Andreas Fransson e il suo sci estremo in Patagonia

Intervista con lo svedese Andreas Fransson che il 19/09/2012 ha effettuato la prima discesa con gli sci della rampa Whillans su Aguja Poincenot, massiccio del Fitz Roy in Patagonia.
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Aguja Poincenot, Patagonia
Andreas Fransson

L'ultima volta che ci siamo sentiti con Andreas Fransson era nel luglio del 2011, quando lo sciatore estremo svedese aveva appena fatto parlare di sé con la sua coraggiosa prima discesa dell’inospitale parete Sud del Denali in Alaska. Nel frattempo il 29enne maestro di sci e aspirante guida alpina ha lasciato le sue vertiginose tracce sulle pareti di tutto il mondo ma la recente discesa – l’impressionante rampa Whillans sulla Aguja Poincenot accanto al Fitz Roy in Patagonia – fa impallidire tutte queste discese per le difficoltà tecniche e l’esposizione. Fransson è stato accompagnato dal suo amico Bjarne Sahlén fino al crepaccio terminale, poi ha proseguito da solo, salendo l’esposta rampa per sciare “uno dei pendii che più mi hanno messo alla prova". Questo è quello che ci ha raccontato:


Andreas, prima di tutto: perché questa linea?

Sono sempre alla ricerca di linee speciali che si distinguano da tutte le altre e quando, qualche anno fa, il mio amico Colin Haley me l’ha fatta notare, da subito ha catturato il mio interesse. Si tratta di una linea ovvia e Colin diceva che era una delle più assurde discese al mondo. Ora, col senno di poi, lo credo anch’io. E' più ripida che qualsiasi altra cosa che io abbia mai sciato in precedenza e offre l'esposizione più estrema che si possa immaginare: non è un canalone, ma una rampa che pende verso fuori. Sicuramente è stata il limite di quello che posso fare.

Prima di tutto ci racconti della salita?
Mentre salivo sono rimasto stupito di quanto fosse ripida. E poi, a circa metà, c'erano soltanto 20 cm circa di neve sulle placche… questo mi ha spaventato un po', anche se sapevo che sarebbe stato più facile con gli sci ai piedi che con i ramponi.

Quindi anche la salita è stata un momento difficile.
Sì, per me la salita è stata una vera e propria battaglia mentale. Sapevo che dovevo scendere di lì e questo mi ha davvero segnato. Sentivo che per riuscirci avrei dovuto mettere insieme, in quel preciso momento, tutto quello che avevo imparato fino ad allora nella vita. Ma il fatto è che, al di là di questa paura, ho comunque sempre avuto la sensazione che ci sarei riuscito, ed è per questo che ho continuato a salire. E' diventata una sorta di prova, su come affrontare le illusioni della paura e dei dubbi. Suppongo che sia per questo che questa discesa significhi così tanto per me.

Come ti sei preparato per qualcosa di così grande?
Tutto quello che ho fatto finora, in termini di discese tecniche, ha preparato la strada per questa discesa. Prima di iniziare a salire il canalone d'ingresso non avevo alcuna idea che sarebbe stato così spinto. Se l’avessi saputo, beh forse sarebbe stato ancora più difficile!

Questa può sembrare una domanda stupida: sei salito e hai sciato la rampa, ma hai evitato la cima. In discese estreme come queste, quanto è importante raggiungere la vetta?
Hmmm, dipende. Quando è possibile sciare dalla vetta, allora è ovvio che la linea inizi dalla cima. Ma in questo caso sarebbe stato "artificiale" salire fino in cima alla Poincenot, scendere in doppia per alcune centinaia di metri, per poi iniziare la discesa. Penso quindi che la cosa più importante sia essere chiari con sé stessi - e gli altri, se si parla con i media - su cosa e come si è fatto in una certa discesa.

Allora raccontaci adesso della discesa ...
Beh, allora il primo pendio era ripido e con buone condizioni di neve, forse attorno ai 50°. Poi c’era un tratto più ripido che ho fatto in dérapage per alcuni metri, e poi ho sciato un po'. A circa metà strada la neve era diventata una crosta ghiacciata e ho dovuto usare il mio bastoncino da sci per creare dei gradini. Questa, tra l’altro, era anche la sezione più ripida. Poi diventava più facile, ma ancora molto ripida. Quando ho raggiunto la neve facile ero così esausto mentalmente che mi sono legato ad un ancoraggio che avevo trovato durante la salita. Ho tirato fuori la corda e mi sono calato, al massimo per 10 metri, giù per una sezione più facile. In quel punto ero davvero fuori di testa. Ma poi, quando mi sono reso conto che la sezione più in alto era stata molto, ma molto più difficile, allora mi sono fermato, ho rimesso la corda nello zaino e sono riuscito a scendere fino in fondo.

Qual era il tuo stato d'animo? al 100% lucido? O forse eri in una sorta di trance?
Sì, penso che si potrebbe definirla così. In realtà mi basta semplicemente dire che sono totalmente concentrato su quello che sto facendo. Questo, e niente di più: la montagna esige tutto da me, e io devo darle tutto quello che ho, altrimenti non mi permetterà di uscire dall'altra parte.

I rischi...
Come sempre quando fai lo sci ripido rischi la vita. Ma non l’avrei fatto se non avessi avuto una totale fiducia in me stesso, che sarei stato in grado di riuscirci. Ovviamente questo è molto soggettivo e non credo che si possa parlare di statistiche a questo punto. O la fai, o non la fai. Per tutta la mia vita sono stato alla ricerca di una linea che mi richiedesse il massimo assoluto e adesso l'ho trovata. Non ho bisogno di andarci nuovamente. Ora è arrivato il momento per altri obiettivi.

Allora cosa cerchi nelle tue discese?
Voglio una sfida. Una bella linea è difficile da trovare, e quindi questa già di per sé è una sfida. Poi la discesa può essere davvero ripida, e anche questa è una sfida. Oppure può essere lunga, molto remota, sciata facendo da guida ad un amico o anche qualcosa di più facile ma sciato con un buon stile. Insomma, mi piacciono le sfide e queste mi hanno sempre dato qualcosa in cambio.

Sappiamo però che hai avuto un incidente piuttosto serio tempo fa ...
Sì, si potrebbe dire che sono andato dall'altra parte e poi sono tornato di qua. Credo che tutto si riduca alla propria filosofia di vita, di ciò che si vuole fare con la propria vita. Sono profondamente contento per quello che ho adesso, e che posso fare le cose che amo di più. Nel letto d'ospedale, dopo l'incidente, sono riuscito a sentire veramente l'importanza di vivere la propria vita in pieno. E questa è la mia maniera di farlo. Detto ciò, devo ammettere che ogni giorno sono anche accompagnato dal pensiero di cambiare la mia vita per seguire altri sogni.

L’ultima domanda: Denali e Whillans, due sfide apparentemente completamente diverse… o forse no?

A modo loro entrambe erano sfide molto grandi. La maniera in cui sono state eseguite erano molto diverse, ma entrambe sono diventate la realizzazione di un sogno, un sogno che sapevo fin dall'inizio che sarei riuscito a realizzare, ma dovendo affrontare un sacco di illusioni lungo la via di riuscita. In questo senso entrambe mi hanno aiutato a ridurre il divario tra visione e realtà.





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