Manolo al top dell'arrampicata su placca con Eternit al Baule

Il 24/08 Maurizio Manolo Zanolla ha liberato “Eternit” la via nata dalla prosecuzione di “O ce l’hai… o ne hai bisogno” nella falesia del Baule. Il grado proposto è 9a ma soprattutto per Manolo questa è una via che apre l'arrampicata su placca verticale ad un'altra dimensione
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Le "rughe" di Eternit
Cristina Zorzi

19 anni fa pensava che sarebbe stato impossibile continuare. “O ce l’hai… o ne hai bisogno”, 8b/8b+ nella bellissima falesia d'elite del Baule (Vette Feltrine). Così la via s'era fermata prima di quell'ultimo muro inaccessibile. E l'incredibile specchio verticale era rimasto lì, vergine. Andare oltre sembrava davvero troppo, anche per Manolo, alias Maurizio Zanolla.
Ma per la serie “il Mago perde il pelo ma non il vizio” lo scorso 24 agosto è arrivata la soluzione anche di quest'enigma. Appunto, 19 anni dopo, Manolo ha trovato la soluzione prolungando il viaggio di “O ce l’hai… o ne hai bisogno” fino alla suo naturale top sul bordo della falesia.

E' nata così Eternit che Manolo definisce: “Una via incredibile. Completamente naturale (a parte una presa consolidata). Ma soprattutto assolutamente verticale (non strapiomba nemmeno mezzo metro). Eternit, spiega il Mago, offre “un assortimento di microliste orizzontali verticali svase e rovesce. Con dei passi decisamente aleatori ma paradossalmente nemmeno tanto difficile da decifrare perchè è così liscia che gli appoggi e gli appigli risaltano immediatamente... il problema è tenerli!”.
Per quanto riguarda il grado, Manolo non ha dubbi: “Eternit è decisamente più impegnativa di tutte le altre vie di questo genere che ho salito, da Bain de sang a Thin ice, Da Appigli ridicoli a Bimba luna. Su questo muro completamente verticale non serve una grande resistenza ma da metà in poi gli avanbracci si riempiono pericolosamente e su alcuni singoli le dita bisogna davvero averle molto toniche. Inoltre, non basta la forza e, se non si usano almeno decentemente i piedi... è davvero difficile alzare le ginocchia da quelle parti...”.

Ora ci sembrerebbe di ripeterci nel ricordare le 51 primavere di Manolo. Invece, ci sembra più giusto sottolineare come su Eternit, per sua stessa ammissione, Manolo abbia avuto la nettissima sensazione di aver esplorato un'altra dimensione della scalata su placca verticale. E se lo dice lui la cosa si fa davvero interessante, anzi di più!
Eternit per Manolo è un caposaldo della sua esperienza di climber, e non c'è dubbio che si propone come un assoluto top per l'arte di salire in placca. A proposito, il grado proposto è 9a... e, soprattutto, le emozioni che può regalare questa via sono enormi. Basta leggere come Manolo descrive questi 11 minuti 38 secondi e 60 movimenti della sua vita...



ETERNIT 11 MINUTI 38 SECONDI E 60 MOVIMENTI DELLA MIA VITA
by Manolo

Eternit… innanzi tutto… perchè non tutto quello che arriva dalla Svizzera fa bene…e poi perché questa via fa male, fa male alle dita, alla testa, ai piedi. Ha una verticalità leggera, invitante ma può diventare velenosa in qualsiasi momento. Tutto quello che ormai sembra facile, può ritornare improvvisamente paralizzante e quel punto fermo, tanto faticosamente guadagnato, nel caos ritorna, sfuggente, assolutamente inutile e devi ricominciare da capo.

E’ stato tortuoso e difficile il percorso per arrivare in cima, si sono alternati infortuni frustranti a momenti di forma e stati d’animo diversi, a volte così intensi da creare o smontare qualsiasi motivazione. Improvvisamente però sembrava non ci fosse più tempo (e forse è vero) e allora tutto diventava lungo, troppo. La lentezza estenuante ormai indispensabile per i recuperi non mi permetteva nient’altro e l’estate mi stava sorpassando come una locomotiva ed io, ormai, potevo solo guardarla passare.

