono però, forse, per la prossima generazione. Per me comunque sarebbe un problema molto difficile anche perché ho già salito sia l'Everest che il Lhotse, e difficilmente ritroverei l’energia per dare così tanto.
Eri insieme a Reinhold sul Lhotse. Per lui era il quattordicesimo 8000, per te il settimo…
La mattina, quando siamo partiti, il vento era brutale, ci spingeva su come uno skilift. Il rischio di congelamenti era molto alto, però l'abbiamo accettato e il vento ci ha ricambiati e ci ha resi, spingendoci, più veloci.
Volevo salire, sapevo che per lui era il 14° ottomila e che ci teneva molto, sapevo anche di aver ricevuto in tutti quegli anni moltissimo da Reinhold e quel giorno volevo dare il massimo perché raggiungesse quella meta. Sono stato molto contento.
C'è da dire che allora ero giovane e rischiavo di più, difficilmente accettavo di tornare indietro.
E adesso?
Adesso è diverso, è molto più facile rinunciare e di questo sono felice. Così non è stato difficile l'anno scorso tornare indietro, perchè le condizioni della neve erano molto pericolose, quando ero a soli 170 metri dalla cima del K2.
Devo ammettere che quando ero giovane prendevo troppi rischi, sfidavo il rischio: ho avuto molta fortuna ed è per quello che sono seduto qui. Solo adesso mi rendo conto quanto spesso mi spingevo oltre, come per esempio nelle mie 'criminali' solitarie su pareti friabili e marce.
Allora, però, ne avevo proprio bisogno.
Cerco ancora 'la sfida', ma la vedo con occhi diversi e ho più esperienza per evitare il rischio, lo vedo prima.
I tuoi rapporti con i compagni di scalata, sono cambiati dall’inizio?
Sulla montagna ho sempre avuto dei rapporti buonissimi con i miei compagni. Anche se dopo con molti ci siamo persi di vista e abbiamo preso strade diverse.
Ad un certo punto hai dovuto organizzarti da solo le spedizioni e soprattutto pensare da solo ai tuoi progetti
Ho sempre cercato di cambiare. Quando Messner dopo il 14° ottomila ha smesso, avevo più tempo per ricercare le difficoltà tecniche anche qui nelle Alpi o in Dolomiti.
Poi all'improvviso ho risentito il richiamo delle alte montagne e della meravigliosa cultura dei popoli dell'Himalaya.
All’inizio ho dovuto imparare, però adesso ho fatto molta esperienza e ho un team di persone che mi aiutano nell'organizzazione e mi risolvono tanti problemi logistici.
Con tutto questo lavoro, è possibile avere la testa libera per grandi progetti?
Questo è un anno veramente intenso. Devo fare 80 show di diapositive, in giugno poi voglio andare con la mia scuola di alpinismo su un 6000 e voglio salire il K2.
In estate ho ancora degli impegni con la scuola e in autunno devo tornare in Nepal, e ancora gli obblighi con gli sponsors, la casa da costruire… Lo stress c'é, soprattutto negli ultimi anni.
E' diventato più difficile trovare la concentrazione mentale giusta?
E' diventato più difficile. Perciò non andrò direttamente al K2, farò prima un 6000 proprio perché gli ultimi anni sono stati sempre più stressanti e ho bisogno di liberare la mente.
Fare una montagna diversa dall'obiettivo principale si è dimostrato un buon metodo per riuscirci. Liberarsi dallo stress ed avere la testa giusta per affrontare la montagna è fondamentale, influisce almeno per il 70% sulla riuscita.
Riesci a liberarti dalla pressione degli altri alpinisti, degli sponsors, da tutto quello che ti sta attorno?
Ho la fortuna di avere degli sponsors che assolutamente non mi 'spingono' per fare qualcosa che non voglio fare. Comunque non lo accetterei e cancellerei subito il rapporto.
Non mi è mai successo, ma so di essere fortunato, comunque adesso sono in una situazione in cui potrei permettermi anche di dire no, e questo chiaramente è un grande vantaggio.
Tanti giovani alpinisti invece fanno degli errori, e prendono dei rischi quando non dovrebbero, perché forse sentono la pressione degli sponsors.
