A Pranu Sartu (Buggerru) in Sardegna la nuova multipitch Sole all'improvviso
Quando, nel dicembre 2022, con il socio di sdangeramenti certi Andrea Porru, per gli amici Andreino, ci calammo dalla scogliera di Pranu Sartu per la prima ripetizione in libera dell’allora neonata "Eppur sembrava appoggiata", lo sguardo non poteva che posarsi sull’incredibile roccia che offriva la parete a destra della prima sosta.
Non ci sembrava vero: una sequenza di buchi assurdi che andavano a formare un traverso perfetto, a pochi metri dall’acqua, per raggiungere un balcone dal quale partiva netto un estetico spigolo. Mesi prima con l’amico Simone Mapelli, altro personaggio passato alle cronache per essere sempre stato presente (suo malgrado) quando c’era da pericolare, passammo ore a sbinocolare la parete dal promontorio della miniera, senza renderci però conto di cosa offrisse quel lato poiché in gran parte coperto dall’enorme scoglio affiorante proprio antistante la scogliera. Ora invece era lì, davanti a noi, evidente in tutta la sua maestosità, ed era una visione troppo attraente per non farsi sedurre.
Oltre alle solite inutili disquisizioni sul possibile grado e pippe mentali infinite sulla verticalità e proteggibilità del tiro, siamo rimasti entrambi folgorati da quella linea, lasciandoci con l’idea che presto o tardi saremmo tornati per verificarne la fattibilità, sempre ammesso che qualcun altro intanto non ci posasse l’occhio e ci anticipasse nelle prossime mosse. E siccome tra me e lui non so chi sia più ostinato (i bookmakers danno lui vincitore, ma direi che ce la giochiamo bene), non passò troppo tempo prima di ritrovarci di nuovo lì, sul pianoro sovrastante la scogliera, questa volta in compagnia dell’amica Arianna Fiorino, anche lei come noi con esperienze pregresse di aperture dal basso prossime allo zero ma malata in compenso di verticalità e con una rara attitudine al masochismo e spiccata attrazione verso il pericolo.
Il tempo di mettere insieme le idee, darci qualche doveroso input di etica e ripassare le regole base che permettono di riportare a casa la pelle, ci ritroviamo tutti e tre appesi alle statiche per scrutare da vicino la linea e leggerne le potenzialità.
Era tutto come avevamo sognato: linea logica, roccia da favola, orientamento nord-ovest, perfetta per le torride giornate estive. Unica incognita: lo strapiombo che andava a segnare la parete a metà altezza e che, era evidente, non c’era modo di aggirare. Verifichiamo le possibili soluzioni e ci convinciamo che le prese ci sono e che la sequenza dei movimenti avrebbe portato ad un tiro tutto sommato non troppo duro da permetterci una chiodatura ragionevolmente sicura dal basso. La tecnica rimane la stessa già collaudata con la precedente via, messa a punto assieme all’amico di sventure Simon: apertura rigorosamente dal basso con l’ausilio di spit amovibili Petzl Coeur Pulse 12mm (Nobel a colui che li inventò!), e armatura successiva con resina epossidica e fittoni inox marino. Ce ne andiamo da quell’assaggio gasati a mina, pronti a pianificare i prossimi passi, consci che un’apertura così avrebbe richiesto molto tempo e una logistica militaresca. Ma siamo in tre, e tutti e tre molto motivati, e ci convinciamo che ce la possiamo fare.
I weekend liberi sono pochi, specialmente i miei, ma la decisione è presa: maggio 2023, si aprono le danze! Ma si sa, la Dea sabotatrice dei piani malefici, poco incline a proteggere noi illusi, non lascia mai che le cose vadano come sperato. Infatti, nel periodo dell’anno normalmente meno piovoso, decide che quel weekend sulla costa ovest gli elementi naturali dovessero scatenarsi. Dopo ore al telefono spese a imprecare e successiva consultazione di tutti gli oracoli del meteo, tutti concordi su probabile pioggia al mattino, acqua certa la sera prima, e di nuovo doccia sicura nel pomeriggio, decidiamo all’ultimo di rischiarla: vada per la finestra incerta al mattino… o la va o la spacca!
