Eleonora Delnevo e Stefania Valsecchi, un viaggio di scoperta ai confini del mondo

Eleonora Delnevo, 42enne Ragno di Lecco rimasta paralizzata in seguito a un grave incidente durante una scalata su ghiaccio nel 2015, e Stefania Valsecchi, 55enne ex campionessa mondiale di triathlon invernale, hanno attraversato il sud America, da El Chaltén a Ushuaia in Patagonia. La prima in handbike, la seconda in mountain bike.
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Eleonora Delnevo & Stefania Valsecchi in Patagonia
Eleonora Delnevo

Un mese di avventura sulle strade della Patagonia, inseguendo tramonti e panorami da sogno, godendo ogni giorno di una sensazione di libertà unica. Sono queste le emozioni che ci hanno lasciato Eleonora Delnevo, 42enne Ragno di Lecco rimasta paralizzata in seguito a un grave incidente durante una scalata su ghiaccio nel 2015, e Stefania Valsecchi, 55enne ex campionessa mondiale di triathlon invernale. La prima a bordo di una handbike, la seconda in mountain bike, sono partite da El Chalten e in poco meno di un mese hanno raggiunto Ushuaia, all’estremità della Terra del Fuoco.

1300 chilometri vissuti a forza di braccia e gambe, scoprendo strade, villaggi e montagne; vivendo incontri unici in un territorio dove gli imprevisti non vanno mai presi troppo alla leggera. Per questo con loro avevano tutto il necessario per poter gestire ogni eventuale necessità: tenda, fornelletto, sacchi a pelo, cibo. Una vera e propria avventura alla fine del mondo.

Stefania, come vi è venuto in mente di vivere questa esperienza?
L’idea è stata di Lola, io sono stata messa in contatto con lei da Mario Conti, uno dei Ragni che ha realizzato la salita del Cerro Torre nel 1974. Avevo già vissuto esperienze in bici in ambienti severi, anche su lunghe distanze. In passato ero andata da Catania a Capo Nord, mi incuriosiva fare lo stesso all’estremo sud, così ho accettato di accompagnarla.

Eleonora, cosa ti ha spinta a immaginare questa avventura?
Una serie di coincidenze che mi ha spinta a prendere la decisione di acquistare una handbike, uno sforzo economico non indifferente. Mi sono sempre detta “se la prendo devo usarla al massimo”.

Quali sono state queste coincidenze?
Innanzitutto la ricerca di un modo per tornare a essere indipendente in montagna, senza il bisogno di chiedere sempre aiuto; poi la ritrovata libertà dal lavoro che mi ha spinto a dire: vai!

A proposito di handbike, com’è stato gestirla in un viaggio lungo oltre mille chilometri?
Negli ultimi due anni ho avuto modo di fare pratica, su percorsi vicini a casa. Ma non avevo mai fatto un viaggio così lungo in handbike. Penso che sia uno dei pochi mezzi che possano permettere a un disabile di godersi la dimensione del viaggiare in modo lento e sostenibile. Quando ho iniziato a immaginare questa avventura cercavo qualcosa che non fosse aggressivo, già prendiamo un aereo per andare e tornare dall’America.
Tirando le somme devo dire che è stato incredibile e bello. Ho scoperto cosa significa viaggiare lentamente, perdersi negli scorci di panorama, nella gente; incontrare gli animali. Ritornare in qualche modo a godere della natura.

Stefania, tu eri in bici. È stato difficile accompagnare Eleonora in handbike?
Lola è una donna tosta, autonoma, grandissima. Sa benissimo come cavarsela da sola. In qualche modo, durante questo viaggio, sono stata le gambe che non aveva. Una sensazione particolare, di protezione. Ho amato il senso di protezione che ho vissuto nei suoi confronti, nonostante lei non ne avesse affatto bisogno. Un desiderio buono di proteggerla.

Eleonora, come hai costruito il percorso?
Intanto ci tengo a precisare che è stato tutto organizzato in autonomia. Avevo solo due punti fermi nella decisione del tratto da esplorare: vedere i parchi del Fitz Roy e del Paine. Così ho subito escluso la Carretera Austral, preferendo iniziare da El Chaltén per proseguire fino a Ushuaia. Un itinerario molto vario e caratterizzato da un continuo saliscendi, anche se mai con pendenze proibitive.

Quali sono stati gli incontri più emozionanti?
Per me quelli con gli animali. Le volpi grigie, diverse dalle nostre, i guanachi, i nandù. Abbiamo visto anche un lama e poi tante pecore e cavalli.

Per te Stefania?
Le persone, estremamente ospitali, è stato bellissimo. Lascia il desiderio di portare con sé e cercare di trasmettere questo loro senso di ospitalità.

Eleonora, la handbike suscitava curiosità nelle persone che avete incontrato?
Un’enorme curiosità. La maggior parte delle persone era esterrefatta da quel mezzo e mi chiedevano se potevano provarla. Pensavano che fosse una bici strana e subito non capivano che io non potevo camminare, almeno fin quando non scendevo per mettermi in carrozzina.

Avevi una carrozzina con te?
Si, per poterla portare ho dovuto far costruire una piattaforma in carbonio, da agganciare all’handbike. Che fatica portarla su per le salite sterrate.

Cos’altro avevate con voi?
Tutto quanto il necessario per essere autonome: tende, sacchi a pelo, cibo, acqua. Non sapendo quanti chilometri avremmo percorso ogni giorno e viste le grandi distanze del sud America era fondamentale avere la sicurezza di poterci accampare.

Avete sperimentato anche il bivacco?
Si, soprattutto a causa del vento. Quando non soffiava a favore stravolgeva i nostri piani rallentando anche di molto la progressione.

Eleonora, adesso che conosci la handbike e che l’hai spremuta al massimo, ci saranno altre esperienze come questa?
Sicuramente! Ho scoperto che il viaggio mi regala una grande autonomia, lascia il tempo per vivere delle esperienze e per condividere qualcosa. Sono tornata con l’idea che nonostante le grandi difficoltà che si possono incontrare alla fine ti porti a casa davvero tanto. Non parlo di una soddisfazione sportiva, quanto di quella di vivere i singoli momenti e di vivere un territorio, di condividere con la mia compagna di viaggio momenti di difficoltà e altri di gioia incredibile. È stato fantastico spingere sull’handbike al fianco di Stefania, supportarci a vicenda e godere di ogni singolo momento.

Link: Ragni di Lecco, backtothetop.org




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