Tromba & Friends: 25 Febbraio, Falesia del Cateissard Val di Susa, Bussoleno
Il 25 febbraio, alle ore 11:00, alla falesia del Cateissard sopra Bussoleno, per chi vorrà esserci, scaleremo insieme e metteremo le targhette a tre nuove vie, Il Tromba, Tony Lov e Margherita. Non è una operazione commerciale o promozionale solo il desiderio di ricordare con un piccolissimo gesto i tre ragazzi, Adriano Trombetta, Antonio Lovato e Margherita Beria d’Argentina caduti sullo Chaberton un anno fa.
Adriano amava il Cateissard, perché sapeva già di montagna “un pezzo di Dolomiti piantato in val di Susa” . L’ultima volta che ci siamo visti avevamo individuato una linea da chiodare insieme. La via “Il Tromba“ appunto e da lì son seguite le altre due. Antonio lo conoscevo bene, non Margherita, ma mi è sembrato logico riunirli tutti e tre, visto che insieme se ne sono andati. Ricordo le parole di Adriano “ Diavolo di un Giorda quante vite hai… un ‘altra ne hai tirata fuori” riferendosi al mio improbabile nuovo ruolo di chiodatore di falesie.
Tromba & Friends dunque, per chi ha conosciuto questi ragazzi. Tre persone con una passione smisurata, per la vita vissuta, la natura, l’avventura... con tutti i pregi e i difetti che ognuno di loro, come noi, si porta dietro.
AGGIORNAMENTO del 22/02/18: rinviato per neve all’11 marzo. L'appuntamento per ricordare Adriano Trombetta, Antonio Lovato e Margherita Beria d’Argentina è stato rinviato per neve a domenica 11 marzo, ore 11:00, sempre nella Falesia di Cateissard settore Profondo Rosso
Di seguito alcuni ricordi e riflessioni sulla morte in montagna e su Adriano Trombetta, mio compagno di tante avventure:
Adriano e il limite della vita di Andrea Giorda
A vent’anni la morte in montagna non ti scuote, a sessanta ti devasta e non te ne fai una ragione. Non ne posso più di “Signore delle cime…”, di canti struggenti che ci parlano di tributi di sangue neanche fossimo in guerra, e con chi poi? Dove sono le montagne del Paradiso? Io vedo solo dei vuoti e disperazione tra i vivi e nessuna consolazione.
Non è una tragedia, una tragica fatalità morire in montagna… chi ha la mia età, quanti amici o colleghi alpinisti ha perduto? Quante sono le foto nel cassetto di compagni che non ci sono più? Nel 1979 di anni ne avevo ventuno, adrenalina pura, mi chiedevo come avrei reagito se avessi assistito alla morte di qualcuno in montagna. Avevo sentito e letto di tante storie, ebbene, ad una uscita della Scuola Gervasutti, alla base della Triftjigrat sul Breithorn (Monte Rosa), mentre andavo con i miei allievi a fare la via Young, sentii grida provenienti da altre cordate.
Inspiegabilmente era caduta l’unica pietra di quella immensa parete di ghiaccio e aveva ucciso un allievo e ferito seriamente il mio amico Roberto, alla base di una lunga scia rossa, stava seduto vicino al morto con lo sguardo fisso e il casco e la testa piene di sangue.
Mi vergogno a dirlo, ma non ebbi la minima emozione e badavo solo all’aspetto pratico, non esistevano i cellulari e dovevo correre a cercare soccorsi. Mentre camminavo più veloce che potevo... si faceva giorno e tutte le montagne del Vallese illuminavano i miei occhi e la mia mente, neanche per un attimo ho maledetto la montagna, anzi, scrutavo con la coda dell’occhio, per non finire in un crepaccio, le possibili linee di salita! Portai poi giù io la macchina del ragazzo che era mancato.