Armati di tutto, in particolare di giacche goretex, ci caliamo di nuovo, lasciamo una statica nel caso le cose, come vuole la tradizione, si mettano male, e ci avviamo verso la prima sosta. Il tempo di realizzare che da lì a poco avremmo iniziato ad aprire il gas ed ecco che il mitico Andreino da Muravera con furore ci regala una delle sue migliori magie con il primo (di tanti) doni offerti in sacrificio al Dio degli Abissi: il cellulare nuovo di pacca, per il quale aveva probabilmente venduto un rene, riposto incautamente nella tasca aperta decide infatti di lasciare il suo corpo e di salutarlo rotolando rapidamente giù per la scogliera prima di disperdersi negli scuri fondali. Come da copione segue una serie interminabile di porconi e colorite imprecazioni alle varie religioni del mondo, ma ormai il danno è fatto e ci convinciamo che da quella generosa offerta verrà fuori una fantastica giornata all’insegna dell’asciutto.
In realtà la divinità, o chi per lui, si accontenta solo parzialmente del dono offerto, dal momento che, come preannunciato, alle 13:00 in punto le nuvole decidono che è il momento di rilasciare il carico, ma tanto basta al nostro eroe del Sarrabus per aprire il primo tiro, passare i cordini nelle tante clessidre che la parete offre (sembra incredibile ma su 20 metri facciamo appena due fori!) e ad arrivare gloriosamente in sosta. Montiamo la corda fissa, che servirà poi per resinare il traverso, e ce la diamo rapidamente a gambe jumando i 70 m di statica sotto una fitta e fredda pioggia che in breve ci umidifica anche le parti del corpo che non sapevamo potessero bagnarsi.
Esausti, ma tutto sommato felici, ci lasciamo ancora per un mese, con la speranza di poter chiudere finalmente i lavori a giugno. D’altronde le giornate sono lunghe, la temperatura forse non ancora troppo torrida e la parete dai nostri calcoli (che si riveleranno poi tragicamente errati) resta sempre in ombra. Che ci importa se il sole è già cocente? Peccato che da tre che dovevamo essere quel weekend pianificato ci ritroviamo in due, dal momento che Andreino, in piena sessione esami, si rende conto che il cazzeggio delle settimane precedenti non ha giovato alla sua preparazione dell’imminente esame, mettendolo in un’evidente condizione d’ansia; pertanto, con agile maestria, si sfila e non resta che a noialtri l’ingrato compito di caricarci in spalla tutto il materiale e portarlo di nuovo in parete per continuare, questa volta da soli, i lavori.
Il primo giorno (che in realtà si è limitato a un tardo pomeriggio causa lavoro) la passiamo a montare le statiche e a preparare tutto il materiale, per mantenere poi il giorno successivo interamente a disposizione per l’apertura. Le cose promettono bene: la giornata e calda ma la parete come previsto ombreggiata e la pulizia delle prese sotto lo strapiombo non ha richiesto troppo tempo. Parte carica Ari, desiderosa di infilare nella roccia i suoi primi Pulse, per poi darmi il cambio e continuare io a chiodare il resto del tiro, quando, all’improvviso... inaspettatamente... vediamo arrivare il sole a lambire la parete. E lì, in un attimo, le nostre (poche) certezze crollano miseramente. Ma come? Non doveva essere esposta a nord? Lo era, il primo tiro, peccato che poi, aggirato lo spigolo, la restante porzione di parete fosse orientata a nord-ovest, rendendola di fatto esposta alla radiazione diretta nelle prime ore del pomeriggio dei primi mesi estivi.
Continuare a progredire verso l’alto in quelle condizioni diventava un viaggio verso l’inferno, tanto che dopo pochi fori mi ritrovai con i terminali inferiori simili a due zampogne e le scarpette della temperatura di una lasagna appena sfornata. La scritta "game over" apparve chiara sui nostri schermi e non potemmo fare altro che battere in ritirata, questa volta col morale non proprio alto. Ma si sa, la testardaggine è caratteristica comune a tutti i sardi, e io non faccio eccezione e Ari, sarda acquisita, benché meno. Pertanto, c’è un’unica soluzione al problema: se il sole non ci permette di andare avanti in questo periodo, non ci resta che spegnerlo! Mi mobilito subito a trovare un fanale a led su Amazon e scrivo entusiasta ai miei compagni di merenda: amici, si chioda di notte! A parte i primi - scontati - insulti che volano a caldo, l’idea viene presto digerita dalla truppa, e rimaniamo che durante le ferie estive ci rivediamo per chiudere, finalmente, i lavori. Ma le magie di Andreino sono infinite, e una settimana prima di vederci non riesce a partorire un’idea migliore per scaldarsi su una falesia se non quella di scimmiottare slegato a due metri da terra per poi cadere rovinosamente a terra rimettendoci una caviglia. Risultato: io e Ari rimaniamo nuovamente soli con lui (e la sua caviglia) fuori uso.
