King of the Bongo sul Qualido in Val di Mello per Marazzi, de Zaiacomo e Schiera

Nell'autunno del 2014 Paolo Marazzi, Matteo de Zaiacomo e Luca Schiera hanno aperto King of the Bongo, una nuova via d’arrampicata che, dopo i primi due tiri in comune con Passi di Bimbo, sale per oltre 700m una difficile e a tratti pericolosa linea indipendente sul Qualido, in Val di Mello. Il racconto del climber e fotografo Riky Felderer che ha documentato la prima libera il 25-26/7/2015.
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Durante la prima libera di King of the Bongo, Qualido in Val di Mello (Paolo Marazzi, Matteo de Zaiacomo, Luca Schiera 25-26/7/2015)
Riky Felderer

Oltre 700m di via sul Qualido, una delle pareti più importanti della Val di Mello (e non solo). Soltanto la partenza in comune con una vecchia via esistente (Passi di Bimbo, Paolo Vitali e Sonja Brambati, 1997). Aperta rigorosamente dal basso in circa 13 giorni di lavoro. Nessuno spit nemmeno sulle soste. Alcune sezioni esposte centinaia di metri sopra la Val di Mello…
È così che si presenta King of the Bongo, la difficile nuova via aperta lo scorso autunno dai "Ragni": Paolo Marazzi, Matteo de Zaiacomo e Luca Schiera, sull’imponente parete est del Qualido. Una via che ha "tutte le caratteristiche per entrare nel novero delle "classiche" qualidiane" e che è stata successivamente liberata dai tre a fine luglio. Durante quel tour de force di due giorni c’era anche l’inviato speciale - amico, climber e fotografo Riky Felderer - che condivide con tutti noi l’esperienza di quei momenti in parete e ricorda perché, a volte, è più importante sapere chi ha aperto una via piuttosto che il suo grado complessivo.


KING OF THE BONGO
di Riky Felderer

Prologo.
Suona il telefono, è Paolo Marazzi, "Paolino", anche se è alto uno e ottanta e grosso.
"Oh, Riky, michia! Abbiamo aperto col Luca e il Giga una via sul Qualido da paura, una figata. Devi venire!"

Fatti.
Alba, Qualido, a molti metri da terra. Il sole non è ancora arrivato sul portaledge.
"Forse devo vomitare!" È la frase del buongiorno del "Giga". Luca si lamenta dei crampi alle gambe, io alla schiena. Paolo, contrariamente al solito parla poco e prepara la sua specialità: "polenta al cioccolato". D’altronde dopo una notte passata in quattro su un portaledge da due non potevamo aspettarci di meglio.

Il tutto è cominciato un sabato mattina, al parcheggio della Val di Mello, che in realtà è in Val Masino, ma noi continueremo a chiamarlo così. Alle 7 ci siamo trovati, abbiamo diviso il materiale e siamo partiti. I giovani per provare la prima libera della loro nuova via sul Qualido, io per tentare di seguirli e documentare i fatti.

Il meteo non è dei migliori, ma per una serie di mancate coincidenze questa è l’unica finestra buona per i tre giovani di scalare insieme. Il sentiero si infila ripido in una valle popolata da faggi centenari che ogni tanto lasciano scorgere le pareti del Precipizio degli Asteroidi e del Qualido, che offrono ottime scuse a chi le percorre per fermarsi a fare qualche domanda o apprezzamento su linee, idee, progetti. Col passare del tempo i discorsi spaziano sui soliti due argomenti, a seconda di chi comincia, che sono la scalata e quella cosa che manca sempre agli scalatori. Per cui se ne parla sempre diffusamente!

Osservandoli mentre parlano tra loro, noto che i tre giovani in un certo modo ricalcano le peculiarità di alcuni personaggi storici della valle, che mi fa riflettere sulle coincidenze e i cicli della vita. In ogni caso c’è l’istrionico Marazzi, l’innamorato della scalata su ciuffi d’erba De Zaiacono (Giga) e il patologicamente astemio Luca Schiera. Ma dei profili psicologici dei protagonisti di questa nuova via, scopriremo di più in seguito.

L’avvicinamento lungo la Val Qualido è sempre la solita fregatura. C’è scritto poco più di un’ora, dura poco più di un’ora, ma è sempre faticoso. Maledetto viziaccio del fumo… Arrivati alla base, col Giga trovo nel letto del fiume della Val Qualido un avanzo di larice "abbracciato" da una sosta che immagino sia della Paolo Fabbri, crollata insieme alla frana di qualche anno fa. Buon presagio! Facciamo finta di niente. Rifletto ancora sulla ciclicità.

La via parte pochi metri a sinistra della frana, su roccia buona. E già le prime placche scaldate dal sole e chiodate eterne mettono sull’attenti Luca, che parte per primo. Poi con un tiro di raccordo su erba verticale entriamo nel cuore della parete.