Quando ho preso il bordo della falesia gridando, l’ho quasi odiata ma in fondo solo per un attimo.
Non era iniziato male l’anno e i primi risultati alimentavano fantastici progetti ma la vita è sorprendente e alle volte il guardare troppo avanti ti ruba il presente, e ti costringe rifugio nel passato, anche se questa è già una fortuna.

Quando nel 1990 chiodai “O ce l’hai… o ne hai bisogno” quel tratto finale mi sembrava impossibile e così posizionai la sosta fin dove quel muro mi sembrava scalabile. Solo dopo aver (riliberato) Appigli ridicoli,  guardai quel tratto "incompiuto” con più attenzione, affascinato da quella compattezza che sembrava inaccessibile. Solo una tacca emergeva desolata da quello specchio ma sembrava impossibile da raggiungere e ancora di più abbandonarla. Frugando meglio fra quelle serie di rughe  disordinate affiorò lentamente una traccia, ma anche altre cose nella vita e quel tratto per un po’ rimase sospeso.

Oggi al parcheggio l’aria è frizzante e al passo una folata d’aria fresca e secca m’investe come un secchio d’acqua. Il violento temporale dell’altro ieri ha ripulito la terribile calura e l’aria sottile da nord promette aderenza. Sono contento e la respiro con tutto il mio essere ma improvvisamente divento nervoso, quelle condizioni quasi ottimali investono di responsabilità.

Nemmeno il tiro di riscaldamento, che non è mai eguale, anche se è sempre lo stesso, allevia questo strano stato d’animo. Il peso di quei sessanta movimenti sembra opprimermi insieme a una leggerissima voglia di essere da un’altra parte.

C’è una quiete grandiosa quassù, l’aria tersa sembra permettere di vedere ovunque, addirittura dentro e aldilà delle montagne. Tutto diventa meno importante, devo solo scalare, e la consapevolezza che non sarà sufficiente ora, diventa più leggera.

Il traverso è cattivo, pungente, questo tratto è intenso e ruba energia, anche mentale ma sono preciso, lancio, non ho esitazioni e all’ultimo riposo arrivo meglio del solito. Ancora quindici movimenti da qui al cielo… ma hanno una pesantezza disarmante. Aspetto che il cuore rallenti prima di comprimermi sotto quel rovescio sfuggente.

Cerco automaticamente la ruga che non so mai come prendere e, in qualsiasi modo, è sempre un incubo. Striscio al verticale e, mentre la gomma comincia a scivolare, mi allungo verso l’unica tacca decente. Vorrei affondare le dita in quella tacca ma non posso, devo alzare il piede, andare via da qui immediatamente, prima che tutto finisca. Sto per paralizzarmi un’altra volta… ma mi fido di quei millimetri di calcare liscio, appena in tempo.

Passo la corda, mi allargo sul niente e tutto sembra nuovamente ribaltarsi. Non ne posso più, voglio scivolare e togliermi quel dolore dalle braccia, dalla testa. Delego tutta la responsabilità ai piedi, alle scarpe, alla gomma, io non ne voglio più sapere, non c'entro più niente, che scivoli pure. Ma ho ancora un attimo di rabbia, li carico spingendoli via, lontano e mi lancio sul bordo di quegli 11 minuti 38” secondi e 60 movimenti della mia vita. Esattamente 19 anni dopo aver pensato che era impossibile.

Ringrazio tutti gli amici che in qualche modo mi sono stati vicini dal prof. Stefani al prof. Grappiolo con la sua lapidaria diagnosi, ma anche Marco Morelli che crede ancora nell’impossibile, Montura , La Sportiva e Grivel che continuano ad aiutarmi ma soprattutto Cristina che questa volta si è davvero superata.

ETERNIT
falesia Baule (Vette feltrine, Dolomiti bellunesi)
prima libera: Manolo 24/08/2009
lunghezza: 27m
difficoltà proposta: 9a ??
quota: 1900m sl 


Note:
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