Decidiamo comunque di vederci tutti e tre la sera prima per una cenetta da me, stranamente "quasi" leggera, prima di partire per la volta di Buggerru. Carichiamo la macchina e alle 23:00 circa partiamo quando, inaspettatamente, Anna Sole Marabelli, cugina di un’amica di Milano di Ari che in quei giorni era ospite a casa sua in quanto rimasta appiedata in Sardegna dal suo camper, la chiama per dirle che avrebbe piacere di accompagnarci e aiutarci nella nostra impresa. Dopo un primo momento d’incredulità a pensare che esistono persone così sprezzanti del pericolo da volersi aggregare a due svalvolati che intendono calarsi in piena notte da una scogliera a picco sul mare per affrontare l’incognita di una via nuova, mi convinco che tutto sommato è un bene, potendo contare su una testa pensante in più e due spalle per dividere meglio i gravosi carichi.
Puntuali giungiamo al solito pianoro sommitale e iniziamo le manovre di preparazione, questa volta più complesse volendo anche illuminare la linea con un fanale. Terminiamo le operazioni e parto per terminare il secondo tiro lasciato in sospeso. Tutto procede per il meglio questa volta e in poco tempo ci ritroviamo tutti e tre in sosta, proprio sotto l’inquietante strapiombo che dal basso appare ancora più minaccioso. Non so cosa aspettarmi, ma la presenta della bella statica che corre vicina mi consola, dandomi il conforto di una facile via di fuga nel caso in cui le cose dovessero risultare più ostiche di quanto sembrassero. La battaglia per uscire fuori dallo strapiombo si rivelerà presto lunga e piuttosto accesa, specialmente contro la punta del trapano lasciata penzolante sull’ultima protezione proprio in corrispondenza del tetto che non permetteva un agile movimento di ribaltamento sulle prese in alto.
In qualche modo, con incerta eleganza e dubbia etica, ne vengo a capo, lasciando fortunatamente spazio da lì in avanti ad una più gratificante arrampicata segnata da una sequenza di incredibili prese a gocce su muro verticale. Da lì con un ultimo traverso a destra su arrampicata via via più facile conquistiamo la sosta che da accesso all’ultimo, più facile, tiro, che cedo volentieri alla mia socia di sventure, mentre Anna, ancora pallida dalla fresca jumata su per il tetto, le fa magistralmente sicura. Da lì in breve ci ritroviamo tutt’e tre in vetta, finalmente con tutti i fori fatti e pronti per essere resinati. Non resta ora che andare a raggiungere gli amici in spiaggia, compreso il nostro socio azzoppato che da lontano ci sosteneva, e festeggiare con loro con una sonora dormita.
Il giorno della chiusura finale dei conti non tarda ad arrivare. Infatti, quattro giorni dopo quell’avventura decidiamo che è giunta l’ora di sparare un po’ di bella resina rossa in quei fori freschi. Nonostante la caviglia non se la passi ancora bene, il nostro socio decide di unirsi per l’ultimo round (d’altronde, i cavalli migliori si vedono all’arrivo) e, messo via il mate, ci caliamo per l’ultima volta, sempre rigorosamente in notturna, con due tassellatori in mano, per accelerare le fasi di rettifica fori e scasso, e spazzole metalliche per pulire una linea a destra, alternativa al terzo tiro, che il nostro eroe del Sarrabus aveva adocchiato e che era intenzionato a provare per l’apertura di una possibile variante, più dura, che appunto vedrà la luce da lì a breve.
La resinatura ci regala un ultimo momento di apnea con un masso gigante che inaspettatamente decide di staccarsi e rimanere in bilico tra la parete e la statica sulla quale ci ritroviamo appesi proprio nel traverso del primo tiro. Consci che saremo stati solo degli impotenti spettatori, totalmente in balia degli eventi, ci muoviamo con passi felpati verso la sosta terminale, quando improvvisamente il blocco decide di smettere di sfidare la forza di gravità schiantandosi giù in mare, evitando, miracolosamente, di portare giù con se anche noi.
Consci della tragedia appena sfiorata e ben contenti di poter respirare ancora, ci ritiriamo felici verso l’alto, per andare, finalmente, a festeggiare assieme la riuscita del nostro tanto sognato – e meritato - progetto. Da li a poco si romperà lo sterzo della Jeep che ci doveva riportare a Cagliari, ma questa, amici lettori, come si dice in questi casi, è un’altra storia.
Un ringraziamento doveroso a Maurizio Oviglia, per averci trasmesso i rudimenti per una buona apertura dal basso, e a Davide Camboli, per averci incautamente prestato la sua statica per l’intera durata del progetto (ma che gli abbiamo restituito - quasi - come nuova).
di Francesco Pittau