Dai colleghi, non sento alcuna pressione, anzi, al contrario, se uno di loro riesce a fare una buona spedizione sono contento e mi viene spontaneo congratularmi con lui.
Quando si parla degli 8000 si pensa alla 'zona della morte'…
'Vivere' la zona della morte è molto stimolante. Prima di affrontare il Cho Oyu, il mio primo 8000, pensavo di conoscere abbastanza bene il mio corpo, ma quando sono arrivato a quelle altezze mi sono reso conto che non mi conoscevo per niente.
Ho provato sensazioni inedite, mai prima sentite. Per rendere meglio l'idea basta dire che qui giù, quando mi alleno, posso fare i 1600 metri di dislivello del Moosstock in un'ora e otto minuti, nella zona della morte, invece, in un'ora riesco a fare solo cento metri di dislivello.
E' sempre eccitante e motivante muoversi a quelle altezze ma soltanto se si affrontano 'by fair means', lealmente. Non proverei, infatti, queste sensazioni se salissi con l'ossigeno, di cui rifiuto totalmente l'uso.
Tra salire con l'ossigeno e salire senza passa una differenza come tra il giorno e la notte. Sarebbe come fare il Tour de France in motorino anziché in bicicletta.
E’ questo che distingue in modo particolare le tue salite?
Si. Dico categoricamente no all'ossigeno supplementare: è doping in montagna. Con l'ossigeno un 8000 diventa un 7000, non c’è piu il lato sportivo. Senza parlare della grande quantità di bombole, ed altro ancora, abbandonato lassù, come immondizia.
C'è anche da dire che per questa storia dell’ossigeno gli Sherpa vengono trattati molto male, sono loro, infatti, che devono portare le bombole per gli alpinisti!
Ammetto l'uso dell'ossigeno fatto dai pionieri. Ma, da quando è stato dimostrato che si può salire anche senza, non lo accetto più. Se si utilizza l'ossigeno magari si è anche arrivati fisicamente in cima ma per me la montagna non è stata realmente salita.
Se questi alpinisti riportassero indietro le bombole d'ossigeno, potresti accettarlo anche se non come exploit sportivo?
Se fossero in grado di portare giù tutto da soli, personalmente forse lo potrei accettare. Quello che però mi da molto fastidio è che in realtà usano e trattano molto male gli sherpa e 'sporcano' la montagna.
Fondalmentalmente la loro è un'ambizione sbagliata, sarebbe più intelligente fare un 7000 e poter dire di aver fatto una buona prestazione, piuttosto che violentare un 8000 salendolo con l'ossigeno.
Tu hai usato il termine pionieri. Ci sono ancora pionieri nell’ambiente himalayano?
No, è già stato fatto moltissimo. Tomaz Humar ad esempio, al Dhaulagiri, ha fatto una salita bellissima e molto difficile, ma soprattutto l’ha fatta in maniera 'esemplare'. Complimenti a Tomaz allora, ma non si può dire che sia un pioniere.
Continuerai a fare la guida?
La professione di guida adesso per me è più un hobby che un mestiere, però portare la gente a fare un trekking mi piace ancora molto.
E' meraviglioso, alla fine della giornata, come i clienti guardano la montagna, hanno proprio uno sguardo radioso.
Cosa racconti a queste persone?
Gli parlo del Nepal e del Tibet. Mi sento quasi come a casa in Nepal, amo molto quella gente. Ho costruito una scuola lì, per ringraziarli di tutte le emozioni forti che ho provato e per contaccambiare la loro ospitabilita’ e amicizia.
Invece quando vado in Tibet mi sanguina il cuore, perché quello che in questo momento accade ai tibetani a causa dei cinesi non si può descrivere.
Come Hans Kammerlander, puoi fare qualcosa?
Quello che posso fare è portare a conoscenza della gente questa situazione. Fare foto, scrivere articoli. Perché se la gente non sa nulla, non può neanche reagire contro questa situazione. E' l'unica cosa che posso fare, le mie mani sono legate
Come spiegheresti ad un giovane il tuo stile sugli 8000?