È una delle parti più ripide della big wall mellica, incredibilmente continua e solcata da una teoria di diedri e fessure di rara bellezza. Non è il Capitan, che sia chiaro, ma dalle nostre parti, intendo nelle Alpi, non se ne trovano così tante. E posso dire di averne viste abbastanza per sbilanciarmi in questo giudizio. Questa teoria di linee ovvie e logiche, dicevo, è miracolosamente raccordata da qualche passo di spalmo estremo e qualche boulder di stampo "melloblocco". Con la piccola differenza che qui, di metri sotto i piedi, ne hai 4 o 500.

E che non c’è nessuno spit a confortare la psiche dei pavidi amanti della sterile performance. La via infatti segue una linea abbastanza "ovvia", e la nuova generazione di "mellici" ha abbracciato le antiche usanze dei primi scopritori del gioco-arrampicata di salire offendendo il meno possibile la roccia. Cosa che da un lato appassiona chi legge le storie e icantori da bar, dall’altro lentamente contribuisce a innervosire la cordata e soprattutto chi è intento a risalire una fissa marcia appesa a protezioni di dubbio gusto, non solo estetico!

Ma, per gli amanti del gesto atletico, vi parlerò un po’ dei tiri. E magari del Grado, antica divinità montana a cui tutto è votato! I tiri, in buona sostanza, rappresentano molto lo spirito di chi li ha aperti, il Grado invece è più sterile e legato allo stato di forma. Quindi abbiamo diedri perfetti con finale su tacche per Marazzi, che ancora non ha deciso da che parte stare. Se assecondare la naturale propensione alla linea ovvia da domare fondendosi con essa o se forzare la placca con movimenti di forza e dinamicità (non sempre corrisposti). Oppure sequenze cerebrali con movimenti aleatori e discretamente pericolosi su placche mal protette per Luca, che, stoico, accetta di prendere rischi o comunque rogne col suo introverso e talvolta inespressivo modo di fare. Allegro e sorridente quando è a fondo valle, cambia molto quando è nervoso, mal celando lo stato d’animo con una dialettica molto basata sul doppio senso e sull’ironia. Tal volta tagliente. E per finire fessure spesso bagnate alternate a muri verticali per il Giga, che prende tutto di buon grado (quello con la "g" minuscola) come quando, con un sorriso al limite dell’assurdo ammette di essersi calato sulla corda sbagliata. Quale? Quella che finisce 2 metri sotto la sosta e che non aveva il nodo di backup. Salvo rimanere appeso con 20 cm di coda che escono dal grigri al quale non era neanche possibile fare un nodo per bloccare l’eventuale caduta. A 500 mt sopra il greto del fiume cui siamo partiti il giorno prima!

E poi il portaledge. Come non tornare all’annosa questione del pernottamento in parete! Punto primo: se abbiamo dormito così, è perché la parete non offriva sistemazioni di maggior conforto. Non siamo masochisti o invasati. Se si poteva dormire su una comoda cengia, avremmo dormito su questa! E invece, su questo scudo compatto di bel granito non c’era escamotage. Abbiamo anche provato a fare tre sul poprtaledge e uno su un’improbabile amaca appesa sotto. Alla proposta di Luca il Marazzi subito butta la palla in corner dicendo "io nell’amaca soffro di nausea", Luca porge impassibile l’oggetto agli altri due e il Giga la prende. Con manovre degne di un circo monta l’amaca nel buio, nel vuoto sopra un baratro veramente da vomito e… per un pelo non spacca in due il portaledge. Finale: dormiamo in 4 per il largo, sapendo che se solo uno si muoveva troppo, ci saremmo cappottati. Posso dirlo? Una notte di merda! Ma che non dimenticheremo presto!

Il resto della via si compone di valori scalatori già visti, meno intensi ma non per questo meno belli, con l’unica eccezione di una bruttissima placca veramente pericolosa. Non estrema, con una cornice di prati verticali, ma protetta veramente male, verso il finire della parete. Proprio quando pensi di essere uscito dalle rogne e vedi una sequenza di muri abbattuti e belle fessure e diedri disposti a una piacevole arrampicata verso la fine di questo oceano verticale.

Qualcuno potrebbe obiettare che non si è parlato né di tiri né di gradi! Quanta sagacia nella mente del lettore. Ma questa è la via. Si: questa è la relazione della via. Lo so, sono un vecchio pedante certe volte. Mia moglie mi chiama "rikipedia" quando esagero… Ma una via non è una serie di punti collegati da un numero. Un Grado!

Una via è un’esperienza, è un disegno psicologico degli apritori. È il reticolo dendritico del loro cervello e delle loro passioni che si sviluppa sulla roccia. E prima di sapere che grado ha un tiro, soprattutto quando è stato aperto dal basso e senza l’uso di spit, ma solo di chiodi (meno di una decina in 700 mt) e protezioni veloci, è molto meglio sapere chi l’ha aperto! E sapere che si inserisce nel contesto della Val di Mello.

Letture consigliate
9000 metri sopra i prati.

di Riky Felderer


SCHEDA: King of the Bongo, Qualido, Val di Mello


Note:
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