Non vi è nulla di razionale in tutto ciò, come non vi è nulla di razionale nella pratica dell’alpinismo. Tutto l’alpinismo, anzi, quello facile dei crestoni innevati e marci è spesso ancora più insidioso. Non è vero che se fai tutto bene non ti succede nulla, come vogliono far credere gli asfissianti manuali del CAI. Chiunque abbia un po’ di esperienza, sa quanta fortuna ci vuole a portare la pelle a casa da situazioni del tutto imprevedibili.
Chi pratica alpinismo sa che fa una attività molto pericolosa, ma non ha mai il coraggio di confessarsi quanto. E poi si pensa che succederà agli altri ma non a noi, perché noi siamo bravi e prudenti. Balle, sì balle perché essere vivi a raccontare non è sempre merito nostro ma anche e soprattutto della sorte.
Adriano certo era un passionale, un istintivo, uno che si buttava… qualcuno, non a torto, diceva anche troppo. I suoi incidenti con esito miracoloso erano molti, dalla vertiginosa caduta da una cascata a valanghe varie. Con Adriano abbiamo condiviso lotte, progetti, sogni … era uno che dava tutto se stesso, buttando, se serviva, il cuore oltre l’ostacolo. Il compagno ideale per imprese al limite, dall’esito incerto, le più belle.
Potrei raccontare di mille scalate, ma son storie comuni, per capire Adriano forse vale la pena raccontare di quando eravamo al Rifugio Pontese nel vallone di Piantonetto per aprire una nuova via, Stairway to Heaven. Arrivati al rifugio stanchi, la sera, dopo una dura giornata di apertura, la Mara, gestrice del rifugio fa la conta e ci dice che mancano due persone che sono andate verso il Becco di Valsoera. Allerta i soccorsi, ma ormai si fa notte e l’elicottero non sia alzerà, si rivolge a noi e ci chiede se possiamo fare qualcosa… non abbiamo neanche mangiato, siamo stanchissimi e mentre penso come organizzarmi, Adriano mi prende per un braccio e mi dice andiamo!
Neanche il tempo di rimettersi le scarpe e corriamo come dannati nella notte su quel sentiero che conosciamo a memoria e abbiamo appena percorso in discesa. L’unica pila che abbiamo in due è mezza scarica! La teniamo per emergenza dice lui…
Arrivati sotto la parete gridiamo e quando dopo numerosi tentativi nessuno risponde e stiamo per tornare indietro, d’improvviso mi sembra di vedere, per meno di un secondo, una lucina circa duecento metri sopra di noi. Dico ad Adriano che non sono sicuro, può essere un abbaglio e aspettare per capire meglio… di nuovo mi prende per un braccio e mi dice andiamo!
Scaliamo al buio sul versante destro del canale fuori da ogni traccia, con passaggi di terzo e quarto grado e roccia marcia... non so neanche io perché sto facendo questa follia, sono certo che i dispersi da due saranno quattro. Non abbiamo nessuna attrezzatura, corde chiodi o altro, calziamo scarpe da avvicinamento, le mie ciabatte lisce e distrutte, perdo la suola.
Quando ormai, avvinghiati dalla notte nera, stiamo per arrenderci, di nuovo appare la lucina, questa volta vicina, raggiungiamo i due storditi, che non rispondono, in catalessi vaneggiavano di calarsi con uno spezzone di corda ancorato al nulla, giù, nel buio, da una parete di duecento metri!
Non erano alpinisti, non avevano nessuna esperienza, si definivano pescatori (!) che avevano voluto tentare la sorte ed erano rimasti bloccati. Pochi minuti ed avrebbero tentato di scendere, di sicuro sarebbero precipitati. Con grande rischio li calammo con il loro spezzone fin sul sentiero e poco sopra il rifugio li consegnammo ad una squadra del soccorso alpino che stava salendo.
Adriano allora si girò sollevato e con quel suo sorriso sornione e un po’ spaccone mi disse “Vecchio Giorda, non pensavo mi saresti stato dietro, bravo… “non sapevo se maledirlo e menarlo con tutte le mie forze per i rischi corsi o abbracciarlo per avermi permesso di salvare due persone. Non risposi, ma quel silenzio ci unì più di tutte le scalate.
Andrea Giorda - CAAI ALPINE CLUB