Prima di tutto è importantissimo, lasciarsi tempo al campo base. Restare tranquilli, molto tranquilli, e per 5/6 giorni non fare nulla, non tentare neanche di arrivare al campo 1, è meglio piuttosto leggere un buon libro.
Tante spedizioni, invece, commettono l’errore di spingersi immediatamente verso l'alto, magari per approffitare del bel tempo, ma proprio per questa fretta la spedizione fallirà. Dopo però, quando si decide di partire, bisogna andare veloci, perché velocità significa sicurezza.
Occorre essere veloci a tutti i costi nella salita. Si devono fare pochi bivacchi, il minor numero possibile, perché le notti costano un sacco di energia. La notte in alta quota porta la paura, e se accumuli quest'energia negativa aumenta anche la paura e ti diminisce la forza.
Agli alpinisti che vogliono cercare nuovi progetti cos'hai da dire?
Gli consiglierei di concentrare le loro energie sulle traversate, in questo campo c’è ancora molto da fare. In Patagonia c’è la traversata Cerro Torre - Torre Standhart - Torre Egger, e, in Himalaya, quella dall'Everest al Lhotse.
Se uno vuole diventare un professionista, penso che non possa fare a meno di considerarle. In quella direzione ci sono ancora delle possibilita’, delle chances.
Qual è il sogno di Kammerlander ad occhi aperti, o li hai già 'bruciati' tutti?
Sicuramente il mio sogno, dal punto di vista sportivo, è la prima discesa con gli sci dal K2. Ho volutamente scelto di lasciare il K2 alla fine, per risentire nuovamente un'emozione fortissima.
Un altro sogno oltre gli 8000?
Voglio finalmente costruirmi una casa, stabilizzarmi un po'. Si può dire che la mia passione per la montagna mi ha portato in giro per il mondo quasi come uno zingaro, per queste cose non ho mai avuto tempo, non mi rimaneva energia sufficiente.
Adesso vorrei una bella casa, con una bella cantina per metterci i vini di tutto il mondo
HANS KAMMERLANDER
E' nato, ultimo di sei figli, nel 1956 in Sudtirol, dove vive anche attualmente.
Ha iniziato da giovane ad arrampicare sulle montagne nella zona ed in seguito sulle Dolomiti, quindi sulle grandi pareti delle Api e delle più alte montagne del mondo. E' salito in vetta a dodici 8000m, sette dei quali con Reinhold Messner.
Kammerlander e' guida alpina e dirige la scuola d'alpinismo ALPINSCHULE SÜDTIROL.
E' stato molte volte ospite nelle tv tedesche, austriache, italiane, sat. Fa proiezione di diapositve ogni anno in Italia e all'estero. E' consulente per ditte di articoli sportivi per la montagna.
ALPI - DOLOMITI
Circa 2000 vie, di cui 50 prime ascensioni e 60 solitarie di VI.
Eiger parete Nord - Cervino parete Nord - Grandes Jorasses parete Nord.
Tre Cime parete Nord - Marmolada parete sud - Civetta parete nord - ovest.
1991 'Intorno al Sudtirol': 1200 km di arrampicata e camminata, 100.000 m di dislivello e più di 3000 cime, con R. Messner e ber - auntunno 1991, in 6 settimane. 'Da Nord a Nord': in 24 ore Kammerlander, insieme a H.P. Eisendle, ha salito la nord delle Odle e delle Tre Cime (via Comici), i 246 Km il percorso tra le due montagne (da Sulden a Misurina), è stato percorso in bicicletta.
1992 '4 x Matterhorn': su e giù attraverso le creste di Hsrnli, Furggen, Lion, e Zmuttgrat, in 24 ore
HIMALAYA - KARAKORUM
1983 Cho Oyu, 8202m - 1^ salita Parete Sud - Ovest con R. Messner
1984 Gasherbrum traversata - 1^ traversata di due ottomila - con R. Messner (Traversata Hidden Peak 8068m e Gasherbrum II 8035m)
1985 Dhaulagiri, 8172m - con R. Messner, Annapurna 8091m - con R. Messner - 1^ salita della parete Nord - Ovest
1986 Makalu, 8481m -con R. Messner e F. Mutschlechne, Lhotse 8511m - con R. Messner
1990 Nanga Parbat, 8125m - 1^ discesa con gli sci
1993 Shivling (India), 6543 m - 1^ salita Pilastro Nord - con Christophe Hainz, Ama Dablam, 6812m ( Spedizione Alpinschule Südtirol)
1994 Broad Peak, 8048 m - discesa con gli da 7000m
1996 Shisha Pangma, 8012m und
1996 Everest 8848m - salita e salita/discesa più veloce, in 23:50 ore complessive (partenza Campo Base Avanzato, 6400m - cima in 16:40 ore, poi ritorno a Campo Base)
1998 Kanchenjunga 8586m - discesa con gli sci da 7500m
1999 K2 - tentativo terminato a 150m dalla vetta, per le pericolo di slavine.
PATAGONIA
1988 Cerro Torre - fino a quel punto la salita più veloce in 17 ore salita/discesa
1989 Punta Poincenot
SPONSOR
SECTOR - NO LIMITS - TELECOM - SÜDTIROL - ORTOVOX - TREZETA - LESTRA - CAMP - DUNOVA - KOMPERDELL - FUJIFILM - RAIDER.
Hans è conosciuto da tutti per le sue salite in Himalaya e nel resto del mondo. E' l'uomo che ha salito più velocemente l'Everest, il più veloce a discenderlo, e, proprio in quell'ascensione solitaria, il primo ad effettuarne la discesa con gli sci. Era il 1996 e Kammerlander aveva alle spalle una carriera alpinistica da sogno.
Non è possibile dimenticare, infatti, le sue salite sulle Alpi, in Patagonia e in Himalaya dove, per lungo tempo, è stato compagno d'avventura (su sette ottomila) di Reinhold Messner. Da come s'intrattiene con quel gruppo di clienti nulla di tutto questo traspare. Dimostra una semplicità e una cordialità lontanissime dal cliché del super alpinista. Ciò non significa che abbia abbandonato la sua passione per i grandi progetti, o che sia 'guarito' da quella 'malattia - dipendenza' per la montagna che ha ispirato il titolo del suo ultimo libro Malato di montagna.
Lui, semplicemente, è così, è uno che fa le cose, le sue salite parlano per lui. La salita e, poi, la discesa con gli sci dal K2, il nuovo progetto che tenterà di realizzare nei prossimi mesi, bastano per inquadrarne la forza.
Nel tuo libro 'Malato di montagna' fai risalire la passione per la montagna a quando avevi otto anni e hai seguito due turisti in vetta al Moosstock…
Li ho seguiti perchè ero curioso, ed in cima ho sentito una delle emozioni piu’ forti della mia vita. Per me quello è stato veramente il giorno più importante ed insieme una rivelazione.
Hai mai sentito un’emozione simile dopo quell’esperienza?
Si, ma molto tempo dopo, è stato all’Everest nel 1996, quando finalmente ho realizzato un sogno che inseguivo da moltissimo tempo.
A proposito dell'Everest, volevi veramente fare la salita e la discesa più veloci?
No, è successo per caso. Durante il bivacco avevo paura, per quello sono partito la sera ed ho arrampicato durante la notte. Non volevo fare un record di velocità, ma soltanto la prima discesa con gli sci.
Che cosa resta di queste emozioni?
E' molto difficile rispondere ad una domanda di questo genere, perché, come al solito, un'emozione non si puo descrivere, mancano le parole.
E' come chiedere perché arrampichi? L’emozione è dentro, non si puo spiegare. Un mio collega, a questa domanda, ha risposto che è come l’amore: non si puo spiegare, si deve fare.
E’ la famosa 'malattia' per la montagna, il richiamo della foresta o per l’avventura?
Questa 'malattia', è anche una dipendenza. Non pensavo d'essere dipendente dalla montagna. L’ho capito negli ultimi metri dell'Everest, quella volta ero stremato, ma ho sentito che se non avessi raggiunto la cima sarei dovuto tornare lassù, dentro di me ne avevo troppo bisogno.
E' questa dipendenza dalla montagna che ti spinge sempre avanti.
Se fai tutti i 14 ottomila, rimarrà questa malattia?
Quello che desidero e mi attira ora è salire il K2 e discenderlo con gli sci. Se ci riuscirò avrò raggiunto tutto quello che volevo. Poi potrò godermi… il lento ritorno per il sentiero.
Dopo m'immagino che resterò sempre in montagna, come Guida Alpina e magari scalerò montagne meno difficili.
Mi piacerebbe anche, ad ottant'anni, continuare a salire ancora in cima al Moosstock, quella stessa vetta salita per la prima volta ad otto anni.
Continui a tornare sul Moosstock?
Si, e sempre con piacere. Lì riesco a misurare il livello della mia preparazione. Capisco esattamente quanto veloce sono e se sono pronto per le grandi montagne.
Mi piace correre lì in cima, sedermi e tornare indietro con la memoria. Rivedo quel lungo sentiero iniziato da bambino e mi rendo conto quanto, a volte, sia stato lungo e difficile. Ma devo dire che il ricordo è sempre bello, anche nei momenti più duri e dolorosi.
Il K2 è il tuo 'problema'. Perché lo vuoi fare nella maniera più difficile, perché scenderlo con gli sci?
Sciare è da sempre una mia grande passione, l’arrampicata è arrivata dopo ed è diventata subito importantissima. Combinare queste due discipline è un'emozione fortissima e metterle insieme su montagne come l'Everest, o altri 8000 come il K2, è un sogno incredibile.
C'è da dire anche che salire per una via normale non mi soddisfa, le probabiltà di arrivare in cima sarebbero così alte che mi mancherebbe l'incertezza. Mi toglierebbe quella tensione che mi stimola e spinge.
Negli ultimi anni ho sempre cercato soprattutto quest'avventura e queste esperienze, quindi non una collezione di vette ma proprio la ricerca dello sconosciuto, dell'esplorazione. Raggiungere la vetta non è molto importante, conta molto di più l'intensità dell'esperienza, soprattutto se la condividi con un buon compagno.
Insomma, resti quel bambino di 8 anni che butta via la cartella e segue quei due turisti… Tu sei stato iniziato all'Himalaya da Reinhold Messner, con lui hai salito sette 8000, che cosa ti ricordi?
L'inizio è sempre speciale, così è stato il mio primo 8000m, il Cho Oyu. C'erano talmente tante domande senza risposta: non sapevo se sarei riuscito a reggere la quota e non sapevo che cosa mi aspettava, in quel momento era un grossimo vantaggio essere al fianco di uno così esperto che mi ha aiutato ad evitare gli errori che sicuramente avrei fatto.
Una delle cose che mi è rimasta dentro di quel periodo è la traversata dei due Gasherbrum, una storia meravigliosa e pulita, durata 8 giorni e fatta in puro stile alpino.
E' stata tra le salite più difficili della mia vita. Quel livello di difficolta’ potrebbe essere aumentato solo con la traversata Everest - Lhotse.
La traversata Everest-Lhotse è un tuo sogno?
Sarebbe il prossimo passo, buono però, forse, per la prossima generazione. Per me comunque sarebbe un problema molto difficile anche perché ho già salito sia l'Everest che il Lhotse, e difficilmente ritroverei l’energia per dare così tanto.
Eri insieme a Reinhold sul Lhotse. Per lui era il quattordicesimo 8000, per te il settimo…
La mattina, quando siamo partiti, il vento era brutale, ci spingeva su come uno skilift. Il rischio di congelamenti era molto alto, però l'abbiamo accettato e il vento ci ha ricambiati e ci ha resi, spingendoci, più veloci.
Volevo salire, sapevo che per lui era il 14° ottomila e che ci teneva molto, sapevo anche di aver ricevuto in tutti quegli anni moltissimo da Reinhold e quel giorno volevo dare il massimo perché raggiungesse quella meta. Sono stato molto contento.
C'è da dire che allora ero giovane e rischiavo di più, difficilmente accettavo di tornare indietro.
E adesso?
Adesso è diverso, è molto più facile rinunciare e di questo sono felice. Così non è stato difficile l'anno scorso tornare indietro, perchè le condizioni della neve erano molto pericolose, quando ero a soli 170 metri dalla cima del K2.
Devo ammettere che quando ero giovane prendevo troppi rischi, sfidavo il rischio: ho avuto molta fortuna ed è per quello che sono seduto qui. Solo adesso mi rendo conto quanto spesso mi spingevo oltre, come per esempio nelle mie 'criminali' solitarie su pareti friabili e marce.
Allora, però, ne avevo proprio bisogno.
Cerco ancora 'la sfida', ma la vedo con occhi diversi e ho più esperienza per evitare il rischio, lo vedo prima.
I tuoi rapporti con i compagni di scalata, sono cambiati dall’inizio?
Sulla montagna ho sempre avuto dei rapporti buonissimi con i miei compagni. Anche se dopo con molti ci siamo persi di vista e abbiamo preso strade diverse.
Ad un certo punto hai dovuto organizzarti da solo le spedizioni e soprattutto pensare da solo ai tuoi progetti
Ho sempre cercato di cambiare. Quando Messner dopo il 14° ottomila ha smesso, avevo più tempo per ricercare le difficoltà tecniche anche qui nelle Alpi o in Dolomiti.
Poi all'improvviso ho risentito il richiamo delle alte montagne e della meravigliosa cultura dei popoli dell'Himalaya.
All’inizio ho dovuto imparare, però adesso ho fatto molta esperienza e ho un team di persone che mi aiutano nell'organizzazione e mi risolvono tanti problemi logistici.
Con tutto questo lavoro, è possibile avere la testa libera per grandi progetti?
Questo è un anno veramente intenso. Devo fare 80 show di diapositive, in giugno poi voglio andare con la mia scuola di alpinismo su un 6000 e voglio salire il K2.
In estate ho ancora degli impegni con la scuola e in autunno devo tornare in Nepal, e ancora gli obblighi con gli sponsors, la casa da costruire… Lo stress c'é, soprattutto negli ultimi anni.
E' diventato più difficile trovare la concentrazione mentale giusta?
E' diventato più difficile. Perciò non andrò direttamente al K2, farò prima un 6000 proprio perché gli ultimi anni sono stati sempre più stressanti e ho bisogno di liberare la mente.
Fare una montagna diversa dall'obiettivo principale si è dimostrato un buon metodo per riuscirci. Liberarsi dallo stress ed avere la testa giusta per affrontare la montagna è fondamentale, influisce almeno per il 70% sulla riuscita.
Riesci a liberarti dalla pressione degli altri alpinisti, degli sponsors, da tutto quello che ti sta attorno?
Ho la fortuna di avere degli sponsors che assolutamente non mi 'spingono' per fare qualcosa che non voglio fare. Comunque non lo accetterei e cancellerei subito il rapporto.
Non mi è mai successo, ma so di essere fortunato, comunque adesso sono in una situazione in cui potrei permettermi anche di dire no, e questo chiaramente è un grande vantaggio.
Tanti giovani alpinisti invece fanno degli errori, e prendono dei rischi quando non dovrebbero, perché forse sentono la pressione degli sponsors.
Dai colleghi, non sento alcuna pressione, anzi, al contrario, se uno di loro riesce a fare una buona spedizione sono contento e mi viene spontaneo congratularmi con lui.
Quando si parla degli 8000 si pensa alla 'zona della morte'…
'Vivere' la zona della morte è molto stimolante. Prima di affrontare il Cho Oyu, il mio primo 8000, pensavo di conoscere abbastanza bene il mio corpo, ma quando sono arrivato a quelle altezze mi sono reso conto che non mi conoscevo per niente.
Ho provato sensazioni inedite, mai prima sentite. Per rendere meglio l'idea basta dire che qui giù, quando mi alleno, posso fare i 1600 metri di dislivello del Moosstock in un'ora e otto minuti, nella zona della morte, invece, in un'ora riesco a fare solo cento metri di dislivello.
E' sempre eccitante e motivante muoversi a quelle altezze ma soltanto se si affrontano 'by fair means', lealmente. Non proverei, infatti, queste sensazioni se salissi con l'ossigeno, di cui rifiuto totalmente l'uso.
Tra salire con l'ossigeno e salire senza passa una differenza come tra il giorno e la notte. Sarebbe come fare il Tour de France in motorino anziché in bicicletta.
E’ questo che distingue in modo particolare le tue salite?
Si. Dico categoricamente no all'ossigeno supplementare: è doping in montagna. Con l'ossigeno un 8000 diventa un 7000, non c’è piu il lato sportivo. Senza parlare della grande quantità di bombole, ed altro ancora, abbandonato lassù, come immondizia.
C'è anche da dire che per questa storia dell’ossigeno gli Sherpa vengono trattati molto male, sono loro, infatti, che devono portare le bombole per gli alpinisti!
Ammetto l'uso dell'ossigeno fatto dai pionieri. Ma, da quando è stato dimostrato che si può salire anche senza, non lo accetto più. Se si utilizza l'ossigeno magari si è anche arrivati fisicamente in cima ma per me la montagna non è stata realmente salita.
Se questi alpinisti riportassero indietro le bombole d'ossigeno, potresti accettarlo anche se non come exploit sportivo?
Se fossero in grado di portare giù tutto da soli, personalmente forse lo potrei accettare. Quello che però mi da molto fastidio è che in realtà usano e trattano molto male gli sherpa e 'sporcano' la montagna.
Fondalmentalmente la loro è un'ambizione sbagliata, sarebbe più intelligente fare un 7000 e poter dire di aver fatto una buona prestazione, piuttosto che violentare un 8000 salendolo con l'ossigeno.
Tu hai usato il termine pionieri. Ci sono ancora pionieri nell’ambiente himalayano?
No, è già stato fatto moltissimo. Tomaz Humar ad esempio, al Dhaulagiri, ha fatto una salita bellissima e molto difficile, ma soprattutto l’ha fatta in maniera 'esemplare'. Complimenti a Tomaz allora, ma non si può dire che sia un pioniere.
Continuerai a fare la guida?
La professione di guida adesso per me è più un hobby che un mestiere, però portare la gente a fare un trekking mi piace ancora molto.
E' meraviglioso, alla fine della giornata, come i clienti guardano la montagna, hanno proprio uno sguardo radioso.
Cosa racconti a queste persone?
Gli parlo del Nepal e del Tibet. Mi sento quasi come a casa in Nepal, amo molto quella gente. Ho costruito una scuola lì, per ringraziarli di tutte le emozioni forti che ho provato e per contaccambiare la loro ospitabilita’ e amicizia.
Invece quando vado in Tibet mi sanguina il cuore, perché quello che in questo momento accade ai tibetani a causa dei cinesi non si può descrivere.
Come Hans Kammerlander, puoi fare qualcosa?
Quello che posso fare è portare a conoscenza della gente questa situazione. Fare foto, scrivere articoli. Perché se la gente non sa nulla, non può neanche reagire contro questa situazione. E' l'unica cosa che posso fare, le mie mani sono legate
Come spiegheresti ad un giovane il tuo stile sugli 8000?
Prima di tutto è importantissimo, lasciarsi tempo al campo base. Restare tranquilli, molto tranquilli, e per 5/6 giorni non fare nulla, non tentare neanche di arrivare al campo 1, è meglio piuttosto leggere un buon libro.
Tante spedizioni, invece, commettono l’errore di spingersi immediatamente verso l'alto, magari per approffitare del bel tempo, ma proprio per questa fretta la spedizione fallirà. Dopo però, quando si decide di partire, bisogna andare veloci, perché velocità significa sicurezza.
Occorre essere veloci a tutti i costi nella salita. Si devono fare pochi bivacchi, il minor numero possibile, perché le notti costano un sacco di energia. La notte in alta quota porta la paura, e se accumuli quest'energia negativa aumenta anche la paura e ti diminisce la forza.
Agli alpinisti che vogliono cercare nuovi progetti cos'hai da dire?
Gli consiglierei di concentrare le loro energie sulle traversate, in questo campo c’è ancora molto da fare. In Patagonia c’è la traversata Cerro Torre - Torre Standhart - Torre Egger, e, in Himalaya, quella dall'Everest al Lhotse.
Se uno vuole diventare un professionista, penso che non possa fare a meno di considerarle. In quella direzione ci sono ancora delle possibilita’, delle chances.
Qual è il sogno di Kammerlander ad occhi aperti, o li hai già 'bruciati' tutti?
Sicuramente il mio sogno, dal punto di vista sportivo, è la prima discesa con gli sci dal K2. Ho volutamente scelto di lasciare il K2 alla fine, per risentire nuovamente un'emozione fortissima.
Un altro sogno oltre gli 8000?
Voglio finalmente costruirmi una casa, stabilizzarmi un po'. Si può dire che la mia passione per la montagna mi ha portato in giro per il mondo quasi come uno zingaro, per queste cose non ho mai avuto tempo, non mi rimaneva energia sufficiente.
Adesso vorrei una bella casa, con una bella cantina per metterci i vini di tutto il mondo
HANS KAMMERLANDER
E' nato, ultimo di sei figli, nel 1956 in Sudtirol, dove vive anche attualmente.
Ha iniziato da giovane ad arrampicare sulle montagne nella zona ed in seguito sulle Dolomiti, quindi sulle grandi pareti delle Api e delle più alte montagne del mondo. E' salito in vetta a dodici 8000m, sette dei quali con Reinhold Messner.
Kammerlander e' guida alpina e dirige la scuola d'alpinismo ALPINSCHULE SÜDTIROL.
E' stato molte volte ospite nelle tv tedesche, austriache, italiane, sat. Fa proiezione di diapositve ogni anno in Italia e all'estero. E' consulente per ditte di articoli sportivi per la montagna.
ALPI - DOLOMITI
Circa 2000 vie, di cui 50 prime ascensioni e 60 solitarie di VI.
Eiger parete Nord - Cervino parete Nord - Grandes Jorasses parete Nord.
Tre Cime parete Nord - Marmolada parete sud - Civetta parete nord - ovest.
1991 'Intorno al Sudtirol': 1200 km di arrampicata e camminata, 100.000 m di dislivello e più di 3000 cime, con R. Messner e ber - auntunno 1991, in 6 settimane. 'Da Nord a Nord': in 24 ore Kammerlander, insieme a H.P. Eisendle, ha salito la nord delle Odle e delle Tre Cime (via Comici), i 246 Km il percorso tra le due montagne (da Sulden a Misurina), è stato percorso in bicicletta.
1992 '4 x Matterhorn': su e giù attraverso le creste di Hsrnli, Furggen, Lion, e Zmuttgrat, in 24 ore
HIMALAYA - KARAKORUM
1983 Cho Oyu, 8202m - 1^ salita Parete Sud - Ovest con R. Messner
1984 Gasherbrum traversata - 1^ traversata di due ottomila - con R. Messner (Traversata Hidden Peak 8068m e Gasherbrum II 8035m)
1985 Dhaulagiri, 8172m - con R. Messner, Annapurna 8091m - con R. Messner - 1^ salita della parete Nord - Ovest
1986 Makalu, 8481m -con R. Messner e F. Mutschlechne, Lhotse 8511m - con R. Messner
1990 Nanga Parbat, 8125m - 1^ discesa con gli sci
1993 Shivling (India), 6543 m - 1^ salita Pilastro Nord - con Christophe Hainz, Ama Dablam, 6812m ( Spedizione Alpinschule Südtirol)
1994 Broad Peak, 8048 m - discesa con gli da 7000m
1996 Shisha Pangma, 8012m und
1996 Everest 8848m - salita e salita/discesa più veloce, in 23:50 ore complessive (partenza Campo Base Avanzato, 6400m - cima in 16:40 ore, poi ritorno a Campo Base)
1998 Kanchenjunga 8586m - discesa con gli sci da 7500m
1999 K2 - tentativo terminato a 150m dalla vetta, per le pericolo di slavine.
PATAGONIA
1988 Cerro Torre - fino a quel punto la salita più veloce in 17 ore salita/discesa
1989 Punta Poincenot
SPONSOR
SECTOR - NO LIMITS - TELECOM - SÜDTIROL - ORTOVOX - TREZETA - LESTRA - CAMP - DUNOVA - KOMPERDELL - FUJIFILM - RAIDER.
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